
“La scorsa notte a Teheran è stata un incubo. Ci sono stati duri attacchi israeliani. Spero che la guerra finisca”. Queste le parole di Sorush, l’attivista iraniano che ci ha scritto nel cuore della notte. Eppure, in questa fase sembra molto difficile che il pericoloso conflitto tra Teheran e Tel Aviv, con il coinvolgimento degli Stati Uniti di Donald Trump, possa concludersi presto.
La guerra ha causato fin qui gravi danni alle basi militari e nucleari iraniane con 78 morti e 320 feriti, inclusi sei ingegneri coinvolti nel programma nucleare, vertici militari, tra cui la guida delle milizie al-Quds, Esmail Qaani, e politici del paese, come il consigliere della guida suprema, Ali Khamenei, Ali Shamkhani, con 3 vittime e decine di feriti in Israele.
Trump e il nucleare
Chi può davvero fermare questa guerra sono prima di tutto gli Stati Uniti di Donald Trump. I discorsi iranofobici sono da decenni al centro dell’agenda politica dei repubblicani a Washington ma mai nessun politico, a partire dall’ex presidente George Bush, ha osato sfidare direttamente gli ayatollah. D’altra parte, l’Iran, pur accrescendo la sua influenza regionale negli ultimi anni, soprattutto in seguito alla disastrosa guerra in Iraq del 2003 e con il progressivo disimpegno militare Usa dalla regione, non ha mai costituito una vera minaccia diretta.
Gli attacchi del 13 giugno sono partiti da Israele in via preventiva e senza un’imminente ragione scatenante, come era accaduto con gli attacchi reciproci con l’Iran di aprile e ottobre 2024. E così Trump ha prima dichiarato di non aver dato il suo via libera ai raid israeliani contro l’Iran per poi intestarsi gli “eccellenti” risultati ottenuti dall’aviazione di Tel Aviv promettendo nuovi attacchi se Teheran non firmerà l’accordo sul nucleare.
Il fallimento del negoziato in Oman
La strada per evitare il conflitto è sempre stata quella negoziale con i colloqui a Muscat e a Roma delle ultime settimane. Tuttavia, a questo punto, per le autorità iraniane i tentativi di tornare a discutere “non hanno senso”. L’approccio di Trump per cui mettere i pasdaran iraniani di fronte a un attacco di ampio raggio, perpetrato da Israele, li avrebbe spinti a firmare un accordo contrario agli interessi di Teheran non funziona. Secondo le ricostruzioni fornite da Netanyahu, i colloqui sul nucleare tra Usa e Iran sono partiti mentre Israele era già pronta ad attaccare l’Iran.
In altre parole, sin dall’inizio, il tavolo negoziale non ha rappresentato una vera alternativa di dialogo ma solo un “out out” per gli ayatollah: fermare l’arricchimento dell’uranio o subire il più grave attacco contro infrastrutture militari e civili della storia dell’Iran dai tempi della guerra con l’Iraq (1980-1988). Di certo però, il solo fatto che i colloqui siano iniziati e siano andati avanti per settimane, mentre Trump assicurava che un’intesa fosse dietro l’angolo, nonostante le distanze siderali tra le richieste statunitensi e le indicazioni dettate ai negoziatori dalla guida suprema iraniana con un approccio molto più dialogante del presidente moderato, Massoud Pezeshkian, ha confermato ancora di più il serio conflitto interno all’amministrazione di Washington rispetto alla posizione da assumere nei confronti della Repubblica islamica.
Israele conosce solo la logica della guerra
Eppure, nella notte tra venerdì e sabato, Israele ha deciso di attaccare anche in seguito alla pubblicazione del report, il più duro degli ultimi venti anni, da parte dell’Agenzia internazionale per l’Energia atomica (Aiea) che ha denunciato gli alti livelli di arricchimento dell’uranio in Iran e la
presenza di materiale nucleare in siti non dichiarati. La solita logica dell’esercito israeliano (Idf) è stata così quella della guerra preventiva che fin qui, dopo gli attacchi del 7 ottobre 2023, tiene aperti 7 fronti (Gaza, Cisgiordania, Libano, Siria, Iraq, Yemen e Iran).
In questo senso, l’obiettivo di Usa e Israele è di evitare che Teheran ottenga l’arma atomica, sebbene le autorità iraniane abbiano sempre asserito che il loro programma nucleare è solamente a scopo civile. Più in generale, la partecipazione iraniana al Trattato di non proliferazione nucleare, dal quale l’Iran dopo gli attacchi israeliani potrebbe ritirarsi, dovrebbe garantire di per sé il rispetto di regole precise che impediscano l’escalation nucleare.
Ripartendo dal cessate il fuoco a Gaza
A questo punto è molto difficile fermare il conflitto ripartendo dal dialogo sul nucleare. Il primo passo dovrebbe essere un immediato cessate il fuoco che fermi qualsiasi attacco reciproco. E includa anche lo stop ai raid israeliani su Gaza. Oltre alla minaccia nucleare, Israele ha sempre accusato l’Iran di essere la mente dell’Asse della Resistenza, con Hamas, il movimento sciita libanese Hezbollah e gli Houthi in Yemen. In altre parole, qualsiasi via che porti verso la de-escalation non può non tenere conto della disastrosa crisi umanitaria e del genocidio in corso nella Striscia.
