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Conflitto Israele-Palestina e in Medio Oriente

Cosa aspettarsi dalla visita di Netanyahu a Washington: potrebbe accelerare la firma della tregua a Gaza

La visita di Netanyahu negli Stati Uniti potrebbe accelerare la sigla del cessate il fuoco a Gaza. Una tregua nella Striscia, anche se non vorrà dire la fine del conflitto israelo-palestinese, potrebbe calmare nel breve termine le acque negli altri fronti di guerra.
A cura di Giuseppe Acconcia
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La visita del premier israeliano Benjamin Netanyahu negli Stati Uniti chiarirà se è possibile il secondo cessate il fuoco tra Israele e Hamas, dopo la fine, oltre quattro mesi fa, della prima fase della tregua, raggiunta con fatica lo scorso 19 gennaio. Eppure, non si ferma il genocidio a Gaza che ha causato oltre 57mila vittime tra i palestinesi, dopo gli attacchi del 7 ottobre 2023 che hanno provocato 1200 vittime israeliane, mentre 50 (molti dei quali già deceduti) sono gli ostaggi ancora nelle mani di Hamas.

Solo nella giornata di sabato, 35 sono state le vittime dei raid israeliani a Gaza, per un totale di oltre 80 morti in appena 24 ore. In particolare, sette persone, incluso un medico e i suoi tre figli, sono state uccise nel quartiere di Mawasi, vicino al campo di Khan Younis. Tra le vittime degli ultimi raid israeliani figura anche il direttore dell’Ospedale indonesiano, Marwan al-Sultan. Sono oltre 1400 le vittime del conflitto tra gli operatori sanitari.

Lo stato del negoziato

Israele e Hamas hanno ripreso da settimane i negoziati per un cessate il fuoco a Gaza in Qatar, alla presenza di mediatori di Doha, egiziani e statunitensi. Alla vigilia del nuovo round di colloqui, Netahyanu ha definito “inaccettabili” le richieste di cambiamenti presentate da Hamas. Tuttavia, secondo la stampa israeliana, “le divergenze tra le due parti stanno diminuendo e si è aperta una finestra di opportunità che Netanyahu non si farà sfuggire”. Lo scorso venerdì, il gruppo che governa la Striscia di Gaza aveva reagito positivamente a una proposta di tregua di 60 giorni. Hamas vuole a ogni costo includere nella bozza di accordo la fine permanente delle ostilità. E così il presidente israeliano, Isaac Herzog, ha chiesto a Netanyahu di firmare l’accordo anche se avrà un costo e comporterà decisioni “difficili, complesse e dolorose”. A chiedere un cessate il fuoco “rapido e incondizionato” a Gaza sono stati anche i leader delle economie emergenti (Brics), riuniti a Rio de Janeiro.

Il ruolo di Trump

Il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, aveva parlato di buone possibilità che nei prossimi giorni avrebbe annunciato personalmente il raggiungimento di un cessate il fuoco. Per Trump, in difficoltà sul fronte ucraino, la fase preliminare di due mesi della tregua dovrebbe servire a Israele e Hamas per arrivare alla fine delle ostilità. Oltre al graduale rilascio degli ostaggi israeliani, la bozza di intesa prevede anche l’ingresso di quantità sufficienti di aiuti umanitari con il coinvolgimento delle Nazioni Unite e della Croce Rossa nella macchina degli aiuti alla stremata popolazione di Gaza.

