Libano, viaggio a Dahieh dove si festeggia dopo la tregua con Israele: “Hezbollah ricostruirà tutto”
Dal marciapiedi ancora sporco di detriti, calcinacci e pezzi di vetro si intravede l’ingresso di un salone di barbiere, alle undici di mattina, pieno. Le facce sono sorridenti, i ragazzi scherzano e si prendono in giro. L’edificio non è stato colpito, ma quello di fronte sì, e lo spostamento d’aria ha frantumato le vetrate fino all’ultimo piano. Ai lati del salone due serrande di negozi, ormai impossibili da aprire, sono rigonfie e creano un effetto surreale. La musica alta arriva in strada dagli altoparlanti rivolti all’esterno e si mischia alle loro voci allegre e al chiasso dei clacson, al rumore delle officine, delle botteghe, degli artigiani che adesso hanno tanto lavoro da fare.
La fatica non pesa però: si lavora con calma, ma con costanza. A pochi metri, fra due macchine parcheggiate alla buona, si batte il ferro di una finestra, si inchiodano tavole di legno e non si capisce bene se sia la bottega di un fabbro o di un falegname. O magari nessuna delle, ma un basso adattato per l’occasione. Qui è un labirinto di stradine, vicoli, viuzze senza un disegno preciso. Prima della guerra civile libanese (1975-90), Dahieh, che in arabo vuol dire sobborgo, era già una delle aree periferiche appena fuori dal centro di Beirut più popolose.
In varie ondate – soprattutto 1920/43 e 1960 – gli sciiti dal sud del Libano e dalla Bekaa, nell’est del paese, vi si riversarono per scappare dalle condizioni difficili della campagna e per trovare protezione politica, essendo quella sciita la comunità più oppressa in Libano. Nei contesti rurali e nella Dahieh appunto, che nel 1975 accoglieva circa il 45 per cento della comunità sciita libanese, presero forma e sostanza i movimenti politici sciiti, nati come veri e propri movimenti di rivalsa sociale. Primo fra tutti quello di Amal, "il movimento dei deprivati", fondato dall’imam Musa al Sadr, scomparso misteriosamente in Libia il 31 agosto 1978, e Hussein el Husseini, figura chiave negli accordi di Ta’if che sancirono la fine della guerra civile nel paese, tanto da essere soprannominato Abu-Ta’if, il padre di Ta’if.
Nel 1982 in risposta all’invasione israeliana del Libano durante la guerra, ispirato dalla rivoluzione iraniana del 1979, nasce Hezbollah in un ambiente sociale assetato di riscatto e giustizia.
È questo a grandi linee il contesto in cui la Dahieh diventa il cuore politico pulsante dei due gruppi sciiti ma, con la scomparsa di Musa al Sadr prima e con il ruolo sempre più centrale dell’ala armata del Partito di Dio (traduzione letterale di Hezbollah, Hezb-Allah), diventa praticamente quella che anche oggi viene definita a detta di tutti la roccaforte di Hezbollah nella capitale libanese.
Il Partito di Dio ha dichiarato vittoria su Israele e se questo sia vero o no, poco importa. Qui è vero. Per strada, facendo attenzione ad evitare i detriti, si infilano tra le auto i motorini con su ragazzini poco più che quindicenni avvolti nelle bandiere gialloverdi di Hezbollah e in quelle giallorosse di Amal, tutti vestiti di nero, segno del lutto che gli sciiti portano per la morte del genero del profeta Muhammad, l’imam Hussein, capostipite dello sciismo.
Alcuni indossano delle mascherine e presto si capisce il perché: da molti dei palazzi distrutti, collassati su se stessi, sale un tanfo malsano, nauseabondo, di carne umana in decomposizione. Sono stati talmente tanti e talmente tanto ravvicinati e violenti i bombardamenti israeliani di martedì nelle ore precedenti alla tregua, che è stato impossibile estrarre dalle macerie i corpi delle vittime. E queste scene di vita da un lato e di morte dall’altro sono una congiunzione di opposti difficile da tenere insieme.
Hassan Fadlallah, deputato in vista di Hezbollah, dopo aver dichiarato vittoria, ha precisato che il testo in tredici punti trapelato dell’accordo per il cessate il fuoco non è quello che Hezbollah aveva approvato. Se questa sia una strategia politica e comunicativa per prendere le distanze da un accordo che lascia praticamente mano libera a Israele in Libano, non è al momento possibile da stabilire. Certo è che l’esercito israeliano non ha tardato a far valere questo diritto di prelazione, stabilendo un coprifuoco sommario, continuando a colpire Hezbollah ben oltre la Linea Blu, sparando su e ferendo giornalisti andati a sud per documentare le ore successive al cessate il fuoco.
Ma a Dahieh adesso è un’altra cosa. "Hezbollah ricostruirà tutto, lo sappiamo. Abbiamo fiducia in Hezb, nel partito", ci dice Miriam, una donna sulla trentina. È la sua voce a dirlo, ma avrebbero risposto tutti e tutte allo stesso modo. "Siamo noi Hezbollah", continua.
È impossibile capire Hezbollah se non si capisce il legame con la comunità sciita nel contesto libanese. Il Libano è una repubblica democratica parlamentare fondata su una divisione del potere e della società su base comunitario-religiosa. Israele unica democrazia del medioriente è un falso storico: c’è anche il Libano.
Il presidente della repubblica deve essere cristiano, quello del consiglio dei ministri sunnita ed il capo del parlamento sciita. Altri incarichi importanti, per convenzione, vengono assegnati agli altri gruppi minoritari, come i drusi ad esempio. Le comunità sono in prevalenza localizzate in territori (o in villaggi all’interno dei territori) specifici e per “religiose” bisogna intendere un’appartenenza culturale, morale, sociale, prim’ancora che strettamente teologica.
I partiti/gruppi politici sono vere e proprie entità egemoniche, assolutizzanti e, in un sistema corrotto all’interno di uno stato debole, in un contesto economico fortemente liberista, essi diventano l’unico punto fisso delle comunità per lavoro, assistenza, welfare.
L’associazione è semplice e precisa. Siamo noi Hezbollah vuol dire: se scompare Hezbollah, scompare in termini di rappresentanza la comunità che ad Hezbollah fa riferimento. È qui la vera essenza della muqawwama, la resistenza, cardine ideologico del Partito di Dio, e cioè in questa sinonimia tra resistenza ed esistenza.
Per questo Hezbollah, agli occhi degli sciiti, ha vinto. Per questo, nonostante i 4mila morti e i 17mila feriti, nonostante il tanfo di morte, gli sciiti festeggiano.
Se ciò possa essere ascritto a categorie logiche comprensibili in Occidente, è un’altra questione. Hezbollah, nella Dahieh, nel sud, nell’est del paese, in queste ore che seguono quasi 14 mesi di guerra, una guerra tremenda da metà settembre a oggi, festeggia la vittoria.