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Guerra in Ucraina

Perché nessuno a Mosca fermerà Putin se deciderà di usare un ordigno nucleare

Un golpe al Cremlino resta “improbabile”. Si lotta per aver più potere, non contro Putin. Che “ha dimenticato dov’è la retromarcia”. Mentre la narrativa sull’uso di armi nucleari “è la nuova realtà”, la situazione diventa “sempre più pericolosa”. Ma il sommergibile Belgorod e il treno speciale sono “falsi allarmi”. E c’è ancora tempo per far capire allo zar che non è il caso di provarci.
A cura di Riccardo Amati
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Nessuno a Mosca fermerà Vladimir Putin se deciderà di usare un ordigno nucleare per cambiare il corso della guerra in Ucraina. Né nella élite politica né tra gli alti comandi militari esiste la volontà di dire no al capo, o perché si crede alla propaganda messianica che ne giustifica le azioni o perché comunque non esiste un piano per una Russia senza Putin. Il potere si identifica nello zar, un golpe è altamente improbabile e la situazione si fa sempre più pericolosa, concordano osservatori che contano su fonti interne al Cremlino per le loro analisi.

Il golpe è un’illusione

“Ai vertici dello Stato si pensa che la minaccia atomica sia il modo migliore per allontanare l’Occidente dall’Ucraina”, dice a Fanpage.it la direttrice di R.Politik Tatiana Stanovaya”. “È vero che, nella classe dominante, molti ritengono ci si debba limitare alla minaccia: l’effettivo utilizzo di testate nucleari tattiche sarebbe un azzardo, dicono”. Ma per opporsi a una decisione di Putin di usarle servirebbe un colpo di stato. E per preparare un colpo di stato “ci vuole tempo e soprattutto un piano chiaro e sicuro per la futura leadership”. Mentre in Russia “non ci sono personaggi politici né forze in grado di elaborare e predisporre un piano di questo tipo con la certezza di sopravvivere”. Per rovesciarlo, “bisognerebbe che Putin fosse già estremamente debole e di fatto incapace di agire”, conclude Stanovaya. Al momento non lo è.

Una élite irrequieta

Certo ci sono segnali di irrequietezza, tra i fedelissimi del presidente. Ma si tratta di smania di incassare onori e prebende all’interno del regime attuale, non di desiderio di farlo cadere. In questo senso va probabilmente letto l’iperattivismo di Yevgeny Prigozhyn, soprannominato il “cuoco di Putin”, un ex-galeotto diventato ristoratore a San Pietroburgo e poi, grazie all’amicizia col leader del Cremlino, capo di un impero del catering e di ricche aziende minerarie, nonché finanziatore di una costellazione di siti internet che diffondono fake news (chi scrive ne è stato vittima) e fondatore del gruppo Wagner — i mercenari che fanno il lavoro più sporco nelle sporche guerre di Putin. E oggi Prigozhyn critica ferocemente la gestione della guerra in Ucraina. Il fatto che abbia un efficiente esercito privato e che finalmente lo rivendichi mettendoci letteralmente la faccia, nelle campagne pubblicitarie per l’arruolamento e nei blitz nelle carceri russe per convincere assassini e serial killer a diventare contractor Wagner, ha fatto pensare che puntasse alla cima della piramide del potere.

