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Conflitto Israele-Palestina e in Medio Oriente

“Israele blocca tende e coperte al confine mentre i bambini muoiono di freddo”: il racconto da Gaza di MSF

Medici Senza Frontiere racconta Gaza sotto la tempesta Byron: tende distrutte, bambini malati, aiuti bloccati e bombardamenti che continuano. L’inverno aggrava una crisi umanitaria già estrema.
Intervista a Domenico Spagnolo
Responsabile della salute mentale per Medici Senza Frontiere a Gaza
A cura di Davide Falcioni
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A Gaza oggi si muore anche di freddo. Non solo sotto le bombe, non solo per le ferite di guerra. Mohammed Khalil Abu al-Khair aveva due settimane di vita ed è morto per ipotermia dopo un improvviso abbassamento della temperatura corporea. Era stato portato in ospedale, in terapia intensiva, ma il suo corpo non ha resistito. È uno dei tredici bambini deceduti negli ultimi giorni mentre la tempesta Byron si abbatte sulla Striscia, distruggendo tende, allagando rifugi di fortuna, facendo crollare edifici già lesionati dai bombardamenti. Video e immagini mostrano famiglie che tentano di trattenere le tende mentre il vento le strappa via, strade trasformate in fiumi, ospedali sommersi dall’acqua.

Da più di due anni l’ingresso di beni a Gaza è fortemente limitato da Israele. Vestiti invernali, coperte, materiali per costruire ripari adeguati arrivano in quantità minime, insufficienti per una popolazione di circa due milioni di persone. L’Unrwa avverte che i palestinesi stanno “congelando a morte” e che le restrizioni sull’ingresso degli aiuti impediscono una risposta efficace. La Protezione Civile denuncia inoltre l’assenza di bulldozer, escavatori, carburante: senza mezzi pesanti è impossibile intervenire sui crolli e liberare le strade.

Nel frattempo i bombardamenti israeliani continuano a colpire Gaza City, Rafah e Khan Younis, mentre si riprendono le ricerche dei corpi sotto le macerie. In questo contesto, Fanpage.it ha intervistato Domenico Spagnolo, psicologo di Medici Senza Frontiere e responsabile del team dedicato alla salute mentale a Gaza, che racconta cosa significa affrontare l’emergenza climatica dentro una crisi umanitaria senza precedenti, tra ospedali in affanno, aiuti bloccati e una popolazione costretta a sopravvivere non solo alle bombe, ma anche ad alluvioni e malattie.

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 Domenico Spagnolo, lei è psicologo di Medici Senza Frontiere ma oggi le chiedo soprattutto una testimonianza dal campo. Partiamo da questi giorni: la tempesta Byron. Qui arrivano immagini molto dure. Che cosa sta accadendo a Gaza?

Da circa una settimana il tempo è peggiorato in modo drastico. La tempesta Byron si è abbattuta in particolare sulla costa di Gaza, che oggi è l’area dove si concentra la maggior parte della popolazione sfollata. Le persone vivono schiacciate lungo la costa, in tende estremamente precarie. Le piogge sono state fortissime e il vento ha fatto il resto: abbiamo visto con i nostri occhi decine di tende strappate, sradicate, portate via o completamente allagate. Tende che già prima erano in condizioni critiche. Molte famiglie, che erano già state sfollate due, tre, quattro volte, hanno dovuto raccogliere le poche cose che possedevano e spostarsi ancora, senza sapere dove andare.

Che tipo di condizioni avete trovato nei campi dopo il passaggio della tempesta?

Fango ovunque, acqua stagnante, persone che passano intere giornate bagnate. Le tende non sono isolate, non proteggono dal vento e dalla pioggia. In molti casi il pavimento è semplicemente terra battuta che, con la pioggia, diventa impraticabile. L’acqua entra ovunque, bagna i vestiti, le coperte, i pochi beni rimasti. È una situazione che in un contesto normale sarebbe già grave, ma qui arriva dopo anni di bombardamenti, distruzioni e sfollamenti continui.

Dal punto di vista sanitario, quali sono le conseguenze più immediate?

L’impatto medico è significativo. Proprio ieri in ospedale ho visto una madre arrivare con un bambino con un principio di polmonite. È una conseguenza diretta di queste condizioni: persone che restano bagnate per ore, senza possibilità di asciugarsi o cambiarsi, esposte al vento e al freddo. Qui siamo in inverno: non fa freddo come in Europa, ma le temperature oscillano tra i 5 e i 15. Se a questo si aggiungono pioggia e vento, il rischio per la salute aumenta moltissimo. Stiamo vedendo un incremento costante di infezioni respiratorie, malattie trasmesse dall’acqua e patologie legate alla contaminazione.

Quindi l’inverno aggrava ulteriormente una situazione già catastrofica.

Esattamente. Fino a poco tempo fa la maggior parte dei pazienti arrivava per traumi: ferite da esplosione, crolli, schegge. Ora, oltre a questo, dobbiamo affrontare anche un aumento di patologie infettive. Le malattie respiratorie stanno crescendo rapidamente, soprattutto tra i bambini. L’acqua è spesso sporca, contaminata, e questo favorisce la diffusione di malattie diarroiche e altre infezioni. La situazione umanitaria, che era già gravissima, sta peggiorando ulteriormente.

