Israele ha un programma nucleare segreto che non nomina: mentre accusa l’Iran, rafforza il suo arsenale atomico

Israele non ha mai confermato di possedere armi nucleari. Ma non lo ha nemmeno mai negato. Ufficialmente, Tel Aviv adotta la cosiddetta "policy of opacity", una strategia di ambiguità intenzionale che le consente di evitare responsabilità giuridiche e diplomatiche, senza però smentire ciò che molti governi e analisti danno ormai per assodato: Israele ha l'atomica. Anzi, pare disponga di ben 80-90 testate nucleari, anche se alcune stime parlano addirittura di 200. Questa postura si riflette anche nella formula diplomatica adottata nei consessi internazionali: Israele afferma che non sarà il "primo Paese a introdurre armi nucleari in Medio Oriente". Ma il termine "introdurre" è volutamente vago e questo permette al governo israeliano di eludere qualsiasi discussione formale sulla questione. Insomma, mentre il mondo osserva con attenzione il programma nucleare iraniano, accusato di voler sviluppare un'arma atomica pur restando firmatario del Trattato di Non Proliferazione (TNP), Israele mantiene una forza nucleare di fatto fuori da ogni controllo.
Quante testate nucleari possiede Israele
Secondo le stime più accreditate, Israele disporrebbe di circa 90 testate nucleari operative, ma il numero potrebbe essere molto più alto. Organizzazioni come il Center for Arms Control and Nonproliferation e il Nuclear Threat Initiative ritengono infatti che lo Stato ebraico abbia "materiale fissile sufficiente per produrre fino a 200 testate". Questo rende Israele uno dei nove Paesi al mondo a possedere armi nucleari, secondo i dati aggiornati al 2025 dalla Federation of American Scientists. Nella classifica per quantità di armi, Israele si posiziona davanti solo alla Corea del Nord, ma la sua capacità operativa e il grado di segretezza lo rendono un caso unico.
I nove Stati nucleari del mondo
Attualmente, i Paesi ufficialmente (o di fatto) dotati di armi nucleari sono:
- Russia, con oltre 5.500 testate
- Stati Uniti, con 5.044 testate
Seguono Cina, Francia, Regno Unito, Pakistan, India, Israele (appunto), Corea del Nord.
Oltre 12.300 testate sono oggi presenti nel mondo, con oltre 9.600 mantenute in arsenali militari attivi. Russia e Stati Uniti da soli detengono quasi il 90% del totale. Israele, secondo diverse fonti, non solo ha testate pronte all’uso ma anche la capacità di lanciarle da aerei, sottomarini e missili balistici terrestri.
Il Trattato che Israele non ha mai firmato
Israele non è firmatario del Trattato di Non Proliferazione Nucleare (TNP), entrato in vigore nel 1970: si tratta di un accordo fondamentale nel panorama della sicurezza globale, perché impegna i Paesi a non diffondere armi nucleari, promuove l'uso pacifico dell'energia atomica e chiede agli Stati dotati di armi nucleari di perseguire il disarmo. A non aderire al TNP sono solo cinque Paesi: Israele, India, Pakistan, Corea del Nord (che lo ha abbandonato nel 2003) e Sud Sudan. Questo significa che Israele non ha mai accettato ispezioni internazionali sull'uso del suo materiale nucleare e non è vincolato alle regole internazionali sulla trasparenza e la non proliferazione. L'Iran, invece, è formalmente parte del TNP e proprio su questa base, le potenze occidentali, Israele in primis, lo accusano di violare gli obblighi previsti dal trattato attraverso un arricchimento dell'uranio giudicato eccessivo e potenzialmente finalizzato alla costruzione di una bomba.
