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Guerra in Ucraina

Perché la retorica di Biden e Putin non cambia nulla sulla situazione in Ucraina

Dopo la visita a sorpresa di Joe Biden a Kiev, sia il presidente statunitense che Vladimir Putin hanno tenuto importanti discorsi sull’andamento della guerra. Dalle parole dei due presidenti emerge tutta la distanza tra la posizione di Mosca e quella di Washington. Ma ci sarebbe comunque uno spiraglio per le trattative future.
A cura di Daniele Angrisani
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Il giorno dopo lo storico viaggio a sorpresa di Biden a Kyiv, il primo di un presidente americano in una zona di ostilità non controllata dai militari americani dalla seconda guerra mondiale, la situazione in Ucraina è rimasta ovviamente al centro anche dei due discorsi contrapposti di Joe Biden e Vladimir Putin che si sono tenuti nella giornata di ieri.

I due leader hanno mostrato ancora una volta di avere una visione del mondo che non potrebbe essere più distante tra loro, e questo rende oggettivamente molto difficile la possibilità di un avvicinamento delle loro posizioni nel breve termine e della ricerca di una soluzione negoziale di questa guerra.

Il presidente americano Joe Biden ha sostenuto con fermezza l’importanza di proteggere il popolo ucraino e la sovranità del Paese, mentre il suo omologo russo Vladimir Putin ha ribadito le sue false accuse all'Occidente di aver scatenato la guerra in corso.

Tuttavia, non vi è neppure stato alcun annuncio eclatante e questa di per sé è già una notizia positiva, in quanto allontana il rischio immediato di una escalation.

Il cupo discorso di Vladimir Putin

Nella mattinata di ieri il presidente russo Vladimir Putin ha finalmente tenuto il suo annuale discorso dinanzi al Consiglio della Federazione, che era stato più volte posticipato negli ultimi tempi in attesa di buone notizie dal fronte che però non sono mai arrivate per Mosca.

In questo discorso, durato per ben due lunghe ore e farcito come di consueto di menzogne, Putin ha ribadito ancora una volta le sue principali rimostranze: anzitutto ha accusato l'Occidente di aver "iniziato la guerra" in Ucraina; quindi, ha sostenuto che l'Ucraina stava cercando di dotarsi di armi nucleari e ribadito che il governo ucraino è "neonazista".

Il presidente russo ha affermato che la Russia "non è in guerra con il popolo ucraino", aggiungendo invece che gli ucraini sono "ostaggi del regime di Kyiv e dei loro padroni occidentali". Letteralmente nulla di tutto questo è vero, ma ciò non gli ha impedito di farne la base per l’appello al popolo russo a cui ha chiesto di continuare a supportare lo sforzo bellico in corso.

Dopo un breve accenno sull’importanza dei “valori tradizionali” difesi dalla Russia contro un Occidente che, secondo Putin, sta smarrendo la sua via morale (strizzando l’occhio in questo modo ai movimenti di estrema destra in tutto il mondo occidentale), il presidente è quindi passato allo stato dell’economia russa che ha definito più resiliente di quanto avrebbe mai pensato l’Occidente.

Putin ha sottolineato sia il calo del tasso di disoccupazione in Russia, che una diminuzione del PIL più “leggera” delle attese (del 2,1%) nel 2022 ed ha quindi affermato che la Russia sta entrando in un nuovo ciclo in cui vi saranno opportunità di sviluppo in molti settori.

Per supportare l’economia ed aiutare i russi a far fronte alle difficoltà nei prossimi mesi, Putin ha quindi proposto una serie di misure, tra cui la creazione di un fondo statale per sostenere i partecipanti all'invasione russa dell'Ucraina e le loro famiglie, il congedo obbligatorio di 14 giorni ogni sei mesi per tutti i partecipanti all'invasione, un programma di alloggi in affitto preferenziale per i dipendenti del complesso industriale della difesa ed incentivi fiscali per le aziende che acquistano attrezzature hi-tech russe.

Il presidente russo ha inoltre annunciato altre misure più costose come l'aumento del salario minimo e la fornitura di gas gratuita a tempo indeterminato in Russia, il tutto in vista di quelle “elezioni” presidenziali del marzo 2024, che, stando a ciò che afferma il presidente, si terranno "in stretta conformità con la legge russa, nel rispetto di tutte le procedure costituzionali democratiche".

Tuttavia, l'annuncio principale di Putin è arrivato quasi alla fine del suo lungo discorso: il presidente russo ha deciso infatti che la Russia intende sospendere la sua partecipazione al Trattato New START sulla riduzione delle armi nucleari strategiche.

Putin ha motivato questa drastica decisione sostenendo che gli Stati Uniti stanno sviluppando nuovi tipi di armi nucleari e la Russia dovrebbe essere pronta in qualsiasi momento a condurre a sua volta test nucleari per non perdere la parità strategica.

