Gaza, il 90% delle persone uccise dall’inizio dell’offensiva di Israele a marzo erano civili

Almeno 71 palestinesi sono stati uccisi oggi nella Striscia di Gaza sotto i colpi dell’esercito israeliano, secondo i dati raccolti dagli obitori locali. La maggior parte delle vittime, 57, è stata registrata a Gaza City, mentre altri civili hanno perso la vita nel centro e nel sud del territorio.
Il bilancio si inserisce in un quadro già drammatico. Un rapporto dell’organizzazione indipendente Acled, citato dal Guardian, rileva che circa il 90% delle persone uccise dall’inizio della nuova offensiva israeliana a marzo erano civili, uno dei tassi di mortalità più alti mai registrati. Secondo Acled, Israele sostiene di aver eliminato oltre 2.100 combattenti, ma i dati effettivi sarebbero circa la metà. In totale, da marzo, oltre 16 mila palestinesi hanno perso la vita, secondo le Nazioni Unite, dopo la rottura del cessate il fuoco e la ripresa massiccia dei bombardamenti.
Il rapporto documenta anche un aumento significativo della distruzione: nei sei mesi successivi alla ripresa delle ostilità, gli episodi che hanno comportato la demolizione di edifici sono stati 500, quasi pari al totale registrato nei quindici mesi precedenti.
Nelle ultime 24 ore l’aviazione israeliana ha colpito circa 100 obiettivi, tra cui tunnel, depositi di armi e postazioni militari di Hamas. Le autorità palestinesi denunciano almeno 34 morti, mentre l’esercito israeliano afferma di aver eliminato diversi comandanti sul campo e distrutto infrastrutture strategiche della fazione islamista.
Intanto Hamas ha diffuso un’immagine dei 48 ostaggi ancora trattenuti a Gaza, identificandoli tutti con il nome di Ron Arad, il navigatore militare scomparso nel 1988 e divenuto simbolo delle vittime mai tornate a casa. Il messaggio, diffuso con toni propagandistici, accusa Netanyahu di aver rifiutato un accordo per la loro liberazione e il capo di Stato maggiore Zamir di aver obbedito agli ordini di proseguire l’offensiva su Gaza City. Le famiglie degli ostaggi, preoccupate, temono che i loro cari possano avere la stessa sorte di Arad senza un’intesa politica.
E nella giornata di ieri, 19 settembre, anche in Israele si è unita la voce della protesta contro il genocidio in Palestina. Circa 150 attivisti hanno marciato nel deserto fino al confine con Gaza, esponendo striscioni contro l’assedio e chiedendo il boicottaggio internazionale di Israele. L’iniziativa, collegata alla flottiglia “Sumud” diretta verso Gaza, è stata guidata in gran parte da ebrei israeliani appartenenti al cosiddetto “radical block”, il fronte più radicale dei movimenti che da anni si oppongono al governo Netanyahu e che non chiedono solo la fine delle violenze, ma anche la cessazione dell’occupazione dei territori palestinesi. Durante l’azione quattro persone sono state arrestate, tra cui il direttore d’orchestra Ilan Volkov, che mentre veniva portato via ha gridato: “Dobbiamo fermare il genocidio subito, sta rovinando la vita di tutti”. Rilasciati poco dopo, gli attivisti hanno ribadito che “solo il boicottaggio e l’isolamento di Israele possono fermare i crimini commessi nel nostro nome”. Una mobilitazione che mostra come, anche all’interno di Israele, non manchino voci di resistenza al regime di apartheid.