Uccide figlio neonato con crudeltà inaudita: “Aveva paura di perdere la compagna”, condannato

Pare avesse paura di perdere la compagna e probabilmente per questo ha ucciso il suo bambino neonato in modo orribile. Daniel Gunter, 27 anni, è stato condannato all’ergastolo per l’omicidio del figlioletto, morto a soli 14 giorni di vita nel reparto di terapia intensiva neonatale dello Yeovil District Hospital, nel Somerset. La sentenza, pronunciata dalla Corte di Bristol, prevede un minimo di 20 anni di carcere, dai quali saranno sottratti i 491 giorni già trascorsi in custodia cautelare.
Il piccolo era nato prematuro il 20 febbraio 2024, alla 33esima settimana di gravidanza, con un peso di appena 1,83 chili. Nonostante le difficoltà iniziali, stava facendo progressi e pare stesse per essere dimesso. La sua vita si è spezzata nella maniera più brutale nelle prime ore del 5 marzo 2024, quando le infermiere hanno trovato il suo corpicino nella culla, con lesioni che i medici hanno definito “catastrofiche”: cranio fratturato, collo spezzato, mandibola rotta, oltre a fratture alle gambe, ai polsi e alle caviglie.
Secondo la ricostruzione degli inquirenti, Gunter avrebbe colpito ripetutamente la testa del bambino contro una superficie dura, afferrandolo per le caviglie. Una violenza compiuta mentre gli infermieri si trovavano a pochi metri di distanza, ignari di ciò che stava accadendo. Dopo l’aggressione, l’uomo aveva lasciato il reparto ed era uscito dall’ospedale per fumare, mentre suo figlio agonizzava.
Quando la madre, Sophie Staddon, si era accorta che il neonato era “freddo” e aveva chiesto aiuto, il personale sanitario aveva tentato disperatamente di rianimarlo, ma ogni sforzo si era rivelato inutile. Gunter e la compagna sono stati fermati poco dopo, mentre fumavano all’esterno dell’ospedale. In aula, entrambi hanno negato di aver fatto del male al piccola, ma la donna è stata assolta dall’accusa minore di aver causato o permesso la morte del bambino.
Il giudice Swift, annunciando la condanna, ha dichiarato: “Lei, signor Gunter, era responsabile della cura e della sicurezza di suo figlio. In questo caso c’è stato un abbandono estremo del suo dovere”.
Durante il processo sono emerse testimonianze inquietanti: infermiere e familiari avevano notato in più occasioni che Gunter urlava contro il bambino, lo maneggiava con durezza e lo trattava con impazienza. Una zia dell’imputato ha ricordato che “non aveva alcuna pazienza, era davvero brusco anche solo nel vestirlo”.
L’autopsia ha confermato che la morte del neonato è stata causata da gravi traumi cranici multipli non accidentali. La detective Nadine Partridge della polizia di Avon e Somerset ha definito Gunter un uomo “egoista”, sottolineando come durante il processo si fosse persino messo a ridere e scherzare mentre venivano discusse le atrocità commesse.
Secondo gli inquirenti, il gesto potrebbe essere stato motivato dalla paura di perdere la compagna: Staddon rischiava infatti di essere trasferita in un centro madre-bambino, dove non ci sarebbe stato posto per lui. La coppia viveva già in condizioni precarie, ospitata in un ex pub riconvertito in alloggi temporanei. I servizi sociali avevano segnalato situazioni di rischio e programmato l’allontanamento del piccolo subito dopo la nascita, viste le condizioni di instabilità e la natura violenta e dominante di Gunter, che controllava finanze e relazioni della compagna.
Commovente la dichiarazione del nonno, Simon Gunter, letta in aula: “Mio nipote era semplicemente perfetto. Stava facendo grandi progressi ed era quasi pronto per tornare a casa. Ricorderò sempre l’abbraccio avuto con lui in ospedale: non pensavamo che diventasse un ricordo così prezioso. Non ha avuto nemmeno la possibilità di regalarci un sorriso, di festeggiare un compleanno, un Natale o una vacanza. Tutto quello che vogliamo è la verità, ma non l’abbiamo ancora avuta”.
La difesa ha cercato di attenuare la responsabilità, descrivendo Daniel Gunter come “immaturo per la sua età”, con “QI molto basso” e “difficoltà emotive e cognitive riconosciute”, oltre a un’infanzia segnata da violenze e privazioni. Ma per la corte nessuna di queste circostanze ha potuto giustificare l’orrore di quel gesto.