“Il nostro collega Anas al-Sharif era gli occhi e la voce di Gaza, per questo Israele lo ha ucciso”

Corrispondente di Al Jazeera arabic a Gaza, Anas al-Sharif è stato ucciso nella notte tra domenica e lunedì, con un bombardamento mirato nella tenda in cui si trovava insieme a tutta la sua troupe. In un colpo solo Israele ha ucciso il giornalista Mohammad Qureiqaa, il fotoreporter Mohammed Al-Khaldi e i cameraman Ibrahim Zaher, Moamen Alaywa e Mohammad Nofal.
Dopo l'attacco, Fanpage.it ha intervistato il giornalista e presentatore senior di Al Jazeera Arabic Tamer Almisshal, collega e caro amico di Anas al-Sharif.
Che rapporto aveva con Anas al-Sharif?
Prima di trasferirmi a Doha, ho lavorato come corrispondente a Gaza. In questa guerra, mi occupo della supervisione editoriale della nostra squadra a Gaza, quindi sono in contatto quotidiano con le nostre troupe, incluso Anas e gli altri colleghi. Ogni giorno li contattiamo per seguire il loro lavoro, supportarli e fornire tutto ciò che serve. L’ultima volta che ho parlato con Anas è stato domenica, il giorno dell’attacco. Per noi è stato uno shock terribile e un grande dolore: abbiamo perso sei giornalisti, quattro di Al Jazeera, un freelance e un altro palestinese locale. Tra loro, Anas Al Sharif e Mohamed Qureiqaa erano i due nostri corrispondenti più coraggiosi. Erano gli occhi di Gaza, le poche voci rimaste che raccontavano la realtà di questa guerra e portavano le notizie da Gaza al mondo intero. Stiamo vivendo un momento molto difficile, perdere questi due colleghi è un colpo durissimo, insieme agli altri giornalisti e operatori uccisi. Quello che è successo è un vero e proprio assassinio mirato contro la nostra squadra. Lo scopo è chiaro: nascondere i crimini e il genocidio che stanno avvenendo, impedendo che vengano raccontati da questi giornalisti coraggiosi. Anas, prima di essere ucciso, aveva documentato in modo unico la crisi della fame a Gaza. I suoi reportage sono stati utilizzati non solo da Al Jazeera ma anche da molti altri media internazionali. Proprio per questo è stato oggetto di una campagna di diffamazione, che è culminata nel suo assassinio. È un’operazione di omicidio mirato chiara che mostra come Israele tratta il giornalismo a Gaza. C’è un sistema che prende di mira i giornalisti gazawi: Anas e Mohamed non sono i primi. In questi 22 mesi di guerra, abbiamo contato più di 230 giornalisti palestinesi uccisi, il numero più alto mai registrato in una zona di conflitto nella storia recente.
Una foto lo ritrae a Gaza di fronte ad Anas al-Sharif quando era ancora bambino, qual è la storia dietro quello scatto?
Eravamo nel campo di Jabalia, era il 2008, durante l'operazione "piombo fuso". Io ero il corrispondente di Al Jazeera a Gaza e stavo intervistando Anas che aveva solo 12 anni. Anas ha pubblicato quella stessa foto mesi fa dicendo che da me aveva imparato il mestiere.

Quando avete iniziato a lavoravate insieme lei e al-Sharif?
Anas è entrato a far parte di Al Jazeera nel novembre 2023 e per due anni ha lavorato ininterrottamente, era sempre in diretta sui social, su Al Jazeera, rilasciava interviste ai media internazionali. Prima di Al Jazeera era un fotografo freelance conosciuto: i suoi scatti erano stati pubblicati dal New York Times, Washington Post e tanti altri media importanti. Per noi ha lavorato con grande impegno nonostante le minacce, le accuse, le difficoltà, e i numerosi tentativi di fermarlo. Ricordiamo tutti quando Israele ha ucciso suo padre: un ufficiale dell’intelligence israeliana aveva contattato Anas poco prima del bombardamento della sua casa chiedendogli di smettere di fare reportage, altrimenti sarebbe stato preso di mira. Lui ha rifiutato, convinto della sua professionalità, e pochi giorni dopo hanno colpito la sua casa uccidendo suo padre. Mohamed Qureiqaa, invece, ha assistito all’uccisione di sua madre nell’ospedale Al Shifa di Gaza durante l’invasione israeliana.
Credi che l’assassinio di Anas al-Sharif e dei suoi colleghi sia collegato all’inizio del piano israeliano di occupazione totale di Gaza?
Sì, noi crediamo che sia così. Non vogliono che le immagini e le notizie escano da Gaza. Sanno che il lavoro di questi giornalisti mette in difficoltà la loro narrazione ufficiale. Nel caso di Anas, è stato preso di mira con la sua copertura della crisi alimentare: hanno cercato in ogni modo di smentire i suoi reportage, nonostante tutte le istituzioni internazionali, le Nazioni Unite e le organizzazioni mondiali ne avessero riconosciuto la credibilità. Eppure l’hanno ucciso lo stesso, insieme ai suoi colleghi. Quello a cui stiamo assistendo è un crimine e purtroppo c’è un silenzio assordante da parte delle autorità che dovrebbero intervenire. Ho parlato oggi con i nostri colleghi a Gaza e mi hanno chiesto di non contarli solo come numeri. Quanti altri giornalisti palestinesi devono essere uccisi prima che le organizzazioni internazionali intervengano seriamente per fermare questi crimini? È una situazione davvero sconvolgente e vergognosa.
