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Guerra in Ucraina

“Mosca ha quasi finito le armi, Putin cercherà la tregua”: il punto dell’analista militare russo Luzin

Putin ha esaurito “oltre l’80%” delle munizioni missilistiche, e gli obiettivi di guerra restano lontani. Possibile una escalation, che colpirebbe “obiettivi militari” in Paesi Nato. Ma la Russia non è pronta a una mobilitazione.
Intervista a Pavel Luzin
Politologo e analista delle forze armate di Putin
A cura di Redazione
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Questo articolo non è firmato a tutela del nostro inviato a Mosca, dopo l'approvazione di leggi contro la libertà di stampa in Russia

Vladimir Putin, al di là dei suoi proclami, non sta raggiungendo gli obiettivi di guerra che si era prefissato. Né ha nuove armi con cui spaventare l’Occidente: il missile intercontinentale Sarmat, appena esibito al mondo, è “un prodotto degli anni ’80 appena rimodernato”. Mentre l’ esaurimento degli ordigni più sofisticati incombe sulle forze russe: già utilizzati “tra l’80 e il 90% dei missili a medio e lungo raggio disponibili”. Nell’immediato,“l’alternativa è tra un cessate il fuoco temporaneo o una escalation”, che potrebbe coinvolgere “depositi bellici in paesi Nato come la Polonia e l’Estonia”. Una mobilitazione militare della Russia, però, “è irrealizzabile”. Pavel Luzin, tra i più ascoltati analisti delle forze armate di Putin, parla a Fanpage.it da Perm, ai piedi degli Urali.

Come va la  guerra? Putin proclama la vittoria a Mariupol. Ma sta davvero vincendo?

No, perché comunque Mariupol non è più una città. È solo un ammasso di rovine. Con tanti morti  e tantissimi rifugiati che probabilmente non torneranno mai. Ci saranno ben pochi abitanti, nella Mariupol conquistata. Possono anche chiamarla vittoria ma è solo un disastro.

L’obbiettivo del controllo del Donbass e dell’Ucraina meridionale potrebbe però essere alla portata.

E anche se fosse raggiunto questo obbiettivo militare, il Cremlino non avrebbe raggiunto alcun obbiettivo politico concreto. Sta solo estendendo la devastazione. E il suo controllo sui territori devastati. Dove non c’è più una popolazione né un’ economia. Solo deserto. Questo non è vincere una guerra. E viene ottenuto a costo di distruggere la reputazione internazionale della Russia, e a costo della sua crescita economica.

L’offensiva continuerà fino al raggiungimento di quali obbiettivi politici?

Gli stessi del 2014 e del febbraio scorso: distruggere lo stato e la cultura dell’Ucraina. Il Cremlino non fermerà questa guerra. Possono accordarsi per un cessate il fuoco, ma dopo sei mesi, o dopo due anni, le ostilità riprenderanno. Fino a quando esisterà l’attuale sistema politico in Russia. Il problema non è solo Putin, ma l’intera élite politica.

Accennava alla possibilità di un cessate il fuoco. Ci si avvicina al terzo mese di conflitto, si  comincia a sentire la fatica della guerra, da parte russa? 

C’è molta stanchezza e poco ottimismo, nelle forze armate russe. Ogni eventuale entusiasmo iniziale se ne è andato.

Come stiamo ad armamenti? Sono state utilizzate parecchie munizioni…

Ritengo che tra l’80 e il 90% degli stoccaggi di missili siano già esauriti. Restano disponibili, e vengono infatti sempre più usati, soprattutto gli aria-terra a corto raggio dei cacciabombardieri. Ma anche in questo caso lo stoccaggio non è enorme. E per la stessa ragione si sta usando massicciamente l’artiglieria, come nel caso dei bombardamenti su Mykolaiv. Ma non si riesce più a colpire con forza la parte occidentale dell’Ucraina.

Per questo potrebbe esserci una tregua?

Putin cercherà di fare qualche tipo di accordo in questo senso. Ma non vuol certo far finire la guerra. La Russia non cercherà un trattato di pace. Nemmeno nei prossimi decenni, se non cambierà il suo sistema politico.

Nel breve termine, l’alternativa al cessate il fuoco è l’escalation?

