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Israele invierà 5.000 dosi di vaccino Pfizer ai palestinesi

Israele ha deciso di consegnare 5.000 dosi del vaccino anti-Covid ai palestinesi. L’accordo arriva dopo che la campagna vaccinale israeliana ha escluso circa 5 milioni di persone che vivono tra Cisgiordania e Striscia di Gaza, la cui giurisdizione è ancora oggetto di contendere. I confini sono controllati da Israele e per questo motivo, secondo la comunità internazionale, proprio Israele avrebbe dovuto provvedere alle necessità in campo sanitario dei due territori.
A cura di Gabriella Mazzeo
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Israele invierà ai palestinesi 5.000 dosi di vaccino anti-Covid prodotto da Pfizer, destinate ai sanitari e a coloro che combatto in prima linea in ambito ospedaliero il virus. I vaccini saranno consegnati questa settimana secondo il ministero della difesa e Osama a-Najar, dirigente del ministero della Sanità palestinese, ha riferito che nei prossimi giorni il paese riceverà diversi quantitativi di siero prodotti non sono da Pfizer, inviati da Israele, ma anche Sputnik della Russia e Astra Zeneca, britannico. I primi ad essere vaccinati saranno personale medico, anziani e i cittadini che soffrono di malattie croniche. L'obiettivo è vaccinare almeno l'80% della popolazione tra Cisgiordania e Gaza. 

La campagna di vaccinazione anti-Covid portata avanti da Israele è stata una delle più efficaci al mondo, con risultati che la portano ad essere il primo paese in una classifica internazionale per le vaccinazioni effettuate. Aveva escluso però fino ad ora i palestinesi che vivono nei territori di Cisgiordania e Striscia di Gaza. Israele prevede di vaccinare tutti i suoi cittadini sopra i 16 anni entro la fine di marzo e per farlo ha acquistato 8 milioni di dosi del vaccino prodotto da Pfizer per una popolazione di circa 9 milioni. Per assicurarsi la consegna, avrebbe pagato il siero molto di più degli altri paesi: 62 dollari a dose contro i 19 degli Stati Uniti. Israele ha acquistato anche dosi di Moderna e AstraZeneca, rispettivamente sei milioni e dieci milioni di fiale.

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Il diritto al vaccino in Cisgiordania e Gaza

Il diritto al vaccino spetta a tutti i cittadini israeliani (arabi, ebrei, palestinesi ecc.)  ma coloro che vivono in Cisgiordania e nella Striscia di Gaza, la cui giurisdizione è oggetto di discussione e contendere da anni, non hanno potuto  accedere alla campagna vaccinale. Si tratta di 5 milioni di persone che resterebbero fuori dal controllo sanitario per prevenire il contagio e interrompere la catena della pandemia, eppure quelle zone rappresentano un punto importante per la lotta al virus: circa 160mila persone fino ad ora sono risultate positive al Covid tra Gaza, Cisgiordania e Gerusalemme est. I morti sono circa 1.800. Da qui, la decisione di iniziare a fornire migliaia di dosi di vaccino anche a coloro che fino ad ora erano rimasti fuori dalla campagna: 5.000 dosi non sono sicuramente sufficienti per coprire almeno l'80% della popolazione tra Cisgiordania e Gaza, ma sono un inizio.

Il problema dell'Autorità palestinese per quanto riguarda i vaccini è sicuramente economico e tecnologico: i fondi a disposizione sono pochi e le tecnologie per la conservazione di fiale a temperature bassissime sono insufficienti. Il problema è ancora più grave nella Striscia di Gaza, dove l'elettricità ha le ore contate ogni giorno. Il controllo dei confini delle due zone da parte di Israele, inoltre, prevede l'approvazione di qualsiasi entrata. Sarebbe Israele a decidere quindi cosa entra, quando ed, eventualmente, anche quante dosi.

I lavoratori che attraversano i confini per andare a lavorare in Israele dalla Cisgiordania, anche in tempi di pandemia, sono moltissimi. Potrebbe essere stato questo uno dei motivi che ha spinto Israele a raggiungere un accordo, seppure esiguo per il momento, per evitare che gli sforzi fatti all'interno del Paese siano "vanificati" da una scarsa copertura sul resto della popolazione.

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