Strage in Myanmar: 59 vittime negli scontri. Il giorno più sanguinoso dall’inizio delle proteste

Continuano le proteste contro il colpo di stato dei militari in Myanmar (ex Birmania) e si aggrava il bilancio delle vittime della repressione delle forze di sicurezza. Nella sola Yangon, le forze di sicurezza birmane hanno ucciso ieri 59 manifestanti e ferito altri 129. Lo riferisce il sito di informazione birmano Myanmar Now, citando fonti di tre ospedali dell'ex capitale e aggiungendo che gli stessi medici credono che il bilancio sia ancora più alto. Stando all'ambasciata di Pechino, "fabbriche sono state saccheggiate e distrutte e molti dipendenti cinesi sono stati feriti e bloccati".
Domenica di sangue in Myanmar
L’esercito avrebbe sparato contro i manifestanti, usando sia proiettili di gomma che vere munizioni, secondo quanto riferito dai soccorritori alle agenzie di stampa. Le proteste nell'ex Birmania stanno andando avanti da oltre 40 giorni, cioè dal colpo di stato del primo febbraio: da allora oltre ottanta persone sono morte negli scontri tra la polizia e i manifestanti. Se confermato, la giornata di ieri sarebbe la più sanguinosa dall'inizio delle proteste.

I motivi delle proteste
Proprio ieri, domenica 14 marzo la giunta militare ha introdotto il regime di legge marziale nel comune di Hlaing Tharyar, che fa parte di Yangon: in precedenza la Cina aveva detto che le fabbriche cinesi in quell’area erano state danneggiate dai manifestanti, che avevano causato il ferimento di vari connazionali. Uno dei leit motiv dell'opposizione di piazza è la convinzione che la Cina appoggi i militari golpisti. In un messaggio diffuso sui social network la rappresentanza diplomatica ha chiesto alla giunta "di adottare misure efficaci per fermare tutte le azioni violente, punire i responsabili nel rispetto della legge e garantire la sicurezza delle aziende e del personale cinese in Myanmar".
