Missili indiani contro il Pakistan, 38 morti: rischio guerra tra potenze nucleari, perché e cosa succede

L’India ha colpito almeno 9 siti in Pakistan e nel  Kashmir amministrato dal Pakistan causando morti e feriti. Lo scontro tra i due Paesi, entrambi dotati di armi nucleari, arriva a due settimane dall’attacco terroristico di Pahalgam, in India, dove un commando di miliziani ha ucciso almeno 38 persone.
A cura di Davide Falcioni
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L'India ha lanciato missili e colpito almeno 9 siti in Pakistan e nel  Kashmir amministrato dal Pakistan causando morti e feriti. L'azione militare che si attendeva da giorni arriva settimane dopo l'attacco terroristico nel Kasmhir indiano da parte di miliziani che le autorità di Nuova Delhi considerano supportati dal Pakistan.

Le autorità indiane sostengono che le azioni militari "sono state mirate, misurate e non hanno avuto carattere di escalation". Secondo il Pakistan, sono state colpite tre aree diverse: Muzaffarabad e Kotli nel Kashmir amministrato dal Pakistan e Bahawalpur nella provincia pakistana del Punjab. Il ministro della Difesa pakistano Khawaja Asif ha dichiarato a GeoTV che i raid missilistici hanno colpito zone civili, aggiungendo che l'affermazione dell'India di "aver preso di mira campi terroristici" è falsa. Il Pakistan, per voce del suo premier Shebaz Sharif, ha dunque chiarito che quello indiano è stato un "atto di guerra" e promesso una risposta altrettanto dura.

L'artiglieria di Islamabad ha infatti replicato conducendo attacchi contro il territorio indiano e uccidendo almeno diverse persone, ma anche abbattendo almeno cinque caccia nemici. Nel complesso, negli attacchi aerei indiani in sei località del Pakistan e negli scontri a fuoco tra i due eserciti in Kashmir avrebbero perso la vita almeno 38 civili – tra le quali due bambine – e oltre cinquanta persone sarebbero rimaste ferite. Le autorità indiane del Jammu e Kashmir hanno ordinato l'evacuazione dei cittadini dalle aree della regione ritenute pericolose.

Perché l'India ha attaccato il Pakistan

Le relazioni tra India e Pakistan, da sempre tese, sono ulteriormente peggiorate dopo il sanguinoso attacco del 22 aprile scorso nella località turistica di Pahalgam, in Kashmir, dove un commando di miliziani ha ucciso 26 civili, in quello che è stato definito il peggior attentato degli ultimi vent’anni nella regione. Testimoni hanno raccontato che gli aggressori avrebbero preso di mira specificamente uomini di religione induista.

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Il primo ministro indiano Narendra Modi aveva promesso una risposta dura, dichiarando che i responsabili "saranno puniti oltre ogni loro immaginazione" e che l’India li inseguirà "fino ai confini della Terra". Finora Nuova Delhi non ha attribuito ufficialmente l’attacco a nessun gruppo specifico; secondo le autorità indiane, tuttavia, almeno due degli attentatori sarebbero cittadini pakistani. Accuse respinte con fermezza da Islamabad, che ha negato ogni coinvolgimento e definito "infondate" le accuse di sostegno al terrorismo.

Nel frattempo, le due potenze nucleari si sono scambiate una serie di ritorsioni diplomatiche: espulsione di funzionari, sospensione dei visti e chiusura di alcuni valichi di frontiera. Molti analisti temono che si possa arrivare a un’escalation militare, come accadde nel 2019 dopo l’attacco di Pulwama, in cui persero la vita 40 paramilitari indiani.

Il rischio di una guerra nucleare tra potenze atomiche

Le tensioni delle ultime settimane, e gli scontri diretti di queste ore, sono estremamente preoccupanti. Sia l'India che il Pakistan sono infatti potenze nucleari, cioè possiedono armi nucleari e la capacità di usarle.

Il possesso di armi nucleari da parte di questi due Paesi ha profondamente cambiato la dinamica delle loro relazioni. Da un lato, si è creato un equilibrio del terrore simile a quello della Guerra Fredda tra Stati Uniti e Unione Sovietica: entrambi gli stati sanno che un attacco nucleare comporterebbe una risposta devastante, e questo ha finora contribuito a evitare una guerra su larga scala. Dall’altro lato, però, la presenza di armamenti nucleari aumenta i rischi in caso di escalation improvvise o di errori di calcolo.