Non è ben chiaro a cosa faccia riferimento Putin in questo caso, anche perché non sembrano esserci segnali in questo senso, e l’ultimo test nucleare americano risale ormai al lontano 1992. Ad ogni modo questa decisione solleva ovviamente ulteriori gravi preoccupazioni per la stabilità globale e il controllo delle armi nucleari.

Come ha specificato il Segretario Generale della NATO, Jens Stoltenberg: “Con la decisione [di Putin] sul Trattato New START, l'intera architettura del controllo degli armamenti rischia di essere smantellata… Incoraggio fortemente la Russia a riconsiderare la sua decisione e a rispettare gli accordi esistenti".

Una successiva nota del Ministero degli Esteri russo ha tuttavia chiarito che la decisione di sospendere il Trattato potrebbe essere reversibile solo nel caso in cui Washington dovesse mostrare in futuro "la volontà politica, farà sforzi sinceri per una de-escalation generale e creerà le condizioni per il ripristino del funzionamento a pieno titolo del Trattato".

La dura risposta di Biden a Putin

Il rabbioso discorso di Putin è stato seguito dopo qualche ora da quello, molto atteso ed altrettanto duro nei toni, del presidente americano Joe Biden a Varsavia.

Nel suo intervento, durato circa mezz’ora dinanzi ad una folla di circa 30 mila persone riunite ad ascoltarlo nella capitale polacca, il presidente americano ha espresso ancora una volta la sua piena solidarietà nei confronti dell'Ucraina.

Biden ha anzitutto ribadito che la coalizione formata dagli Stati Uniti e dai Paesi europei sosterrà il Paese "fino alla fine", ha sottolineato la determinazione degli Stati Uniti nel difendere il diritto degli ucraini a vivere in libertà ed ha elogiato la resilienza del popolo ucraino nell'affrontare la crisi in corso, affermando che la Russia non vincerà mai in Ucraina.

Queste affermazioni di Biden arrivano il giorno dopo che la sua storica visita a sorpresa nella capitale ucraina ha già rappresentato un fortissimo segnale di sostegno americano nei confronti di Zelensky e del suo Paese. "Sono appena tornato da una visita a Kyiv e posso dire che Kyiv è forte. Kyiv è orgogliosa. E soprattutto, è libera", ha ricordato il presidente americano.

Tale messaggio è stato rafforzato ieri dalla susseguente visita anche di una delegazione del Congresso degli Stati Uniti guidata dal deputato repubblicano e presidente della Commissione Affari Esteri della Camera dei Rappresentanti, Michael McCaul, che ha lanciato un ulteriore segnale di supporto bipartisan verso l’Ucraina.

Nel corso del suo discorso, Biden non ha mancato di lanciare un nuovo chiaro avvertimento alla Russia, affermando che se Mosca dovesse mai decidere di attaccare uno qualsiasi dei paesi della NATO, ciò sarà considerato come un attacco all'intero blocco della NATO.

Biden ha ribadito a Varsavia che gli Stati Uniti rispetteranno rigorosamente i loro obblighi ai sensi del 5° Articolo del Trattato del Nord Atlantico e che difenderanno ogni centimetro del territorio della NATO da una possibile aggressione russa.

Il presidente americano ha poi ricordato l’effetto delle sanzioni alla Russia, affermando che gli Stati Uniti ed i loro alleati stanno facendo pagare alla Russia un prezzo sempre più elevato per la sua aggressione in Ucraina.

Biden ha quindi continuato annunciando che questa settimana saranno annunciate nuove sanzioni per ridurre ulteriormente la capacità della Russia di eludere quelle già decise in precedenza, ed ha promesso ancora una volta che i colpevoli di crimini di guerra e contro l’umanità saranno consegnati alla giustizia.

Infine, il presidente americano ha rivolto un appello diretto al popolo russo in diretta risposta alle parole di Putin: "Gli Stati Uniti e i Paesi europei non vogliono distruggere la Russia. Non abbiamo intenzione di attaccare la Russia, di impadronirci della Russia, come ha detto Putin nel suo discorso di oggi. Vogliamo vivere in pace. Non siamo vostri nemici. Questa guerra non è necessaria, è una tragedia.

Questa guerra è stata scelta da Putin, è iniziata per sua volontà. Lui può porre fine a questa guerra in qualsiasi momento, ha solo bisogno di dire una parola. Se la Russia pone ora fine alla sua invasione, la guerra finirà immediatamente. Se l'Ucraina cesserà di difendersi, sarà invece la fine dell'Ucraina".

