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Tunisia, morta Lina Ben Mhenni: simbolo della rivoluzione dei gelsomini, viveva sotto scorta

Lina Ben Mhenni, blogger, giornalista, simbolo del diritto alla libera espressione e attivista dei diritti umani tunisina, è morta all’età di 36 anni dopo aver combattuto a lungo contro una malattia autoimmune che l’aveva costretta ad un trapianto di rene.
A cura di Davide Falcioni
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Lina Ben Mhenni, blogger, giornalista, simbolo del diritto alla libera espressione e attivista dei diritti umani tunisina, è morta all'età di 36 anni dopo aver combattuto a lungo contro una malattia autoimmune che l'aveva costretta ad un trapianto di rene.  Il suo blog – "Una ragazza tunisina" – diventò famoso in tutto il mondo durante la rivoluzione dei gelsomini del 2011 in Tunisia ed è stata spesso considerata come "la voce della rivolta tunisina".

Lina Ben Mhenni è stata una delle prime donne a raccontare la rivolta dei cittadini tunisini, denunciando con coraggio numerosi casi di corruzione nel suo paese. I suoi articoli la costrinsero a vivere sotto scorta, ma le donarono anche una grande notorietà, tanto che nel 2011 venne candidata al Nobel per la Pace. Fu tra le prime croniste a recarsi a Sidi Bouzid, dove si era dato fuoco Mohamed Bouazizi, l'attivista tunisino che si diede fuoco a dicembre del 2010 per protestare contro le condizioni economiche della Tunisia e morì il 4 gennaio del 2011. La blogger fu la prima a raccontare quanto stava accadendo sul suo blog.

Da sempre nemica del fondamentalismo islamico, sul suo blog non ospitava solo denunce e racconti delle rivolte tunisine, ma anche campagne e appelli come quello con cui, nel 2018, raccolse migliaia di libri che poi donò alle biblioteche di quindici carceri del suo paese, con la convinzione che "se i giovani sono istruiti, non cedono all’estremismo".  Nonostante la malattia negli ultimi anni l'avesse fiaccata nel fisico Lina Ben Mhenni non ha mai smesso di denunciare le violazioni dei diritti umani e gli abusi di potere nel suo oaese, finendo anche per vivere sotto scorta per le minacce di morte ricevute. Negli ultimi anni aveva aderito con entusiasmo al movimento #EnaZeda, traduzione letterale di ‘Anch'io', versione tunisina del fenomeno mondiale #Metoo a difesa di tutte le donne tunisine molestate.

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