Ucraina, perché il 2025 è stato un anno fortunato per Putin e sfortunato per la pace: cosa ci aspetta nel 2026

Il 2025 è stato un anno di fortuna strategica per Vladimir Putin. Non sul campo di battaglia. Ma nella politica globale. Donald Trump è tornato alla Casa Bianca. E con lui, la possibilità concreta, per lo zar di dividere gli USA dall’Europa. E di gestire i negoziati in modo che la guerra continui finché tutte le condizioni russe non siano accettate. Infatti, il 2025 è stato un anno orribile per chi sperava in una conclusione della carneficina. Alle speranze iniziali per le promesse di Trump è seguita una serie di delusioni e ancora di nuove speranze, sempre deluse. Ma alcuni segnali indicano che il 2026 potrà essere un anno più fortunato per la pace, e meno per Putin.
Droni su Novgorod
L’ultimo colpo basso alla pace è il presunto attacco alla dimora di Vladimir Putin sul lago Valdai, a metà distanza tra Mosca e San Pietroburgo. Che sia realmente avvenuto o che sia un’invenzione del Cremlino, la notizia è come un difetto sotto la cintura per un negoziato che aveva già il fiato corto.
L’Ucraina nega. Zelensky parla di “bugie russe”. Le accuse sono arrivate subito dopo il suo vertice di Mar-a-Lago con Trump.
La credibilità del regime di Putin resta bassa. Il Cremlino ha una lunga storia di affermazioni false. Surreali quelle sulla strage del volo MH17. Meno fantasiose quelle che negano uccisioni di civili in Ucraina. In questo caso, però, potrebbe esserci del vero.
Il governatore della oblast di Novgorod e alcuni canali Telegram russi hanno parlato di un attacco sulla regione prima delle dichiarazioni di Sergey Lavrov. Il giornalista investigativo Ruslan Leviev, in esilio e arrestato in contumacia per aver criticato la “operazione militare speciale”, racconta su X che i residenti riferiscono di un’attività antiaerea senza precedenti tra il 28 e il 29 dicembre in direzione Valdai.
Si può credere al Cremlino?
Il numero di droni abbattuti citato da Lavrov coincide con il dato del rapporto del Ministero della Difesa russo sugli attacchi di quella notte: 91. “L’Ucraina satura la difesa aerea russa usando grandi sciami di droni”, spiega a Fanpage.it l’osservatore militare di Meduza Dmitry Kuznets. “I sistemi hanno limiti di ingaggio. Superarli è questione di numeri”.
Anche la residenza di Putin ha limiti. È uno dei luoghi più protetti della Russia: almeno 12 sistemi Pantsir-S1, ognuno in grado di colpire fino a quattro bersagli simultanei. Oltre quella soglia, la difesa si apre. Il bersaglio è plausibile: è il palazzo preferito del presidente, dove la compagna Alina Kabaeva, ex ginnasta, cresce i due figli della coppia — secondo quanto rivelato da diverse inchieste giornalistiche.
Anomalie sospette
Ma ci sono parecchie incongruenze. E nessuna prova. Nessun video localizzato, nessuna immagine di incendi, nessuna vera testimonianza, a parte le parole anonime raccolte da Leviev. “Per un’operazione simile ci si aspetterebbe che il web ne fosse pieno”, osserva Kuznets.
Le parole ufficiali convincono poco. “Le dichiarazioni su presunti piani di colpire Putin appaiono dubbie, ed è molto strano che a farle sia stato il ministro degli Esteri”. L’ineffabile portavoce Dmitry Peskov, poi, ci ha messo del suo: “Non vi daremo prove. Fidatevi della parola del Cremlino”. Un’incursione sulla regione c’è stata. “Non è un evento raro: nella seconda settimana di dicembre fu colpito un impianto chimico, a Novgorod”, ricorda Kuznets. Nulla indica, al momento, che l’obiettivo fosse davvero il palazzo di Putin.
Trump sembra averlo creduto. Putin ha subito detto che “rivaluterà” le posizioni USA nel negoziato. E promette vendetta. Ci possiamo aspettare attacchi a palazzi governativi a Kiev. Così, la pace rimane lontana. Come vuole Mosca, forse. Ma anche Kiev, paradossalmente, potrebbe aver interesse ad allungare i tempi, solo un po’. La realtà sono i morti, i mutilati e le distruzioni. La verità, se esiste, resta nascosta sotto i detriti della guerra.
La fortuna di Putin si chiama Trump
Intanto, la nuova National Security Strategy di Washington cementa la spaccatura atlantica, identificando il nemico nell’UE e minimizzando — a torto o a ragione — la minaccia russa. Putin e Trump sono allineati nella retorica allarmista sul declino dell’Europa, in nome dei “valori tradizionali” e sovranismo. Contro la dimensione multilaterale in politica estera. “Questa bizzarra convergenza di valori russo-americana è forse lo shock più grande del 2025”, nota lo storico Sergey Radchenko.