Nessuna prospettiva reale di escalation, resta lo stallo

Nonostante i duri e pressoché inconciliabili toni utilizzati dai due presidenti, nella sostanza è stato annunciato ben poco. Per quanto la propaganda russa abbia cercato in tutti i modi di concentrare l’attenzione sul discorso di Putin, ad esempio lasciando intendere l’arrivo di annunci eclatanti, nulla di tutto questo si è verificato.

Anzitutto, né nel corso della sua visita storica a Kyiv, né del suo discorso di ieri, il presidente americano Biden ha annunciato alcun nuovo aiuto militare consistente all’Ucraina, come i caccia da combattimento o i missili a lungo raggio ATACMS che vengono chiesti a gran voce da Kyiv da diversi mesi.

L’ultimo grande annuncio dagli Stati Uniti in questo senso resta perciò ad oggi quello dell’invio dei carri armati M1 Abrams in Ucraina, avvenuto qualche settimana fa ma che non si trasformerà in realtà sul campo prima di fine anno a causa dei problemi logistici e di addestramento delle truppe ucraine all’utilizzo di questi veicoli.

Tutti gli annunci successivi, incluso l’ultimo pacchetto di aiuti militari da mezzo miliardo di dollari, riguardano esclusivamente la fornitura di nuove munizioni, sistemi di difesa artiglieria, sistemi di difesa aerea e veicoli corazzati più leggeri, che erano già parte integrante di precedenti pacchetti di aiuto militare.

Uno spiraglio per le trattative future

Allo stesso tempo, neppure l’annuncio di Putin sulla sospensione del Trattato START, sembra avere una portata così forte come poteva apparire a prima vista.

Come sottolineato nel pomeriggio dal Ministero degli Esteri russo, infatti, la Russia continuerà a rispettare unilateralmente le limitazioni sul numero di testate nucleari e missili balistici previsti dal Trattato sulla riduzione delle armi strategiche offensive, nonostante abbia deciso di sospendere il Trattato.

Il Ministero ha sottolineato che, al fine di mantenere una certa prevedibilità e stabilità nella sfera missilistica e nucleare, la Russia continuerà anche a aderire rigidamente alle restrizioni quantitative previste dal Trattato.

La Russia, infine, ha anche affermato che continuerà a scambiare notifiche con gli Stati Uniti sui lanci di missili balistici intercontinentali e sui missili balistici a bordo di sottomarini in base all'accordo del 1988 tra l'Unione Sovietica e gli Stati Uniti.

Questo lascia pensare che l’importanza della decisione di Putin sembra essere più nell’annuncio in sé che nella sostanza: la sensazione è che al momento nessuna delle due parti sembra essere davvero interessata ad una nuova corsa alle armi che, ad ogni modo, rischierebbe di essere un boomerang per Mosca, viste le capacità su cui può fare affidamento Washington.

A conferma delle difficoltà russe vi è anche l’indiscrezione, trapelata proprio nella tarda serata di ieri sulla CNN, sul fatto che la Russia avrebbe fallito un test di un missile ipersonico intercontinentale proprio durante la visita di Biden a Kyiv e che nei piani iniziali Putin avrebbe dovuto annunciare il successo di questo test nel suo discorso in mattinata, come ulteriore segnale di minaccia verso l’Occidente.

Comunque sia, la sensazione che resta è quella che al momento nessuno dei due leader abbia voluto annunciare qualcosa che avrebbe potuto essere percepita dall’altra parte come ulteriore escalation del conflitto. Che sia voluto o meno ciò lascia aperto uno spiraglio per future trattative, almeno in linea teorica, nonostante la differenza abissale di posizione tra le due parti.

Allo stesso tempo, però, in maniera altrettanto chiara nessuno dei due presidenti ha lasciato intendere di essere disposto a fare marcia indietro. Anzi entrambi hanno ribadito a chiare lettere dinanzi alla propria opinione pubblica e quella internazionale, quali sono i loro obiettivi reciproci ed apertamente inconciliabili e di essere pronti ad andare avanti fino all’ultimo per ottenerli.

Lo stesso si può dire anche del governo ucraino del presidente Zelensky, che anzi spinge persino di più sull’acceleratore della guerra nella speranza di una veloce conclusione delle ostilità a suo favore grazie all’arrivo delle nuove armi occidentali, come ha affermato nella sua intervista al Corriere della Sera.

Guardando alla realtà dei fatti, non si può quindi che prendere atto del fatto che nessuna soluzione negoziale sembra concretamente essere all’orizzonte nel breve termine, per quanto questo non possa piacere.

A prescindere da tutto quello che abbiamo ascoltato ieri saranno quindi solo i soldati al fronte, e la loro capacità di avanzare o difendersi tra il gelo ed il fango in arrivo, ad essere il fattore chiave che deciderà questa guerra.

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Daniele Angrisani, 43 anni. Appassionato da sempre di politica internazionale, soprattutto Stati Uniti e Russia. 
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