È caccia ai ladri dei gioielli di Napoleone al Louvre: il furto in 7 minuti, la banda forse incastrata dal Dna

Il Louvre resta chiuso mentre le autorità lavorano per risalire all'identità dei ladri che sono riusciti a portare via con uno spettacolare colpo gli 8 gioielli imperiali del tesoro della Corona di Francia. Ieri mattina la direzione del museo aveva tentato una riapertura parziale con l'esclusione della Galleria d'Apollo, ma alla fine era arrivato un contrordine e nessun visitatore è stato più ammesso.
La caccia è appena cominciata: sono stati mobilitati circa 60 investigatori tra la brigata anti-banditismo e l'Ufficio centrale per la lotta contro il traffico di beni culturali. La polizia sarebbe già sulle tracce della banda fuggita domenica mattina con un bottino dal valore inestimabile. Un furto portato a segno in pieno giorno in soli sette minuti nel museo più visitato al mondo.
I ladri hanno parcheggiato un camion montacarichi, fissato e supporti e fatto salire la scala posizionando anche dei segnali stradali per simulare un intervento tecnico. Il sospetto è che vi siano state complicità interne e che i ladri sapessero della porta-finestra difettosa. Un mese prima del furto, infatti, era stato segnalato un malfunzionamento dell'allarme nella Galleria d'Apollo, disattivato temporaneamente per evitare che suonasse senza motivo. Domenica sarebbe stato ancora fuori uso al momento del colpo.
I cinque custodi presenti nella sala sono stati sorpresi dal rumore della smerigliatrice e hanno agito per proteggere il pubblico, più che per difendere i gioielli rubati. I 1.100 custodi e agenti del museo, infatti, non sono armati.
Unico dettaglio fuori posto del piano perfetto, è proprio il montacarichi: la banda avrebbe dovuto incendiarlo per cancellare gli indizi, ma il fuoco non ha preso e nel camion gli investigatori hanno trovato taniche di benzina, smerigliatrici, una coperta, guanti, walkie-talkie e un casco. Un gilet giallo da operaio è stato trovato in strada, poco lontano dalla corona dell'imperatrice Eugenia, caduta durante la fuga.
Su questi oggetti sono state isolate tracce di Dna ed è probabile che la polizia sia risalita già all'identità di alcuni ladri, ma che sia in attesa di arrestare l'intera rete e recuperare i gioielli. Lo stesso metodo ha permesso all’unità anti-traffico d’arte il ritrovamento di buona parte del bottino dopo il furto al museo parigino Cognacq-Jay lo scorso anno.
Gli investigatori valutano l'ipotesi di un "furto commissionato" da un collezionista appassionato dai mitici gioielli imperiali e disposto a conservarli senza venderli. Preoccupa invece l'idea che possano essere smontati e rivenduti pietra per pietra attraverso circuiti criminali internazionali.
Non si può escludere che la criminalità organizzata straniera o francese voglia usare quei gioielli come moneta di scambio per trattare riduzioni di pena o condizioni carcerarie migliori. Un po' come accaduto per il furto della Pinacoteca di Modena, quando Paolo Bellini, legato alla strage di Bologna avvenuta il 2 agosto del 1980, incontrò alla presenza di Santino Di Matteo, oggi collaboratore di giustizia, Antonino Gioè, membro di Cosa Nostra, per trattare lo scambio di alcune opere d'arte rubate con gli arresti ospedalieri per 5 boss. La trattativa è stata narrata in una delle puntate del format Confidential di Fanpage.it ed è consueta negli ambiti della criminalità organizzata.
L'ultima ipotesi degli investigatori è invece un'operazione per delegittimare Emmanuel Macron in un momento di instabilità politica, facendo leva sul danno di immagine al prestigio del museo e del Paese.