Gli aiuti umanitari

Hamas ha chiesto che solo l’Onu si occupi della distribuzione di aiuti mentre le operazioni della statunitense Gaza Humanitarian Foundation (Ghf) dovrebbero terminare. Secondo il ministero della Salute di Hamas, oltre 700 persone sono state uccise mentre erano in fila per gli aiuti per mano dei soldati israeliani e dei contractor di Ghf. Un ex funzionario dell’agenzia Onu per i rifugiati palestinesi (Unrwa) ha parlato di “aidwashing” per spiegare come l’operato di Ghf nasconde la carestia che va avanti tra i palestinesi. Non ci sono centri per gli aiuti nel Nord di Gaza e questo ha forzato la popolazione della Striscia a spostarsi verso il Sud, come prevede il piano di occupazione israeliano. E così questa forma di distribuzione degli aiuti ha aggravato lo stato di assedio invece di mitigarlo. Tom Fletcher delle Nazioni Unite ha definito Ghf come “una foglia di fico per ulteriori violenze e deportazioni”. E così gli operatori umanitari a Gaza hanno chiesto un cessate il fuoco immediato perché l’assenza di riserve di benzina porterà al “collasso completo” delle operazioni umanitarie. Israele ha imposto 11 settimane di blocco agli aiuti umanitari a Gaza dopo la fine del cessate il fuoco di marzo causando una carestia senza precedenti e la morte per malnutrizione di almeno 66 bambini palestinesi.

Il ritiro di Idf

La bozza in fase di discussione a Doha dovrebbe prevedere anche il ritiro graduale delle truppe israeliane da Gaza. Hamas vorrebbe le garanzie Usa per la fine delle operazioni via cielo e via terra da parte israeliana e un ritiro completo che riporti la presenza militare di Idf nella Striscia alla fase precedente alla fine del cessate il fuoco di marzo. Da allora Tel Aviv ha annunciato una nuova offensiva che include il piano israeliano di occupazione permanente della Striscia che ha lo scopo di concentrare l’intera popolazione di Gaza nel Sud, intorno al valico di Rafah, al confine con l’Egitto, nel 25% del territorio. Le autorità israeliane puntano a negoziare la fine delle ostilità a condizione che non sia Hamas a governare la Striscia. Questo punto non è stato mai chiarito neppure dal piano arabo di ricostruzione di Gaza che esclude la deportazione dei palestinesi, come dichiarato da Trump e Netanyahu, e vorrebbe dare un ruolo nella Striscia, dopo la fine delle ostilità, all’Autorità nazionale palestinese.

Un genocidio economico

Come ha spiegato Francesca Albanese, relatrice speciale delle Nazioni Unite sui territori palestinesi, di cui gli Stati Uniti hanno chiedono la rimozione, nel suo ultimo report sul genocidio economico a Gaza, nella Striscia è in corso un’“impresa criminale collettiva”, per opera di governi e di 1600 aziende multinazionali, dalla Lockheed Martin a Leonardo, da Booking a Airbnb, da Amazon fino a Microsoft, IBM, Volvo, Chevron e Hyundai.  Si tratta di un vero e proprio “business dell’eliminazione”, orientato alla distruzione dei palestinesi e alla cancellazione di Gaza. “I partenariati internazionali che forniscono sostegno tecnologico e militare, hanno migliorato la capacità di Israele di far durare nel tempo l’apartheid e di sostenere l’assalto su Gaza”, si legge nel report.

L’obiettivo è la deportazione dei palestinesi e il ricollocamento dei coloni israeliani nei territori occupati con l’uso di una “violenza militarizzata”. Per esempio, acqua, gas ed elettricità sono forniti alle colonie illegali israeliane grazie alla complicità di multinazionali come Drummond Company e Swiss Glencore che garantiscono luce e carbone ad Israele. Lo stesso avviene con l’agrobusiness e la normalizzazione del turismo nelle colonie.

Israele usa bombe illegali

Come se non bastasse, nei continui raid a Gaza, come riportato dalla stampa britannica, l’esercito israeliano ha utilizzato una bomba da 500 libbre (230 chilogrammi). Si tratta di un’arma illegale che “genera un’onda d’urto dirompente” e sparpaglia schegge su un’ampia area. L’ordigno è stato usato in particolare nel raid che ha colpito un bar e internet-café, usato da molti giornalisti palestinesi, sulla spiaggia di Gaza causando 30 vittime, tra cui i due artisti e film-maker, Amna Al-Salmi e Ismail Abu Hatab, e 36 feriti. I frammenti dell’ordigno sono stati ritrovati tra le macerie della caffetteria al-Baqa, come parti di una bomba multiuso MK-82 di fabbricazione statunitense. Il grande cratere lasciato dall'esplosione sarebbe un’ulteriore prova dell'utilizzo di questo tipo di ordigno.