È possibile, e probabilmente si sostanzierebbe nell’attacco sul territorio di un Paese Nato: un deposito di munizioni in Polonia, per esempio. O un’installazione analoga in Estonia.

Intanto Putin ha sbandierato il lancio di un nuovo missile balistico intercontinentale, il Sarmat: un avvertimento a chi, in Occidente, “cerca di minacciare il nostro Paese”, ha detto il presidente russo. Cambia qualcosa nei rapporti strategici tra Mosca e l’Occidente, dopo il test del Sarmat? 

Il test non ha alcun significato specifico. Perché il Sarmat non è un nuovo missile. È un arma dell’era sovietica, con qualche modernizzazione nelle sue componenti elettroniche. Certamente i vecchi computer analogici son stati sostituiti con qualcosa di più sofisticato. Ma per il resto il missile è pressoché uguale al Voevoda R-36M2 a propellente liquido prodotto negli anni ’80 in Ucraina. Quello del Sarmat non è che un progetto di rilocalizzazione. Anni dopo la dissoluzione dell’Urss e lo smantellamento dei Voevoda, a  Mosca ci si rese conto di non poterli rimpiazzare con gli Yars a propellente solido (i missili balistici noti in Occidente come SS-29): la capacità produttiva era insufficiente. Quindi si decise di tornare a fabbricare i Voevoda. Ma, naturalmente, in Russia.

Quindi in quel che ha detto Putin, ovvero che il Sarmat è praticamente invincibile perché può penetrare tutti i sistemi di difesa, non c’è niente di nuovo?

Anche il missile Voevoda aveva la capacità di superare le difese balistiche, con dieci testate e una quarantina di falsi bersagli a bordo. Bisogna tenere presente che, per il mantenimento delle capacità missilistiche sovietiche, sulle ragioni strettamente strategico-militari prevalgono quelle industriali di politica interna. Prima di tutto, si tratta di preservare l’industria della difesa. Senza il progetto Sarmat, la Russia avrebbe dovuto chiudere gli stabilimenti dell’azienda aerospaziale Makeyev nella regione di Chelyabinsk e a Krasnoyarsk. Dove prima si producevano i missili balistici Sineva utilizzati dai sottomarini della classe Delfin, che sono stati recentemente decommissionati.

E poi ci sono ragioni di politica interna, diceva?

Mosca non vuole che aziende come la Makeyev rimangano senza contratti e chiudano i loro stabilimenti provocando disoccupazione e problemi sociali. Più in generale, non vuole danneggiare la sua reputazione politica. Il Cremlino ha creato un mito secondo il quale negli anni ’90 il liberalismo economico ha distrutto la capacità militare della Russia, con la chiusura di molte fabbriche del settore difesa. I responsabili di allora sono da considerare traditori e criminali, secondo questo mito. Chiudere un’azienda missilistica renderebbe gli uomini del Cremlino vittime della loro stessa mitologia. Politica, insomma. Così nasce il proposito di mantenere intatto il numero di missili nell’arsenale strategico russo.

Nel caso di una escalation del conflitto, la Russia potrebbe ricorrere a una mobilitazione,  alla chiamata di tutti gli “abili” alle armi. Come la prenderebbe la popolazione?

Non credo che ci sarà una mobilitazione. Una delle prime regole della politica è di non iniziare qualcosa che poi non puoi realizzare. La mobilitazione in Russia potrebbe forse essere proclamata o anche iniziata, ma non è realizzabile.

Perché?

Perché dal punto di vista istituzionale le forze armate russe non hanno la capacità di implementare una mobilitazione. Non ci sono abbastanza ufficiali, né abbastanza munizioni, né abbastanza fiducia tra i militari. Per non parlare della fiducia fra le forze armate e il Cremlino. Una mobilitazione darebbe più potere ai generali. Putin non darà mai più potere ai generali. E poi nelle forze armate mancano i quadri in grado di esercitare un leadership su chi sarebbe costretto a prendere le armi: rivolte e diserzioni sarebbero inevitabili. Inoltre, una decisione del genere colpirebbe ancor di più la già provata economia russa. Mi sembra proprio un’ipotesi non praticabile.

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