
“Gli iraniani sono preoccupati e delusi. Molti speravano che la guerra si concludesse con un cambiamento di regime ma invece il conflitto ha peggiorato le cose per noi”, ci ha spiegato Minoo, 27 anni, studentessa di Teheran. “La guerra ha reso il regime ancora più repressivo verso gli iraniani. Hanno iniziato ad arrestare centinaia di persone in questi giorni. Un’ondata di tristezza sta colpendo la gente comune”, ha aggiunto. “L’amara esperienza delle mobilitazioni del passato ha lasciato chi si oppone al regime senza speranze che un movimento civile di protesta possa cambiare le cose in Iran”, ha concluso la giovane che ha preso parte al movimento “Donna, vita, libertà” nel 2022, innescato dalle violenze della polizia che hanno causato la morte della giovane curda, Mahsa Amini, diventata poi il simbolo delle mobilitazioni contro il regime.
Una disillusione condivisa
Tanti giovani iraniani condividono questo senso di impotenza in seguito al cessate il fuoco tra Iran e Israele, annunciato dal presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, dopo i raid Usa contro le centrali nucleari iraniane del 22 giugno scorso. “Se questi 12 giorni di guerra finiranno davvero così nessuno in Europa e negli Stati Uniti si interesserà più del regime repressivo in Iran. In questo caso gli iraniani sono i grandi sconfitti di questa guerra”, ha commentato Datis, 35 anni, docente di Rasht, nel Nord del paese, città colpita ripetutamente dai raid israeliani nei giorni scorsi. “Con ogni probabilità nelle prossime settimane saranno approvate leggi ancora più restrittive, e ci saranno ancora meno diritti in Iran. Il regime diventerà sempre più oppressivo”, ha ammesso Datis.
Centinaia di arresti
A conferma delle preoccupazioni di tanti iraniani non si sono fatti attendere arresti e minacce nelle ore immediatamente seguenti all’annuncio del cessate il fuoco. Si sono registrati arresti massa soprattutto nelle province curde del Nord-Ovest del paese, con il parallelo massiccio dispiegamento di forze di sicurezza. Sin dal primo giorno di raid israeliani il 13 giugno scorso, è iniziata una diffusa campagna di arresti di cittadini comuni fermati ai checkpoint, improvvisati dalla polizia. Nonostante questo, gli iraniani non sono scesi in strada a chiedere la fine del regime mentre varie sono state, d’altra parte, le manifestazioni di sostegno all’élite politica e militare del paese. Dalla minaccia di infiltrazioni di agenti israeliani del Mossad che ha provocato decine di arresti e l’esecuzione di condanne a morte, fino al timore dell’attivazione dei gruppi curdi e non solo.
L’Iran è il paese delle minoranze che chiedono più diritti: dal partito democratico del Kurdistan iraniano (PdkI), al Pjak, fino ai separatisti arabi di Ahvaz e ai baluchi del Sistan e Baluchistan, per non parlare dei gruppi terroristici all’estero, inclusi i Mujaheddin e-Khalq. E così l’allerta a Teheran è massima. “Siamo molto cauti in questa fase perché il regime può sfruttare la situazione per procedere con arresti di massa. Ci aspettiamo tempi bui”, ci ha spiegato Sorush, giovane attivista di Teheran. Secondo il gruppo iraniano per i diritti umani Hrna, 705 sono state le persone arrestate con accuse legate alla sicurezza e al pericolo di organizzare proteste sin dall’inizio della guerra. Molti degli arresti sono avvenuti nelle regioni di confine con il Pakistan, l’Iraq e l’Azerbaijan.
Ma il regime è indebolito
“Infiltrazioni, cospirazioni e bombe: tutti questi sono segni che il regime non gode di buona salute”, ci ha spiegato Ahmad, 35 anni, ingegnere di Teheran. “La situazione è molto complicata. Da quando è entrato in vigore il cessate il fuoco, continuano a sorvolare nei nostri cieli gli elicotteri della difesa aerea”, ha proseguito Ahmad. “Le infiltrazioni delle istituzioni della Repubblica islamica che hanno permesso agli attacchi israeliani del 13 giugno di avere successo sono un problema molto grave per il sistema. Ayatollah e pasdaran sapranno affrontarlo davvero o vorranno solo mettere ulteriore pressione sugli iraniani con arresti e minacce?”, si chiede con amarezza Ahmad.
Tra i sostenitori del regime
“La rivoluzione islamica ha permesso all’Iran di essere più forte e indipendente”, mi disse una volta un anziano sostenitore degli ayatollah a Teheran. Di sicuro questa necessità di dimostrare l’indipendenza iraniana è sempre presente nelle parole della guida suprema, Ali Khamenei. Nella sua ultima apparizione televisiva, dopo giorni in cui è rimasto nascosto e ha tagliato tutte le comunicazioni telefoniche per evitare di essere intercettato, il leader religioso sciita, 86 anni, non ha usato mezzi termini. Ha sostenuto che gli Usa “non hanno ottenuto nulla di significativo” dalla guerra e che l’Iran “ha preso a schiaffi” Washington attaccando lo scorso 23 giugno la base Usa in Qatar. In realtà Donald Trump ha fatto sapere che la base americana era stata evacuata e che tutti i missili di Teheran sono stati intercettati. “Khamenei ha mantenuto i nervi saldi rispetto a Trump e Netanyahu. Molti iraniani credono davvero che abbia dato filo da torcere all’esercito israeliano”, ha aggiunto Massoud, 60 anni di Teheran. Le centinaia di vittime, ricordate con l’accensione di candele in piazza Azadi a Teheran, la distruzione delle centrali nucleari di Natanz, Isfahan e Fordow, i bombardamenti nel centro di Teheran sono sembrati ai sostenitori del regime poca cosa rispetto alla capacità di sopravvivenza che ha dimostrato la Repubblica islamica.