Pensi che la comunità internazionale e la stampa globale non abbiano fatto abbastanza per proteggerli?
No, abbiamo avvisato tutti, ma nessuno è intervenuto davvero. È una vergogna che Anas, Mohamed e gli altri siano stati assassinati senza che nessuno abbia mosso un dito. Dove sono i diritti umani? Dove sono le leggi a tutela dei giornalisti? Israele ha commesso un crimine e, come se non bastasse, ha cercato di giustificare questi omicidi con accuse infondate. Questo è un altro crimine. Inoltre, Israele non permette indagini indipendenti né l’ingresso di giornalisti stranieri a Gaza, perché non vogliono che la verità e la realtà di Gaza vengano raccontate. Per questo uccidono i giornalisti e inventano accuse false, dicendo che chi fa reportage a Gaza è un terrorista. Sono tutte falsità. Ricordo un altro caso: Ismail Ghul, corrispondente di Al Jazeera, ucciso a luglio 2024. Anche contro di lui Israele ha usato accuse infondate, nonostante fosse stato arrestato e rilasciato pochi mesi prima. Se fosse un terrorista, perché l’avrebbero rilasciato? Lo scopo è chiaro: uccidere la verità, nascondere il genocidio e i crimini che commettono.
Molti giornali internazionali, anche in Italia, hanno definito Anas "un terrorista". Pensi che la stampa internazionale abbia contribuito direttamente a legittimare l’uccisione dei nostri colleghi?
Sì, e si tratta di un doppio crimine: uccidere e poi giustificare l’omicidio. Stiamo assistendo a un genocidio di giornalisti, un numero che non ha precedenti nella storia recente. La credibilità della narrativa israeliana è già stata messa alla prova più volte. Pensiamo a Shirin Abu Aqla, uccisa a Jenin nel 2022. Le forze israeliane hanno cambiato versione quattro volte su come è morta. Prima hanno detto che non l’avevano uccisa loro, poi che era stata colpita da un miliziano palestinese, poi che era stata colpita durante uno scontro a fuoco. Solo dopo settimane e un’indagine americana hanno ammesso che il colpo era partito da un cecchino israeliano, addirittura rivelandone il nome. Questo dimostra bene la scarsa credibilità delle accuse israeliane. Oggi un famoso giornalista investigativo israeliano ha scritto su Haaretz che Israele ha formato un’unità all’interno dei servizi segreti fin dall’inizio di questa guerra con lo scopo di giustificare l’uccisione di giornalisti, civili e medici. Hanno cercato in ogni modo di giustificare queste uccisioni fabbricando prove e accuse false. Un esempio chiaro è il caso di Anas al-Sharif. Le accuse che il portavoce israeliano ha mosso contro di lui dopo la sua uccisione non sono nuove. Le aveva già pubblicate 15 mesi fa e nessuno, né il pubblico né le organizzazioni internazionali, gli ha mai creduto. Amnesty International ha addirittura premiato Anas al-Sharif nel 2024 per il suo coraggioso lavoro, quindi queste accuse sono del tutto inaffidabili. Se continuano a giustificare questi crimini, è come commettere un altro crimine contro Anas. L’hanno ucciso perché era l’unico occhio e l'unica voce coraggiosa e influente che proveniva da Gaza in questo momento. Quanti altri giornalisti devono ancora essere uccisi perché le organizzazioni internazionali intervengano seriamente? Questa è la domanda che ci pongono i nostri colleghi sul campo.
Che impatto ha avuto l’uccisione di al-Sharif sulla redazione di Al Jazeera fuori e dentro Gaza?
Anas al-Sharif era un palestinese originario di Gaza, non un estraneo. Lui, Mohammad Qureiqaa e gli altri erano parte della loro terra, avevano famiglie lì, e si sentivano in dovere di difendere i loro diritti fondamentali come giornalisti e come esseri umani. Non volevano andarsene e continuavano a lavorare perché credevano nella verità e in chi la racconta. I colleghi di Anas non si arrendono. Continuano a lavorare perché credono che alla fine la vittoria sarà della verità e della realtà. Anas aveva scritto le sue ultime parole prima di essere ucciso, chiedendo che venissero pubblicate nel caso in cui fosse stato ucciso dagli israeliani. Diceva: “Ho lavorato per portare la verità fuori da Gaza, per raccontare al mondo cosa ci sta succedendo. Per favore, non abbandonate il mio messaggio e la mia strada”. Noi, come colleghi e amici, non ci arrenderemo. È nostro diritto e crediamo che alla fine la verità e la libertà di stampa prevarranno sull’occupazione israeliana.
Cosa chiedete alla comunità internazionale e ai giornalisti di tutto il mondo?
Dove sono le organizzazioni internazionali? Dove sono i giornalisti di tutto il mondo? È il momento di solidarizzare con i colleghi di Gaza, di stare al loro fianco, di alzare la vostra voce e dire che bisogna proteggere i giornalisti e fermare questi crimini. Oggi non sappiamo chi sarà la vittima di domani.