USA, proteste da Los Angeles a New York: cosa sta succedendo e i motivi degli scontri

È iniziato tutto il 6 giugno a Los Angeles. In pieno centro, all'alba, gli agenti del'ICE, l'agenzia federale per il controllo dell'immigrazione, hanno fatto irruzione in diverse zone della città per eseguire una serie di arresti. I blitz, condotti con uomini in tenuta tattica e veicoli blindati, hanno portato al fermo di almeno 118 persone sospettate di non essere in regola con i documenti. Le operazioni si sono svolte in luoghi simbolo della metropoli californiana, come 1st Street, Spring Street e le vicinanze del municipio. Le immagini e i video delle retate hanno fatto rapidamente il giro del Paese, e poi del mondo, innescando un'ondata di indignazione che, nel giro di poche ore, ha portato migliaia di persone in strada. A Los Angeles, la protesta si è trasformata presto in scontri, con decine di arresti e il saccheggio di negozi; le manifestazioni si sono poi estese ad altre città, da San Francisco a New York, coinvolgendo ampie fasce della società civile.
La risposta del presidente Donald Trump è stata immediata e muscolare: coprifuoco notturno in più aree urbane, arresti di massa, dispiegamento della Guardia Nazionale e persino dei Marines, senza attendere l'autorizzazione del governatore della California. Un'escalation che ha acceso un confronto istituzionale durissimo e che, secondo molti osservatori, segna un punto di rottura nella tenuta democratica degli Stati Uniti.
Cosa sta succedendo negli USA, le proteste contro Trump
Da giorni, gli Stati Uniti sono attraversati da manifestazioni contro la gestione dell'immigrazione da parte del governo federale e, in particolare, contro le operazioni repressive volute dal presidente Trump. Le proteste, nate a Los Angeles, si sono diffuse rapidamente in tutto il Paese, con cortei e sit-in a San Francisco, Chicago, New York e altre grandi città. I manifestanti denunciano una deriva autoritaria, l'utilizzo sproporzionato della forza e la criminalizzazione sistematica delle comunità migranti. A scatenare la mobilitazione è stata una serie di retate condotte dall'ICE tra il 6 e il 9 giugno, ma il malcontento si estende a tutta la politica migratoria di Trump, percepita come punitiva, xenofoba e mirata a spaventare le fasce più vulnerabili della popolazione. Le autorità locali, soprattutto in California, si oppongono all'approccio federale, ritenendo che l'intervento diretto del presidente, senza il consenso dei governatori, rappresenti una grave violazione delle prerogative costituzionali degli Stati.
Quando sono iniziate le proteste e dove, da Los Angeles a New York

Il primo focolaio di protesta si è acceso a Los Angeles nella giornata di venerdì 6 giugno, poche ore dopo i primi blitz dell'ICE. Le operazioni si sono svolte in pieno giorno, in quartieri densamente abitati da comunità latine e asiatiche, e sono state immediatamente documentate da giornalisti, attivisti e cittadini. Già nella serata dello stesso giorno, centinaia di persone si sono radunate nel centro cittadino per chiedere lo stop alle retate e la liberazione degli arrestati. La tensione è cresciuta poi nelle giornate successive: tra il 6 e il 10 giugno si sono verificati scontri con la polizia, danni a esercizi commerciali e oltre 370 arresti. La sindaca Karen Bass ha dichiarato il coprifuoco notturno per alcune zone del centro, attivo dalle 20 alle 6 del mattino. A partire dal 9 giugno, il movimento di protesta si è diffuso anche in altre città: a San Francisco migliaia di manifestanti hanno sfilato davanti agli uffici dell'ICE e alla sede locale del Dipartimento della Sicurezza Interna. A New York, decine di arresti sono avvenuti nei pressi di Foley Square e Union Square. Proteste simili si sono poi registrate anche a Portland, Seattle, Denver e Atlanta, con il coinvolgimento di sindacati, associazioni, studenti e comunità religiose.