Sul tavolo il dossier iraniano

Nei colloqui tra Trump e Netanyahu a Washington si discuterà anche di Iran, dopo la fine lo scorso 25 giugno della guerra di 12 giorni, iniziata con i raid israeliani del 13 giugno scorso. L’annuncio da parte di Idf di aver ottenuto il controllo dello spazio aereo iraniano, in pochi giorni e con relativa facilità, aveva motivato Donald Trump a partecipare direttamente nel conflitto con gli attacchi Usa contro le basi di Fordow, Isfahan e Natanz dello scorso 22 giugno.

Il cessate il fuoco era stato annunciato dal presidente statunitense lo scorso 24 giugno provocando festeggiamenti da parte dei sostenitori del regime a Teheran, mentre restano incerti gli effettivi danni che hanno subìto le centrali nucleari iraniane. Mentre la guida suprema iraniana, Ali Khamenei, è apparsa di nuovo in pubblico, dopo settimane passate in un bunker per evitare di essere ucciso nei raid israeliani. L’apparizione è avvenuta in
occasione della commemorazione della festività sciita dell’Ashura. Mentre resta ancora incerto il futuro del negoziato sul nucleare iraniano. Teheran potrebbe uscire dal Trattato di non proliferazione nucleare e non garantire le future ispezioni dell’Agenzia Onu per l’energia atomica (Aiea) in seguito ai raid israeliani che hanno causato oltre 900 vittime, inclusi importanti vertici militari e decine di ingegneri impegnati nel programma nucleare.

Yemen e Siria

Ma la fine della guerra non riguarda solo Gaza. Resta ancora molto teso il fronte yemenita. La scorsa domenica il gruppo sciita yemenita degli Houthi ha attaccato l'aeroporto Ben Gurion di Tel Aviv con un missile balistico ipersonico, intercettato dall’Idf. Mentre una nave britannica è stata colpita nel Mar Rosso. D’altra parte, dopo la decisione di Trump di cancellare le sanzioni contro Damasco, anche la Gran Bretagna ha voluto ristabilire i rapporti con la Siria di Ahmad al-Sharaa, dopo la fine del regime di Bashar al-Assad lo scorso 8 dicembre. L’annuncio è arrivato in seguito alla visita del ministro degli Esteri britannico, la prima dopo 14 anni, David Lammy, a Damasco. Sul tavolo dei negoziati rimane l’incerto futuro dei rapporti bilaterali tra Siria e Israele dopo le dichiarazioni delle autorità israeliane che non vogliono lasciare le Alture del Golan, occupate in violazione degli accordi del 1974, dopo la fine del regime di al- Assad.

La visita di Netanyahu negli Stati Uniti potrebbe accelerare la sigla del cessate il fuoco a Gaza. Da una parte, il premier israeliano ha parlato di possibili elezioni anticipate per capitalizzare in politica interna i raid israeliani contro l’Iran. Dall’altra, Donald Trump, in difficoltà nell’ultima telefonata con il presidente russo, Vladimir Putin, vuole intestarsi ancora una volta l’ottenimento di una tregua che, anche se arrivasse, sarebbe tardiva e costruita sulle spalle dei palestinesi che continuano a morire tra bombe e carestia, nel genocidio in corso a Gaza.

Tuttavia, una tregua nella Striscia, anche se non vorrà dire la fine dell’infinito conflitto israelo-palestinese, potrebbe calmare nel breve termine le acque negli altri fronti di guerra a cominciare dai raid che continuano a partire dallo Yemen per opera degli Houthi, tra i gruppi più attivi dell’indebolito Asse della Resistenza.

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Giuseppe Acconcia è giornalista professionista e docente. Insegna Stato e Società in Nord Africa e Medio Oriente all’Università di Milano e Geopolitica del Medio Oriente all’Università di Padova. Dottore di ricerca in Scienze politiche all’Università di Londra (Goldsmiths), è autore tra gli altri de “Taccuino arabo” (Bordeaux, 2022), “Le primavere arabe” (Routledge, 2022), Migrazioni nel Mediterraneo (FrancoAngeli, 2019), Il grande Iran (Padova University Press, 2018).
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