Per il momento, le indicazioni vanno in senso opposto. Francia e Arabia Saudita hanno posticipato la conferenza alle Nazioni Unite, prevista la prossima settimana a New York, per discutere della soluzione dei due stati. Sarebbe stato il momento culminante per testare le dichiarazioni del presidente francese, Emmanuel Macron, e del premier inglese, Keir Starmer, sul possibile riconoscimento dello stato palestinese. A fermare la conferenza è stata proprio la guerra tra Israele e Iran che non solo impedirebbe a ministri e alti ufficiali sauditi e del Golfo di recarsi in sicurezza negli Usa ma più in generale mette completamente in secondo piano la questione del riconoscimento di uno stato palestinese.
In altre parole, il fronte iraniano porta al centro del conflitto in Medio Oriente il nodo centrale per gli equilibri della regione e cioè la rivalità tra Israele e Iran che poi nasconde l’ostilità reciproca che va avanti da quarant’anni tra Teheran e Washington.
Russia, Cina, Turchia ed Europa
Mosca, Pechino e i paesi europei impegnati nei colloqui che hanno portato all’accordo sul nucleare nel 2015 (Jcpoa) potrebbero avere un ruolo essenziale per evitare che la guerra di Trump e Netanyahu si estenda. Vladimir Putin ha condannato gli attacchi israeliani contro l’Iran sostenendo che solo la diplomazia può portare a una soluzione del conflitto sul nucleare iraniano. Il presidente russo potrebbe andare ben oltre le parole e usare la leva del cessate il fuoco in Ucraina, su cui Trump ha puntato molto negli ultimi mesi, per fermare la guerra tra Israele e Iran.
Anche la Cina ha duramente criticato la violazione della sovranità nazionale iraniana da parte di Israele auspicando la fine del conflitto. Pechino è un solido alleato di Teheran e potrebbe esercitare tutto il suo peso economico, anche facendo leva sul tema dei dazi, per fermare la guerra. La Cina ha continuato a importare petrolio iraniano nonostante le sanzioni internazionali, imposte da Trump, dopo il 2018 anche ai paesi terzi che fanno affari con Teheran. Anche Turchia e Unione europea potrebbero fare molto di più per evitare l’escalation del conflitto. Recep Tayyip Erdoğan ha condannato la violazione israeliana del diritto internazionale con gli attacchi del 13 giugno. Per il presidente turco, questi attacchi fanno entrare il conflitto in una fase estremamente “pericolosa”. Anche Ankara potrebbe usare il suo ruolo negoziale in Ucraina e la vicinanza con Mosca per fermare i raid israeliani.
Soprattutto Francia, Gran Bretagna e Germania potrebbero fare pressioni molto più dure su Israele, chiudendo le forniture militari per Tel Aviv, imponendo nuove sanzioni contro politici di estrema destra, come ha fatto Londra con i ministri Itamar Ben-Gvir e Bezalel Smotrich, o rivedendo il trattato di associazione con Israele, come auspicato da 17 paesi dell’Unione. D’altra parte, tuttavia, se la guerra dovesse andare avanti potrebbe prevalere la polarizzazione e il sostegno militare a Israele, sulla scia delle posizioni degli Stati Uniti, come traspare anche dalle parole di Macron delle ultime ore.
Una lezione per la Repubblica islamica o la fine del regime?
Per chiudere questo conflitto bisogna rispondere a un’altra importante domanda: gli attacchi israeliani puntano a distruggere il programma nucleare iraniano o alla fine della Repubblica islamica? Nel secondo caso, il conflitto è destinato a durare almeno finché le capacità militari iraniane siano state completamente compromesse dai raid israeliani.
Molti sostenitori del movimento “Donna, vita, libertà” che nel 2022 si è attivato contro l’uso arbitrario della violenza contro le donne iraniane da parte della polizia morale, dopo l’uccisione della giovane curda Mahsa Amini, hanno accolto con molto favore i raid israeliani contro l’Iran. Pur con sentimenti misti per le gravi perdite civili, molti auspicano che gli attacchi si concludano con un cambiamento di regime, come sostenuto dallo stesso Netanyahu. Anche se pochi sono convinti che questo succeda davvero.
Questi attivisti, con cui abbiamo parlato nelle ultime ore, credono che i raid israeliani abbiano l’obiettivo di uccidere anche la guida suprema, Ali Khamenei, mettendo completamente in forse la stabilità della Repubblica islamica. Non solo, molti in Iran sono seriamente preoccupati per le lacune dimostrate dagli apparati di sicurezza del paese, in particolare dei sistemi di difesa e di sicurezza delle centrali nucleari. I raid israeliani in questo senso dimostrerebbero l’incapacità del regime iraniano di confrontarsi con la tecnologia militare israeliana e statunitense mettendo in pericolo milioni di persone.
La fine della guerra tra Israele e Iran è auspicabile per tutti. Un conflitto prolungato potrebbe portare al collasso delle istituzioni della Repubblica islamica e dell’intero Asse della Resistenza ridisegnando completamente gli equilibri in Medio Oriente in favore di Israele. Il prosieguo delle ostilità impedirebbe in qualsiasi modo di trovare una soluzione alla questione sollevata dalla comunità internazionale in merito al programma nucleare iraniano e per arrivare a un cessate il fuoco a Gaza.
Tuttavia, per ottenere una fine del conflitto in tempi brevi è necessario che Russia, Cina, Unione europea e Turchia facciano pressioni su Stati Uniti e Israele per arrivare a un cessate il fuoco immediato con l’Iran. Solo limitando gli scopi militari e di guerra su tutti i fronti che perseguono le autorità israeliane si può riportare la pace in Medio Oriente.