Perché sono scoppiate le proteste a Los Angeles, i motivi degli scontri
La scintilla che ha dato il via agli scontri a Los Angeles è stata l'operazione dell’ICE che ha visto l'imponente schieramento di forze intervenire per arrestare migranti irregolari. Ma a monte c'è un malcontento più profondo, legato alla politica migratoria di Donald Trump, che prevede un approccio duro, militarizzato e spesso svincolato dal coordinamento con le autorità locali. Secondo la sindaca Karen Bass, la città di Los Angeles è stata deliberatamente scelta come ‘esperimento' per testare fino a che punto l'amministrazione federale possa spingersi nel forzare la mano, violando norme locali e diritti civili. In un'intervista ha parlato di ‘una strategia per colpire la nostra economia e minare la coesione sociale, dato che molti settori fondamentali dipendono dal lavoro degli immigrati'. La violenza della risposta federale – arresti indiscriminati, uso della forza e militarizzazione delle strade – ha alimentato ulteriormente l'esasperazione. Le immagini di soldati armati che presidiano edifici pubblici e sparano proiettili al peperoncino su manifestanti pacifici hanno suscitato indignazione anche tra moderati e indipendenti.
Secondo molti osservatori, la protesta non riguarderebbe più solo l'immigrazione: ma sarebbe diventata ei giorni, una contestazione più ampia contro l'autoritarismo e la volontà del presidente di accentrare il potere federale, ignorando il sistema di pesi e contrappesi previsto dalla Costituzione.
Cos'è l'ICE e cosa c'entra con le proteste
L'ICE, acronimo di Immigration and Customs Enforcement, è l'agenzia federale statunitense incaricata del controllo delle frontiere, della gestione dei rimpatri e dell'applicazione delle leggi sull'immigrazione. Dipende dal Dipartimento della Sicurezza Interna (DHS) ed è spesso oggetto di controversie per l'approccio aggressivo e militarizzato delle sue operazioni. Negli ultimi anni, soprattutto sotto le amministrazioni repubblicane, l'ICE ha intensificato le retate in quartieri abitati da minoranze etniche e migranti; gli agenti operano spesso in borghese ma con il supporto di unità tattiche in grado di condurre operazioni simili a quelle militari.
La reazione di Trump: tra arresti di massa, Guardia Nazionale e coprifuoco
La reazione della Casa Bianca è stata rapida e improntata alla repressione. Trump ha autorizzato, senza consultare le autorità locali, l'invio di ben duemila soldati della Guardia Nazionale a Los Angeles, affiancati da 700 Marines. Una mossa che ha fatto esplodere lo scontro istituzionale con il governatore della California, Gavin Newsom, il quale ha denunciato pubblicamente la "militarizzazione delle città americane" e accusato il presidente di voler instaurare un regime autoritario. La sindaca di Los Angeles ha confermato che i militari schierati sono in gran parte inutilizzati e servono solo a "fare scena". Bass ha poi denunciato come "pericoloso e antiamericano" l'uso dei soldati per intimidire la popolazione. Ha anche rivelato che la Casa Bianca ha diffuso un comunicato di congratulazioni alle forze armate "per aver riportato l’ordine" prima ancora che queste fossero effettivamente arrivate in città. Intanto, il Dipartimento di Polizia di Los Angeles avrebbe effettuato più di 400 arresti in quattro giorni, molti dei quali durante raduni pacifici considerati "assembramenti non autorizzati". È stato introdotto un coprifuoco notturno in numerosi quartieri centrali, e chi non lo rispetta viene immediatamente fermato.
Il governatore Newsom ha parlato apertamente di "democrazia sotto attacco" e ha annunciato un'azione legale per bloccare l'uso dei militari federali senza il consenso statale: "Trump e i suoi fedelissimi si nutrono della divisione per accumulare potere. Ma noi non ci faremo intimidire", ha dichiarato.