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Molly vittima dei social a 14 anni: medico legale cita i social come causa di morte per la prima volta

La 14enne Mollly fu risucchiata in un vortice di immagini e video su autolesionismo che avrebbero contribuito a peggiorare la sua depressione fino al suicidio a 14 anni.
A cura di Antonio Palma
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Risucchiata in un vortice di "immagini, video e testi riguardanti autolesionismo, suicidio o comunque di natura negativa o deprimente… alcuni dei quali sono stati selezionati e forniti automaticamente dagli algoritmi senza che Molly li cercasse”, così per la prima volta un medico legale ha registrato tra le cause di morte sul referto di una vittima gli effetti negativi dei contenuti online e in particolare dei social.

Una svolta storica che arriva dal Regno Unito ma anche drammatica se si pensa che la vittima, Molly Russell, aveva solo 14 anni quando nel novembre del 2017 si è suicidata. Una svolta che arriva dopo anni di lotta da parte dei famigliari dell’adolescente che solo dopo la sua morte hanno scoperto che, tramite Instagram e Pinterest, Molly aveva interagito con contenuti che parlavano di autolesionismo e suicidio.

La morte di Molly è avvenuta per “un atto di autolesionismo mentre soffriva di depressione e degli effetti negativi dei contenuti online” ha scritto infatti il coroner Andrew Walker nelle conclusioni della perizia che ha chiuso il caso venerdì scorso.

“Molly sembrava una ragazza normale e sana che andava bene a scuola, essendosi ambientata bene nella vita della scuola secondaria e mostrava un interesse entusiasta per le arti dello spettacolo. Tuttavia, Molly era diventata depressa, una condizione comune che colpisce i ragazzi di questa età. Una condizione che poi è peggiorata. Molly si è iscritta a numerosi siti online che consentivano l'accesso a contenuti per adulti anche se non avrebbero dovuto essere visibili a una 14enne” ha scritto il coroner, aggiungendo: “La piattaforma ha funzionato in modo tale da utilizzare algoritmi tali da provocare, in alcune circostanze, periodi di abbuffate di immagini, videoclip e testi riguardanti autolesionismo e suicidio, alcuni dei quali sono stati selezionati e forniti senza che Molly ne facesse richiesta”.

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“Alcuni di questi contenuti romanzavano gli atti di autolesionismo dei giovani su se stessi. Altri contenuti hanno cercato di isolare la vittima e scoraggiare la discussione con coloro che potevano aiutare” ha osservato il perito, concludendo: “È probabile che il materiale visto da Molly, già affetta da una malattia depressiva e vulnerabile a causa della sua età, abbia influito negativamente sulla sua salute mentale e abbia contribuito alla sua morte in modo più che minimo”.

"È ora di proteggere i nostri giovani innocenti invece di consentire alle piattaforme social di dare la priorità ai loro profitti monetizzando il bisogno dei bambini" ha dichiarato il padre di Molly, Ian Russell, che a lungo si è battuto per riconoscere le responsabilità dei social.

"Questi ultime quindici giorni sono stati particolarmente dolorosi per la nostra famiglia; Molly ci manca più del solito, ma speriamo che l’attenzione che questo caso ha ricevuto aiuterà a prevenire morti simili incoraggiate dal contenuto inquietante che è ancora oggi disponibile sulle piattaforme di social media” ha concluso.

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