Ungheria, attivista Lgbtq+ sotto inchiesta per aver organizzato il Pride: rischia tre anni di carcere

In Ungheria si è aperto un caso che sta scuotendo profondamente l'Unione Europea, sollevando interrogativi inquietanti sul rispetto dei diritti fondamentali. Al centro della storia c'è Géza Buzás-Hábel, attivista rom e membro della comunità LGBTQ+, oggi sotto inchiesta per aver organizzato il Pride di Pécs, una marcia pacifica che quest'anno ha attirato fino a ottomila persone, nonostante il divieto imposto dalle autorità locali. Il governo di Viktor Orbán, già in primavera, aveva approvato una legge che vieta esplicitamente le manifestazioni Pride e che autorizza addirittura l'uso del riconoscimento facciale per identificare e multare i partecipanti; Amnesty International aveva definito già allora quella legge una "aggressione frontale" alla comunità LGBTQ+.
Le piazze però non si sono fermate: prima a Budapest, trasformando l'evento in una manifestazione culturale municipale, poi proprio a Pécs, dove tra i partecipanti hanno sfilato anche alcuni eurodeputati.
La scelta inevitabile
Per Buzás-Hábel, che è anche cofondatore della Diverse Youth Network, l'organizzazione che cura la marcia, scendere in strada non era una decisione, ma una necessità. "La libertà di riunirsi è un diritto fondamentale", afferma. "Se rinunciamo qui, dove potremo farlo?". Pochi giorni dopo, la risposta delle autorità è stata immediata. Buzás-Hábel è stato convocato dalla polizia, e la procura sta valutando accuse che vanno dall’organizzazione di una manifestazione vietata fino a tre anni di reclusione, anche se con sospensione. Le conseguenze sono già state devastanti: dopo quasi dieci anni di insegnamento, l'attivista è stato licenziato dalla scuola pubblica in cui insegnava lingua e cultura rom, e anche dal centro musicale dove lavorava come mentore. In caso di condanna, potrebbe perdere definitivamente il diritto di insegnare.
Un precedente inquietante
Quattro organizzazioni per i diritti umani ungheresi hanno sottolineato come si tratti del primo caso noto nell'Unione Europea in cui un difensore dei diritti finisca sotto procedimento penale per aver organizzato un Pride, un precedente finora visto solo in Russia o in Turchia. La European Roma Rights Centre e la rete europea dei Pride denunciano un "salto di qualità" nella repressione in Ungheria. Secondo gli attivisti e le attiviste, il messaggio è insomma profondamente chiaro: colpire non solo un singolo individuo, ma lanciare un segnale intimidatorio a chiunque voglia difendere la libertà di espressione e la tutela delle minoranze. Buzás-Hábel stesso lo conferma al Guardian: "Io sono solo un pretesto. L'obiettivo è spaventare chi mi sta intorno, scoraggiare un'intera comunità".
Una voce a Bruxelles
Nonostante la pressione e la perdita del lavoro, Buzás-Hábel ha scelto di non restare in silenzio. Nei giorni scorsi è infatti volato a Bruxelles per partecipare a un evento europeo dedicato ai giovani rom e per incontrare i decisori europei interessati al suo caso: "Organizzerei tutto di nuovo. E lo farò anche il prossimo anno", ha detto. "La libertà ha un prezzo alto, ma quello che non potrei mai accettare è restare in silenzio". La domanda che guida il suo impegno è ora semplice e diretta: l'Unione Europea è pronta a difendere davvero i valori che proclama?