Le mire di Prigozhyn

In realtà, il “cuoco di Putin” potrebbe volere “solo” la pelle, in senso figurato se non altro, del ministro della Difesa Sergei Shoigu o del suo capo di stato maggiore. “Si tratta di avere le condizioni più confortevoli per massimizzare i propri affari in Ucraina: a questo e a non altro punta Prigozhyn”, spiega Stanovaya. Ecco il perché delle critiche ai responsabili militari e dei video sapientemente sceneggiati dalla Wagner (si vedono le insegne sulle divise) per illustrare le miserevoli — e peraltro veritiere — condizioni delle reclute richiamate alle armi. A confermare che ci sia in atto una guerra tra Prigozhyn e i vertici della Difesa e delle forze armate è anche l’arresto avvenuto a Mosca di un collaboratore dello stesso Prigozhyn, Aleksey Slobedenyuk. Arresto non eseguito, come di norma, dall’Fsb — il servizio di sicurezza interno erede del Kgb— ma da uomini del Sobr, le teste di cuoio della Guardia nazionale. Anche le agenzie governative, evidentemente, si stanno schierando da una parte o dall’altra. Ma nella realtà alternativa creata dal regime e nella quale gli uomini del regime sono immersi, non si concepisce la possibilità di sostituire Putin. Si lotta, ma per acquisire posizioni e continuare a far soldi all’interno del regime stesso. Come se Putin fosse eterno.

I generali obbediranno

Se i conflitti nella élite non prefigurano la caduta di Putin, è difficile che l’opzione atomica possa essere bloccata dai politici e dai potenti che circondano il presidente. Non si può d’altra parte contare sulla possibilità che un “no” all’atomica arrivi dai militari della catena di comando da percorrere per arrivare alla detonazione di un’arma nucleare tattica. “È davvero improbabile”, commenta a Fanpage.it l’analista militare Pavel Podvig, direttore del progetto Forze nucleari russe. “I generali che avessero dubbi potrebbero prender tempo, chiedere un ordine scritto. Ma disobbedire al comandante in capo è molto difficile. Putin può comunque rimuovere ogni ostacolo. Detto questo, il processo non sarebbe semplice: il presidente dovrebbe impegnare tempo ed energie per rendere politicamente credibile e tecnicamente eseguibile un ordine del genere”. In pratica, secondo Podvig, la minaccia “va presa seriamente e la comunità internazionale deve far capire in tutti i modi che è inaccettabile e che è pronta a isolare completamente Mosca se decidesse di renderla realtà”. Ma restiamo ancora “almeno a qualche passo di distanza dal peggio”.

Per la bomba ci vuole tempo

Dell’idea che ci sia ancora un po’ di tempo per far capire a Putin che non è il caso di provarci è anche l’analista militare Pavel Luzin. Per ragioni di sicurezza e professionali, dalla sua Perm si è appena trasferito negli Stati Uniti — dove lavora come ricercatore presso la Fletcher School of Law and Diplomacy di Boston. “Tra i dodici depositi di testate nucleari che la Russia ha, quello da cui probabilmente sarebbe prelevato l’ordigno destinato a una detonazione è a Vologda, nel nord-ovest del Paese”, spiega Luzin a Fanpage.it. “Vologda è la base più grande ed efficiente e ha testate di diverso tipo adatte a differenti gittate. Per trasportare l’arma verso l’Ucraina e affidarla ai battaglioni dei missili Iskander, oppure per darla alla flotta del Mar Nero, servono un treno speciale e giorni di viaggio. Lo stesso per trasportarla nella base per i test nucleari di Novaya Zemlya, in mezzo all’Artico. Gli Iskander, la flotta o un’esplosione controllata a Novaya Zemlya sono le uniche ipotesi percorribili. L’ultima la più probabile, secondo me. La cosa non sfuggirebbe comunque ai satelliti americani”.

Falsi allarmi e pericoli veri

Sono falsi allarmi, secondo Luzin, sia il treno “nucleare” di cui ha scritto il Times di Londra che “l’arma dell’apocalisse” — così è stato definito il cosiddetto siluro Poseidon a bordo del sommergibile Belgorod, sui cui movimenti si è concentrata la preoccupata attenzione dell’Occidente. Il primo è contraddistinto da particolari container ma non è un treno speciale del tipo utilizzato per le armi atomiche. Trasporta probabilmente materiale per un’esercitazione. Non una testata nucleare”. Il Belgorod, poi, “non è un sottomarino da combattimento ma solo un mezzo di supporto speciale per i sommergibili nucleari che possono lanciare missile balistici intercontinentali”. E la sua arma letale, il “siluro” Poseidon, “non è che un robot per operazioni sottomarine a grande profondità”. È vero che può contenere una piccola testata nucleare, “ma è stato concepito per operare contro i sistemi di comunicazione Nato e aprire ai sommergibili strategici la via dell’Atlantico, non certo per procurare tsunami radioattivi e distruggere città e Paesi”. Questa, taglia corto l’esperto “è pura fantasia”. C’è comunque da stare poco tranquilli: “La strategia della escalation per una de-escalation (che Luzin ci ha già descritto qui) è prevista dalla dottrina militare russa, è irrazionale e può portare a una catastrofe”. La probabilità di un suo utilizzo “è decisamente cresciuta nel corso dell’ultima estate”.