Tra guerra e propaganda
E così sono comparsi per le strade di Teheran, in parallelo con i festeggiamenti per il cessate il fuoco, gigantografie di Khamenei ai cui piedi un Trump inginocchiato implora con le mani giunte di accettare la tregua. Oppure sui social network, spopolano meme che riproducono il saluto sul palco di un teatro di Trump, Netanyahu, Khamenei e dell’emiro del Qatar al-Thani, come se questa guerra fosse stata un grande show. Di sicuro le telefonate reciproche prima dei bombardamenti, le notizie contraddittorie sulla distruzione delle centrali nucleari iraniane, diffuse, smentite e confermate da media e vertici militari negli Stati Uniti, sono state rilanciate al mittente da Teheran che addirittura ha sostenuto di aver spostato in tempo le riserve di uranio dalla centrale di Fordow prima dei bombardamenti. Queste narrative contrapposte hanno contribuito ad alimentare la sensazione tra i sostenitori del regime e non solo che questi giorni siano stati “una grande farsa”. Così come le notizie dei vertici iraniani uccisi e poi riapparsi sani e salvi, come il consigliere di Khamenei, Ali Shamkhani, e la guida delle milizie al-Quds, Esmail Qaani.
L’uscita dall’Aiea
“Ormai gli ayatollah iraniani hanno completamente perso i loro ideali rivoluzionari, legati alla difesa degli oppressi e della causa palestinese, mentre non si ferma il genocidio a Gaza, a favore di un approccio completamente capitalista”, ci ha spiegato Shirin, ricercatrice all’Università di Teheran. Il nuovo passo per manifestare l’indipendenza della Repubblica islamica è stata l’approvazione da parte del Consiglio dei Guardiani, l’organo che può dire l’ultima parola sulle leggi votate dal parlamento iraniano, dell’uscita di Teheran dall’Agenzia internazionale per l’Energia atomica (Aiea). “Lo capisco. Gli iraniani si sono sentiti presi in giro dalle accuse del direttore dell’Aiea, Rafael Grossi, che hanno fatto credere che gli ayatollah fossero pronti ad avere l’atomica”, ha aggiunto Shirin.
In realtà l’ayatollah Khamenei ha emesso un pronunciamento religioso, fatwa, contro le armi nucleari negli anni Novanta e tutte le autorità iraniane hanno sempre sottolineato lo scopo civile del programma nucleare di Teheran. “Se gli ayatollah avessero voluto l’atomica avrebbero chiesto al Pakistan che già ha fornito centrifughe usate nel programma nucleare iraniano”, ha aggiunto Naima, docente di Yazd. In realtà, le tensioni tra Iran e Pakistan, che detiene armi nucleari, così come Israele che però non aderisce al Trattato di non proliferazione nucleare, sono andate diminuendo con il ritorno dei talebani in Afghanistan. E così Islamabad ha duramente criticato i raid israeliani e statunitensi contro l’Iran nei giorni scorsi.
Un nuovo negoziato?
È difficile che in questo contesto si possa tornare a parlare di negoziato sul nucleare iraniano in Oman. Il presidente degli Stati Uniti è arrivato a promettere la fine delle sanzioni ai paesi terzi che fanno affari con l’Iran, inclusa la Cina. In realtà, la possibile uscita dall’Aiea e dal Trattato di non proliferazione da parte iraniana potrebbe cambiare non poco le carte in tavola. Mentre è chiarissima per gli iraniani la debolezza negoziale europea. La diplomazia iraniana ha in particolare stigmatizzato il ruolo francese nell’intercettare i droni iraniani lanciati contro Israele. E Teheran ha sottolineato la mancata condanna da parte europea delle violazioni del diritto internazionale da parte di Tel Aviv negli attacchi contro l’Iran.
Più in generale, Trump si è dimostrato poco interessato ai tentativi negoziali promossi da Francia, Germania e Gran Bretagna prima degli attacchi di Washington contro Teheran. Sicuramente l’Iran non esce vincitore dai dodici giorni di guerra con Israele e Stati Uniti. Il paese ha dimostrato di non essere militarmente all’altezza di Tel Aviv e Washington. Non solo, Teheran è apparsa estremamente vulnerabile alle infiltrazioni dell’intelligence israeliana e questo non è di sicuro un segno di buona salute per il regime. E così, ancora una volta a pagare le conseguenze dell’indebolimento delle istituzioni della Repubblica islamica saranno gli iraniani, già strangolati da anni di sanzioni economiche internazionali.
Si aprirà ora una stagione di sospetto e repressione senza precedenti che porterà le lancette indietro ai periodi più bui della storia iraniana, con arresti arbitrari e il bavaglio alla società civile. Servirà a poco la guida moderata del presidente Massoud Pezeshkian, perché le sue decisioni possono essere costantemente bloccate dal Consiglio dei Guardiani.
Tuttavia, un effetto positivo questo conflitto lo ha prodotto. La strategia di ottenere cambiamenti di regime e avviare transizioni democratiche con le bombe non funziona. Israele e gli Stati Uniti non sono riusciti ad esportare la democrazia in Iran con la guerra. Saranno gli iraniani a liberarsi di questo regime quando il cambiamento sarà davvero centrale per i giovani di Teheran. La guerra invece ha prodotto, come sempre, l’effetto opposto motivando a sostenere gli ayatollah anche chi normalmente li critica pur di affermare l’indipendenza di un paese che ha una storica tradizione di autonomia e che non ha mai visto di buon occhio l’allineamento con gli interessi delle grandi potenze regionali.