La storia del programma nucleare israeliano
Il progetto nucleare israeliano, come spiega anche un articolo del New York Times pubblicato oggi, risale agli anni successivi alla fondazione dello Stato, cioè nel lontano 1948. Nel 1952 viene istituita la Israel Atomic Energy Commission, con l'obiettivo dichiarato di garantire la sicurezza nazionale in un contesto ostile, a pochi anni dalla Shoah. Uno dei promotori storici, Ernst David Bergmann, dichiarò: "Una bomba nucleare garantirà che non saremo mai più condotti come agnelli al macello". Nel 1958 iniziano i lavori del sito nucleare segreto di Dimona, nel Negev, un impianto che è rimasto fino a oggi al centro delle attività atomiche israeliane. Un rapporto dell'intelligence statunitense, desecretato e risalente al 1960, segnalava già allora la presenza di un impianto per la produzione di plutonio. E secondo l'Arms Control Association, Israele acquisì la capacità tecnica di costruire ordigni nucleari già intorno al 1967. Poco dopo, nel 1973, gli Stati Uniti avevano ormai accettato l’esistenza del programma atomico israeliano.
Israele non ha mai usato o testato le sue armi nucleari
Israele non ha mai usato armi nucleari in conflitto. Durante le guerre del 1967 e del 1973, secondo alcune fonti citate dalla Jewish Virtual Library, valutò però la possibilità di impiegare le bombe atomiche, ma alla fine decise di non farlo. Un episodio controverso resta il cosiddetto "incidente Vela" del 1979: un satellite americano rilevò una doppia esplosione luminosa, tipica di un test nucleare, tra l’Oceano Indiano e l’Atlantico del Sud. Le ipotesi si concentrarono su Israele e Sudafrica, ma l'evento non è mai stato confermato ufficialmente. I documenti restano in gran parte classificati, ma nel diario dell'allora presidente Jimmy Carter si parla di una "crescente convinzione" che si fosse trattato di un test israeliano.
Dimona: il cuore segreto del programma
Il sito nucleare di Dimona è considerato il centro nevralgico del programma israeliano. Non è mai stato aperto alle ispezioni dell'Agenzia Internazionale per l'Energia Atomica (AIEA), e da decenni non riceve visite nemmeno da parte di scienziati americani. Negli ultimi cinque anni, immagini satellitari hanno rilevato importanti lavori di ammodernamento e potenziamento dell'impianto, e secondo il Stockholm International Peace Research Institute, Israele potrebbe essere al lavoro su un nuovo reattore in grado di produrre maggiori quantità di plutonio, materiale chiave per la produzione di testate nucleari. Pochi anni fa, nel 2018, il primo ministro Benjamin Netanyahu scelse proprio Dimona per un discorso dal forte valore simbolico: "Chi minaccia di cancellarci dalla mappa si espone a un pericolo analogo. E comunque, non raggiungerà il suo obiettivo".
Israele e la dottrina dell'autosufficienza strategica
A differenza di molti Paesi europei e asiatici, Israele non rientra nel cosiddetto "ombrello nucleare" degli Stati Uniti, che garantisce protezione atomica a diversi alleati in cambio del loro impegno a non sviluppare un arsenale proprio. Questo ulteriore elemento rafforza la convinzione, tra gli analisti, che Israele disponga della sua capacità nucleare autonoma. Come ha affermato Alexander K. Bollfrass, esperto di sicurezza nucleare all'International Institute for Strategic Studies di Londra, "alla fine, in Israele prevale la convinzione che la sicurezza nazionale dipenda solo da Israele. E che si debba fare tutto il necessario per garantirla", aveva dichiarato.
La doppia morale sul nucleare
Il caso israeliano pone interrogativi politici e morali molto complessi: mentre Israele lancia raid militari per impedire all'Iran di acquisire capacità nucleari, mantiene il proprio arsenale fuori da ogni regime di trasparenza o disarmo. Il rischio, tra i tanti, è quello di una nuova doppia morale internazionale, in cui alcune potenze sono libere di armarsi in segreto, mentre ad altri Stati viene impedito, anche con la forza, di fare altrettanto, pur in presenza di trattati firmati e ispezioni accettate.
Nel cuore del Medio Oriente, il nucleare resta una partita aperta. E finché alcuni arsenali restano segreti ma tollerati, il rischio di escalation — dichiarata o accidentale — non potrà mai dirsi davvero superato.