Perché si parla di un possibile intervento USA nella guerra tra Israele e Iran e cosa c’è da sapere

“Potrei bombardare l’Iran, potrei non farlo”. Donald Trump ammette di stare pensando all’intervento militare in Iran, anche se non ha ancora deciso. Forse vuole vedere se gli iraniani torneranno al tavolo dei negoziati più propensi alle condizioni statunitensi. O forse sta solo prendendo tempo. La via diplomatica del resto è incredibilmente compromessa: gli iraniani potrebbero tornare a trattare sotto la minaccia di un intervento militare diretto degli Stati Uniti, ma sicuramente non si fiderebbero dei loro interlocutori. Che appena pochi giorni fa stavano continuando i negoziati facendo finta di non sapere dell’imminente attacco israeliano. E ci sono tutti gli spostamenti militari nella regione delle ultime ore, con due portaerei statunitensi – Nimitz e Ford – in avvicinamento, che fanno presagire che un’azione statunitense sia in effetti dietro l’angolo.
Trump non si sbilancia: gli Stati Uniti interverranno in Iran?
Trump però non si sbilancia ancora. Forse sa di non avere tutta la base Maga dalla sua parte questa volta. Non tutti approvano la linea interventista. “Ho un’idea di cosa fare, deciderò all’ultimo minuto. Non cerco lo scontro, ma se la scelta è combattere o lasciargli la bomba nucleare, va fatto quel che va fatto”. Secondo alcuni esperti militari gli Stati Uniti potrebbero lanciare pochi raid, mirati, per distruggere le infrastrutture in profondità. Quelle che i missili israeliani non stanno riuscendo a raggiungere.
Cosa farà Benjamin Netanyahu
Quando ha lanciato l’attacco, Benjamin Netanyahu contava su un intervento diretto, a un certo punto, degli Stati Uniti. Perché appunto, l’aviazione israeliana non è in grado di arrecare danni permanenti al programma nucleare iraniano, al massimo potrebbe rallentarlo. Nello specifico, non può arrivare al centro nucleare di Fordow, il più importante del Paese e letteralmente incastonato in una montagna. Certo, il premier israeliano non poteva e non può tutt’ora essere sicuro di un intervento statunitense. Potrebbe comunque provare a rivendere una vittoria internamente al Paese, per mantenere l’opinione pubblica israeliana a favore di questo nuovo fronte, basata comunque su un efficace rallentamento del programma nucleare iraniano.
La posizione dell'AIEA sulla bomba nucleare iraniana
Anche qui, però, ci sono delle cose da considerare. In primis il fatto che Rafael Grossi, il direttore dell’AIEA, l’Agenzia internazionale per l’energia atomica, abbia messo in chiaro di non sapere se effettivamente gli iraniani siano ad un passo dal poter fabbricare la bomba nucleare. Che era esattamente la scusa utilizzata da Tel Aviv per lanciare i primi missili. “Siamo arrivati alla conclusione di non poter affermare che al momento ci sia stato alcuno sforzo sistematico in Iran per sviluppare un’arma nucleare”, sono state le parole di Grossi. Che ha anche aggiunto che sicuramente i livelli di arricchimento dell’uranio (al 60%) che si sono potuti registrare destano preoccupazione, “ma non abbiamo mai detto che stessero costruendo un’arma nucleare”.
Il primo discorso pubblico di Khamenei
In tutto questo, per la prima volta da quando è cominciata l’escalation, ha parlato pubblicamente anche Ali Khamenei, la Guida suprema dell’Iran. In un messaggio televisivo alla nazione, ha detto: “La nazione iraniana si oppone fermamente a una guerra imposta, così come si opporrà fermamente a una pace imposta. Le persone sagge che conoscono l’Iran, il suo popolo e la sua storia non parlano mai a questa nazione con il linguaggio delle minacce, perché la nazione iraniana non è fatta per arrendersi”. E ancora: “Gli americani dovrebbero sapere che qualsiasi intervento militare da parte loro causerà certamente danni irreparabili”.
Cosa c'entra lo stretto di Hormuz
Nel frattempo l’Iran ha anche minacciato di chiudere alla navigazione lo stretto di Hormuz, da cui passa buona parte del petrolio prodotto dai Paesi del Golfo: “L’Iran ha numerose opzioni per rispondere ai suoi nemici, la chiusura dello stretto di Hormuz è una di queste”, ha detto un funzionario di Teheran. Mentre un altro parlamentare iraniano ha aggiunto: “Se gli Stati Uniti entrassero ufficialmente e operativamente in guerra a sostegno dei sionisti, l’Iran avrebbe il legittimo diritto di esercitare pressione sull’Occidente per ostacolare il transito del loro commercio di petrolio”.
Ora si attende. Trump deve fare i conti con le sue promesse elettorali, per cui avrebbe messo fine a tutte le guerre. Iniziarne una di nuova – probabilmente un conflitto lungo, di attrito – non gli gioverebbe. E poi il tycoon deve anche tener presente che la stessa intelligence statunitense si è posizionata sulla linea dell’AIEA, negando di aver mai avuto prove circa una imminente bomba nucleare iraniana. Dichiarazioni, queste, che chiaramente rafforzano Teheran e le sue accuse a Tel Aviv di un’aggressione ingiustificata.
I missili non si fermano: il bilancio di una settimana di guerra
Sui social Khamenei ha scritto “Il fatto stesso che gli americani, amici del regime sionista, siano entrati in scena e stiano dicendo queste cose è un segno della debolezza e dell'incapacità di quel regime”. In tutto questo i missili non si fermano. I morti iraniani hanno ormai superato i 600, di cui la metà civili, mentre le vittime israeliane sono ferme a poco più di una ventina. Le forze di difesa israeliane hanno detto di essere vicine a distruggere la metà dei lanciatori di missili balistici dell’Iran.
Israele ha anche colpito il reattore iraniano ad acqua pesante di Arak, ma al momento non ci sarebbero pericoli di fuoriuscita di radiazioni e la struttura era stata precedentemente evacuata. L’Iran ha invece attaccato l’ospedale Soroka di Beersheba, una cosa descritta come un crimine di guerra dal governo israeliano. Teheran ha risposto dicendo che l’obiettivo era un centro militare nelle vicinanze e che l’ospedale avrebbe subito solo danni lievi per l’onda d’urto.
Insomma, a una settimana dall’inizio del conflitto non solo non ci sono al momento spiragli per la diplomazia. Ma un intervento statunitense sempre più probabile rischia di scatenare una nuova escalation, le cui conseguenze sono ancora imprevedibili.