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In questo contesto, qual è l’aggiornamento sulla situazione militare? Da due mesi è in vigore una tregua, ma cosa vedete voi sul campo?

Rispetto ai mesi precedenti c’è stata una diminuzione dell’intensità degli attacchi, ma non c’è mai stata una vera cessazione. I raid continuano. A inizio dicembre i dati parlavano di oltre 375 palestinesi uccisi e quasi mille feriti dall’inizio di questo periodo di relativa riduzione delle ostilità. Noi lavoriamo in un ospedale da campo nella parte centrale di Gaza, principalmente dedicato alla traumatologia, e quotidianamente continuiamo a ricevere feriti.

Che tipo di feriti arrivano oggi nei vostri ospedali?

Arrivano persone ferite da esplosioni, da attacchi mirati, da droni. Gli attacchi sono meno pervasivi rispetto al passato, meno “a tappeto”, ma continuano tutti i giorni. Il flusso di feriti è più basso rispetto ai picchi dei mesi scorsi, ma non si è mai fermato. Questo significa che, mentre affrontiamo le conseguenze dell’inverno e delle condizioni climatiche estreme, dobbiamo continuare a rispondere anche alle emergenze legate alla guerra.

Passiamo agli aiuti umanitari. Stanno arrivando a sufficienza?

No, assolutamente. È vero che ogni giorno si vedono camion entrare lungo l’asse principale che collega il sud e il nord di Gaza. Alcuni aiuti entrano, ma siamo molto lontani dal coprire i bisogni reali della popolazione. Il problema non è solo la quantità, ma anche il tipo di materiali che vengono bloccati o rallentati. Tutto ciò che viene classificato come “dual use”, cioè potenzialmente utilizzabile anche per altri scopi, viene spesso fermato.

Che conseguenze ha questo blocco selettivo?

Conseguenze enormi. Significa che molti macchinari medici non possono entrare, così come materiali da costruzione fondamentali per riparare strutture danneggiate. Anche per l’emergenza legata al freddo e alla pioggia la situazione è simile: tende nuove, coperte, materiali invernali sono pronti al confine, ma l’ingresso è estremamente limitato. I camion restano fermi per giorni, a volte settimane. Gli ingressi sono centellinati.

C’è una spiegazione ufficiale per questi ritardi?

Quello che vediamo è un vero e proprio collo di bottiglia. Il governo israeliano autorizza l’ingresso di un numero limitato di veicoli al giorno. Questo crea una congestione enorme. Anche quando i materiali esistono e sono pronti, non riescono a entrare in tempo utile. Altre ONG ci confermano la stessa cosa: “Abbiamo le tende, abbiamo le coperte, ma sono ferme al confine”.

E per quanto riguarda gli ospedali? Avete tutto il necessario per lavorare?

No. Anche sul fronte ospedaliero le difficoltà sono molte. Abbiamo subito rifiuti o ritardi arbitrari su materiali logistici essenziali: ricambi per generatori, oli per i motori, componenti per i macchinari. Ci sono problemi anche con i materiali per l’igiene e la sanitizzazione, che in un ospedale sono fondamentali per prevenire infezioni: detergenti, disinfettanti, cloro. Tutto questo arriva con grande difficoltà.

 Mancano anche attrezzature mediche?

Sì. Macchinari diagnostici, attrezzature a raggi X, ma anche materiali di base. Paradossalmente mancano perfino penne, carta, quaderni. Anche questi materiali subiscono ritardi importanti. Per quanto riguarda i farmaci, la situazione è leggermente migliorata rispetto a qualche mese fa, ma restano molte carenze. I farmaci di base scarseggiano e abbiamo frequenti esaurimenti di scorte.

Di che tipo di farmaci parliamo?

Farmaci essenziali per la pratica quotidiana: antidolorifici, antibiotici, medicinali di base utilizzati nei centri di salute primaria e negli ospedali. Non abbiamo abbondanza, quindi siamo costretti a razionalizzare tutto, a usare i farmaci solo quando è strettamente necessario.

Lei è responsabile della salute mentale per MSF. Che quadro psicologico vede oggi a Gaza?

È una situazione che travolge tutti: anziani, adulti, bambini. Noi lavoriamo soprattutto con gli sfollati e con chi rientra nelle zone del nord. La popolazione è composta in gran parte da donne e bambini. I minori hanno subito perdite inimmaginabili, hanno visto cose che nessun essere umano dovrebbe vedere, sono stati sfollati più volte. Vivono in uno stato di terrore costante.

C’è un episodio che l’ha colpita particolarmente?

Due giorni fa ho visto due ragazzine di 13 anni ferite nello stesso incidente. Una aveva perso tutta la famiglia, l’altra i genitori. Durante una medicazione sotto anestesia, una delle due, per il dolore, chiedeva ai medici di lasciarla morire. L’altra, nonostante tutto, cercava di farla ridere, di sostenerla. È una scena che racconta insieme la disperazione e una resilienza incredibile.

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