Uccide il padre e ne mostra la testa su YouTube: a processo l’uomo che voleva rovesciare il governo Usa

Un orrore domestico che si trasforma in un incubo politico: Justin D. Mohn, 33 anni, sarà processato lunedì nella periferia di Philadelphia con accuse gravissime che vanno dall’omicidio al terrorismo. L’uomo è accusato di aver ucciso il padre, decapitato il cadavere e diffuso il video su YouTube, accompagnato da un delirio ideologico contro il governo degli Stati Uniti.
Il crimine risale al 2024, nella casa di famiglia a Levittown, in Pennsylvania, dove Justin viveva con i genitori. È stata la madre a fare la macabra scoperta: il corpo senza vita del marito, Michael F. Mohn, 68 anni, giaceva nel bagno, sfigurato da colpi di arma da fuoco e decapitato brutalmente – si scoprirà poi – con un coltello da cucina e un machete. Il video della scena, lungo 14 agghiaccianti minuti, è rimasto online per ore prima di essere rimosso dalla piattaforma.
Ma l’orrore non si è fermato lì. Dopo l’omicidio, Mohn ha tentato di arruolare la Guardia Nazionale della Pennsylvania nella sua folle crociata contro lo Stato (all'epoca guidato da Joe Biden). Armato di pistola, ha scavalcato una recinzione alta sei metri presso Fort Indiantown Gap, sede della Guardia, con l’intento — secondo la procura della contea di Bucks — di convincere i soldati a sollevarsi in armi contro il governo federale.
Al momento dell’arresto, gli agenti gli hanno trovato addosso una chiavetta USB contenente immagini di edifici federali e presunte istruzioni per la fabbricazione di esplosivi. Mohn aveva anche pubblicato online scritti intrisi di retorica violenta, cospirazionista e anti-statale. Nel video, tra invettive contro l'immigrazione, la politica fiscale, la criminalità urbana e la guerra in Ucraina, definiva il padre — dipendente federale da oltre 20 anni e ingegnere per il Corpo degli Ingegneri dell’Esercito americano — un "traditore".
Il suo avvocato, Steven M. Jones, ha dichiarato che non ci sono trattative per un patteggiamento. Durante un’udienza sulla sua capacità mentale, un esperto della difesa ha rivelato che Mohn aveva addirittura scritto una lettera all’ambasciatore russo negli Stati Uniti, chiedendo asilo politico e scusandosi con Vladimir Putin per aver dichiarato di essere lo "zar di Russia".
Un caso che mescola follia, estremismo, sangue e ideologia, e che getta un’ombra inquietante sull’instabilità sociale e politica di alcuni ambienti dell’America contemporanea.