Per Putin, però, l’ideologia è solo un mezzo: l’obiettivo è indebolire la NATO e allontanare gli Stati Uniti dall’Europa. Ora che Washington chiede agli europei di farsi carico della propria difesa, Mosca appare più vicina a quel traguardo che in qualsiasi momento dall’inizio della Guerra Fredda. Da quando Trump è tornato alla Casa Bianca, il tempo sembra giocare per Putin. Che non ha dovuto fare nient’altro che veder le cose maturare a suo favore.
Lo stato delle trattative
I progressi nelle trattative sbandierati dopo il vertice di Mar-a-Lago sono stati raggiunti senza la Russia. Che opporrà i suoi “niet” su punti quali un cessate il fuoco per permettere il referendum nei territori contesi, o il controllo congiunto di Ucraina e USA sulla centrale nucleare nella oblast di Zaporizhzhia: persone a conoscenza delle intenzioni del Cremlino ce lo hanno detto chiaramente, più volte.
Grazie all’impegno europeo è stata però riportata sul tavolo la questione delle garanzie e di una clausola simile all’articolo 5 della NATO per assicurarle. E questa è una cosa su cui la Russia è disposta a discutere. Sull’ipotesi di una zona demilitarizzata, legata a eventuali compromessi territoriali, a Mosca sembrano più ironici che collaborativi. Comunque, i droni su Novgorod allontanano nel tempo la discussione.
Il tempo gioca per Mosca, o forse no
Il motivo per pensare che il 2026 possa portare la pace, o almeno avvicinarla di parecchio, è che il tempo può trasformarsi da amico a nemico, per Putin. La sua economia di guerra batte in testa. La crescita di oltre il 4 per cento dello scorso anno si è ridotta a uno 0,6 per cento reale. I tassi d’interesse sono scesi al 19%. I costi del credito sono ancora da capogiro. L’inflazione si è calmata dai picchi superiori al 10 per cento, ma non scenderà sotto il 6 percento, nel prossimo anno. Il costo per preparare un’insalata Olivier, immancabile sulla tavola di capodanno in Russia, è aumentato di oltre il 13 per cento in due anni.
Un sondaggio dell’istituto indipendente Levada rileva che per il 34 per cento dei russi i fatti più importanti dell’anno son stati i prezzi alti e gli aumenti delle tasse conseguenti alla spesa militare. Altro che il summit Putin-Trump in Alaska o i droni ucraini sulle loro città.
Ora, la continuazione della guerra o la disfatta dell’Ucraina — sul campo o al tavolo negoziale — sono diventate esistenziali, per il regime al potere in Russia. Per questo, se le avanzate languono, i bombardamenti sulle città aumentano. Ma anche per Mosca la pace potrebbe diventare urgente, come lo è per Kiev. I fondi per finanziare la guerra per qualche altro anno ci sono, ma il danno economico e sociale rischia di destabilizzare il sistema molto prima.
Le paure e le speranze degli europei
Zelensky e i “volenterosi” sono riusciti a far fare marcia indietro a Trump dal “piano in 28 punti” che certificava il volere di Mosca e oltre all’Ucraina di fatto sottometteva l’Europa. Stanno ora riuscendo a dimostrare che Putin non ha intenzione di fare accordi sostenibili. “Sperano di chiamare il bluff e far sì che Trump non lo sostenga più”, scrive la politologa Nathalie Tocci.
La mossa è rischiosa. Ma il 2026 è anno di elezioni midterm, negli USA. In un clima in cui i repubblicani rischiano di perdere la maggioranza alla Camera, critiche sulla gestione del conflitto in Ucraina e sull’approccio verso Mosca possono erodere i consensi. La possibilità che il presidente possa decidere di ritirarsi dall’arena russo-ucraina non è campata in aria. Con Trump, se ne andrebbe buona parte della fortuna di Putin.
La partita si giocherà a primavera. L’incognita è a Washington. In quel periodo si definiranno gli equilibri politici interni. L’Europa deve essere pronta a prendere in mano il gioco se Trump si sganciasse. Mica facile. Il Cremlino non vuole nemmeno sentirne parlare, di Europa. L’astio è diventato viscerale. Potrebbe esser necessario mandare avanti un Paese. Scegliere una persona, un mediatore. Il deteriorarsi dell’economia in Russia potrebbe rendere Putin più ragionevole. Gli ucraini non possono fare altro che resistere un altro inverno. Perché la pace Mosca quest’anno non l’ha voluta. E non arriverà già domani.