Dov’è la retromarcia?

Il problema che in tanti dalle nostre parti sembrano non voler considerare è che, dopo le ultime disfatte militari, le annessioni dei territori occupati e il discorso del 30 settembre sul “satanismo” dell’Occidente, Vladimir Putin sembra arrivato al punto di non ritorno. Ormai crede alla propaganda che il suo regime ha inventato. “Vuole un ordine mondiale che segua le regole da lui dettate”, ci dice da Mosca l’analista del think tank Carnegie Andrei Kolesnikov, uno dei pochissimi grandi giornalisti russi rimasti in Patria nonostante il rischio di un imminente arresto. Il presidente e le persone che gli stanno intorno vivono in una bolla che non ha più a che fare con la realtà. Credono che la guerra in Ucraina alla fine la vinceranno. Pensano ai benefici personali che potranno ottenere. Intanto, “nella narrativa russa la discussione attorno all’utilizzo di armi nucleari tattiche è ormai diventata la nuova normalità”, avverte Kolesnikov. “Questo è altamente pericoloso”. Se anche avesse mai pensato a una de- escalation “Putin ha dimenticato dov’è la retromarcia”. Unica speranza, "una pressione da parte di Cina e India". Di cui per ora non c'è evidenza. Ma sulla quale dovrebbe puntare ogni sforzo diplomatico.

Regali letali

Per capire la vera natura del regime di Mosca, basta considerare la parte finale del discorso di una settimana fa, dove il presidente cita — con ancor più calore di quanto abbia mai fatto in passato — il filosofo fascista Ivan Ilyn, teorico di un totalitarismo messianico russo sostenuto da chiesa e forze armate. Se la catastrofe sarà evitata e si arriverà davvero a parlare di pace, sarà bene tener presente con chi si sta trattando. E chiamar le cose con il loro nome. Per il momento, speriamo solo che questo 7 ottobre, settantesimo compleanno di Vladimir Putin, passi senza avvenimenti troppo orribili. Per i suoi anniversari, Putin a volte riceve strani regali. Il 7 ottobre del 2006 un killer uccise con quattro colpi di pistola la giornalista Anna Politkovskaya. I mandanti non sono mai stati identificati. Il 7 ottobre del 2016, missili Kalibr lanciati da due corvette russe nel Mar Caspio colpirono obiettivi a mille chilometri di distanza in Siria, lasciando esterrefatti i generali della Nato, i quali non si aspettavano tanta precisione. Non si conosce il numero delle vittime. Furono i letali auguri allo zar da parte dei suoi ammiragli? Chiederselo è lecito. E terrificante.

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Giornalista e broadcaster. Corrispondente da Mosca a mezzo servizio (L'Espresso, Lettera 43 e altri - prima di Fanpage). Quindici anni tra Londra e New York con Bloomberg News e Bloomberg Tv, che mi inviano a una serie infinita di G8, Consigli europei e Opec meeting, e mi fanno dirigere il servizio italiano. Da giovane studio la politica internazionale, poi mi occupo di mostri e della peggio nera per tivù e quotidiani locali toscani, mi auto-invio nella Bosnia in guerra e durante un periodo faccio un po' di tutto per l'Ansa di Firenze. Grande chitarrista jazz incompreso.
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