In Ungheria il governo di Orban ha equiparato per legge gli “Antifa” al terrorismo

Lo avevano detto. E lo hanno fatto davvero. Con il decreto governativo n. 297/2025, il governo ungherese guidato da Viktor Orbán ha ufficialmente inserito gruppi, individui e realtà riconducibili all'ideologia Antifa nella lista nazionale del terrorismo. Una misura eccezionale, giustificata dallo stato di emergenza ancora in vigore, che segna una pericolosa svolta securitaria nel cuore dell'Unione Europea. La notizia era nell'aria da giorni: già lo scorso 19 settembre, infatti, durante la sua abituale intervista radiofonica su Kossuth Radio, Orbán aveva preannunciato l'intenzione di seguire le orme del presidente degli Stati Uniti Donald Trump, che da tempo definisce gli antifascisti come appartenenti a un'organizzazione terroristica internazionale.
"Sono venuti anche da noi", aveva detto allora il premier ungherese, "hanno picchiato persone innocenti per strada, ne hanno picchiati a morte alcuni, poi sono andati a Bruxelles per diventare rappresentanti del Parlamento europeo". Un riferimento implicito all'eurodeputata Ilaria Salis, esponente di Sinistra Italiana, accusata in Ungheria di aver partecipato a un'aggressione contro militanti neonazisti a Budapest nel febbraio 2023. Su di lei pende oggi una richiesta di revoca dell'immunità parlamentare, inoltrata dalle autorità ungheresi, a cui la commissione giuridica del Parlamento europeo, proprio pochi giorni fa, si è però espressa contro.
Cosa prevede il decreto del governo ungherese
Il decreto a prima firma di Viktor Orbán, istituisce una vera e propria "lista nazionale del terrorismo", indipendente da quelle dell'Unione Europea e delle Nazioni Unite. L'inserimento di individui o gruppi in questa lista può avvenire su proposta del Ministro per l'Antiterrorismo o del Ministro della Giustizia, sulla base di segnalazioni provenienti da polizia, servizi segreti o dal Centro Nazionale di Informazione. Chi viene inserito nella lista è soggetto a misure restrittive gravi e immediate, come il congelamento dei beni e delle risorse economiche, il divieto di effettuare qualsiasi transazione finanziaria, oltre all'espulsione dal territorio nazionale e al divieto di ingresso e soggiorno in Ungheria. Anche singoli individui possono essere designati come "terroristi" anche senza aver compiuto atti violenti, ma semplicemente perché ritenuti vicini a gruppi inseriti nella lista o considerati a rischio di compiere atti di terrorismo. Le motivazioni possono poi anche basarsi su informazioni riservate e, per ragioni di "sicurezza nazionale", il governo si riserva il diritto di non notificare nemmeno l'inserimento nella lista.
Non solo, il decreto prevede anche una revisione annuale dell'elenco, ma le possibilità di ricorso sono estremamente limitate: eventuali obiezioni saranno infatti esaminate dalla Kúria, la Corte Suprema ungherese, che non può sindacare nel merito le prove classificate né modificare le decisioni ministeriali.
La lunga lista delle accuse
Nel testo ufficiale del decreto 297/2025, il governo ungherese giustifica l'inserimento del "movimento Antifa" nella lista nazionale del terrorismo, elencando una serie di episodi violenti avvenuti in diversi Paesi europei — in particolare Germania, Francia, Italia — con un'attenzione particolare ai fatti accaduti in Ungheria: secondo le autorità di Budapest, questi eventi dimostrerebbero l'esistenza di una rete internazionale, radicale e coordinata che agirebbe sotto l’etichetta Antifa, ma, è importante ricordare che in nessuno di questi casi è stata provata l'esistenza di una struttura organizzativa centrale, né un'appartenenza formale degli autori a un gruppo identificabile come Antifa.
Tra gli episodi citati figurano gli attacchi a Budapest tra il 9 e l'11 febbraio 2023, durante il cosiddetto "weekend Antifa"; il danneggiamento del Collegium Hungaricum a Berlino a inizio gennaio 2024; l'assalto al Consolato Onorario di Ungheria a Venezia, di febbraio 2024; l'aggressione, avvenuta a marzo 2025, all'ambasciatore ungherese ad Atene e le violenze al centro MCC di Bruxelles, due mesi dopo.
Nonostante la varietà e la gravità dei singoli episodi, le autorità locali dei Paesi coinvolti non hanno mai accertato un collegamento diretto con un'organizzazione Antifa centralizzata. Si tratta quindi di azioni isolate, riconducibili a reti informali o a singoli individui e quindi non a un piano comune su scala europea.
Cosa vuol dire Antifa e perché la scelta ungherese è un precedente inquietante
Il termine Antifa nasce come abbreviazione di "antifascista" e affonda le sue radici nella Germania degli anni Trenta, quando il Partito Comunista tedesco promosse l'Antifaschistische Aktion per contrastare la violenza delle milizie hitleriane; non si trattava allora di un gruppo isolato, ma di un fronte popolare che univa operai, studenti e intellettuali in una resistenza dal basso, che pagò un prezzo altissimo con persecuzioni, deportazioni e omicidi. Da quella stagione storica prese forma l'antifascismo moderno, che non è mai stato un'ideologia astratta ma una pratica di difesa della democrazia contro il totalitarismo. È proprio su queste basi che, dopo la Seconda guerra mondiale, molte Costituzioni europee, inclusa quella italiana, hanno riconosciuto l'antifascismo come fondamento della vita democratica. Negli ultimi decenni, soprattutto negli Stati Uniti e in Europa, il termine Antifa è stato usato in senso più ampio e spesso polemico per definire una galassia informale di collettivi e reti locali che si oppongono all'estrema destra, al razzismo, al sessismo e ad altre forme di discriminazione; non esiste un'organizzazione centralizzata con leader, tessere o statuti: si tratta di movimenti fluidi, che talvolta hanno fatto ricorso ad azioni dirette e anche a scontri fisici, quasi sempre in risposta alla violenza politica o a manifestazioni neonaziste.
È in questo contesto che il decreto ungherese rappresenta un salto di qualità inquietante. Equiparare l'antifascismo al terrorismo non significa, infatti, solo adottare misure securitarie contro singoli individui, ma ridefinire il confine stesso di ciò che è considerato una minaccia. In un Paese dove lo stato di emergenza è ormai permanente, la nuova lista nazionale del terrorismo rischia di diventare uno strumento di repressione politica, capace di colpire oppositori, attivisti e semplici critici del governo.
Per la prima volta nell'Unione Europea, un esecutivo assimila legalmente l'antifascismo, che altrove è un valore costituzionale, a un pericolo per la sicurezza nazionale. Una decisione che non riguarda però solo l'Ungheria: tocca al cuore il significato stesso della democrazia europea e apre un precedente che potrebbe legittimare altre derive autoritarie.