Inoltre, le dottrine nucleari dei due paesi sono differenti: l’India ha adottato ufficialmente una politica di "no first use", cioè si impegna a non usare per prima le armi nucleari in un conflitto. Il Pakistan, invece, non ha adottato questa posizione e mantiene una postura più ambigua, giustificandola con la necessità di compensare la superiorità convenzionale dell’India.

Un altro aspetto preoccupante è il fatto che entrambi i paesi hanno sviluppato capacità nucleari tattiche e sistemi di lancio sempre più sofisticati, come missili balistici a medio e lungo raggio. Inoltre, il crescente coinvolgimento di attori non statali nella regione, come gruppi terroristici, solleva timori su una possibile destabilizzazione o addirittura sull'accesso illecito a materiali nucleari.

Kashmir, punto strategico critico tra India e Pakistan: i motivi delle tensioni

La regione del Kashmir continua a essere una polveriera. Rivendicata interamente sia dall’India sia dal Pakistan, è suddivisa e amministrata solo parzialmente dai due Paesi sin dalla fine del dominio coloniale britannico nel 1947. Da allora, India e Pakistan hanno combattuto due guerre per il suo controllo, ma è il conflitto a bassa intensità – fatto di attacchi militanti e tensioni diplomatiche – a mantenere alto il rischio di confronto diretto.

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Dal 1989 il Kashmir indiano è teatro di un’insurrezione armata contro il governo di Nuova Delhi. Militanti armati hanno spesso colpito sia forze di sicurezza che civili. L’attacco di Pahalgam rappresenta il primo attentato su larga scala contro la popolazione non belligerante dopo l’abolizione, nel 2019, dell’Articolo 370 della Costituzione indiana, che garantiva alla regione uno status speciale di autonomia. L'articolo, in particolare, concedeva allo Stato del Kashmir una propria costituzione, una bandiera separata e la libertà di legiferare. Affari esteri, difesa e comunicazioni rimanevano invece di competenza del governo centrale. Una decisione che provocò proteste diffuse ma anche un crollo dell’attività militante e un boom del turismo.

Scontri tra India e Pakistan si sono verificati anche in passato: nel 2016, dopo l’attacco alla base militare di Uri che costò la vita a 19 soldati, l’India rispose con attacchi "chirurgici" oltre la Linea di Controllo. Tre anni dopo, fu la volta dei raid aerei a Balakot, in territorio pakistano, in risposta all’attentato di Pulwama. Anche allora si temette il peggio, ma i due Paesi evitarono un’escalation irreversibile.

Le reazioni internazionali

Le reazioni internazionali non si sono fatte attendere. "Il mondo non può permettersi uno scontro militare" tra India e Pakistan, ha dichiarato il portavoce del segretario generale delle Nazioni Unite Guterres. Secondo Trump l'attacco "è una vergogna": il presidente americano ricorda che i due Paesi si sono combattuti molto a lungo – "per secoli", dice, dimenticando che India e Pakistan sono nati solo nel 1947 come conseguenza della spartizione dell'impero coloniale britannico. Secondo la Turchia "l'attacco compiuto dall'India ieri sera ha creato il rischio di una guerra totale. Condanniamo tali azioni provocatorie e attacchi contro i civili e le infrastrutture civili".

Cina pronta a intervenire "per allentare tensioni tra India e Pakistan"

"La Cina è pronta a collaborare con la comunità internazionale e a continuare a svolgere un ruolo costruttivo per allentare le tensioni attuali" fra India e Pakistan. Lo ha dichiarato un portavoce del ministero degli Esteri cinese, Lin Jian, come riporta il Global Times.

"L'India e il Pakistan sono e saranno sempre vicini. Entrambi sono anche vicini della Cina. La Cina si oppone a ogni forma di terrorismo. Esortiamo entrambe le parti ad agire nell'interesse superiore della pace e della stabilità, a mantenere la calma, a dar prova di moderazione e ad astenersi da azioni che potrebbero complicare ulteriormente la situazione", ha aggiunto, ribadendo che Pechino ritiene "deplorevole l'operazione militare condotta dall'India" ed è preoccupata "per la situazione in evoluzione".

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