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Conflitto Israele-Palestina e in Medio Oriente

Colpita mentre raccoglie olive: la brutale aggressione del colono israeliano contro una donna palestinese

Una 55enne palestinese è stata brutalmente aggredita da un colono israeliano mentre raccoglieva olive a Turmus Ayya, in Cisgiordania. Colpita alla testa con un bastone, è stata ripresa in un video dal giornalista americano Jasper Nathaniel. L’attacco, avvenuto sotto gli occhi dei soldati israeliani, è parte dell’ondata di violenze dei coloni contro i contadini palestinesi durante la stagione della raccolta. Secondo l’ONU, in una sola settimana si sono contati 71 episodi simili, con migliaia di feriti e ulivi distrutti.
A cura di Biagio Chiariello
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Una donna palestinese di 55 anni è stata brutalmente aggredita mentre raccoglieva olive nei campi del villaggio di Turmus Ayya, nella Cisgiordania occupata. Un colono israeliano mascherato l’ha colpita ripetutamente alla testa con un bastone, lasciandola a terra priva di sensi. L’episodio, avvenuto domenica mattina, è stato ripreso in un video dal giornalista statunitense Jasper Nathaniel, che ha poi diffuso le immagini sui social, sollevando indignazione internazionale.

Nel filmato si vede un giovane impugnare un grosso bastone di legno con un nodo a un’estremità e colpire violentemente la donna, Afaf Abu Alia, conosciuta nella comunità come Umm Saleh. “È l’immagine più scioccante che io abbia mai visto”, ha raccontato il reporter. “L’ha colpita una volta, ed è crollata subito. Poi le ha inferto altri due colpi”. La donna, madre di cinque figli, è stata soccorsa da altri contadini e trasportata d’urgenza in ospedale. Ricoverata inizialmente in terapia intensiva, ora è in condizioni stabili, ma i medici hanno confermato due gravi ferite alla testa.

L'aggressione sarebbe avvenuto sotto gli occhi dei soldati israeliani

L’aggressione, secondo il giornalista americano, si è consumata sotto gli occhi dei soldati israeliani. Nathaniel sostiene che le forze di difesa israeliane (IDF) fossero presenti poco prima dell’attacco e che avrebbero “attirato” lui e altri attivisti “in un’imboscata”, per poi allontanarsi appena prima dell’assalto dei coloni. L’esercito israeliano, interpellato dalla BBC, ha dichiarato di aver “disperso la situazione” dopo l’intervento e di “condannare ogni forma di violenza” da parte dei coloni, ma il racconto del reporter mette in dubbio questa versione ufficiale.

Secondo i media locali, circa l’80% degli abitanti di Turmus Ayya possiede la cittadinanza o la residenza statunitense. Anche Nathaniel è cittadino americano e ha mostrato alla stampa i messaggi scambiati con un funzionario dell’ambasciata USA, dal quale avrebbe appreso che la sede diplomatica “non poteva garantire protezione” ai cittadini statunitensi presenti nell’area. Il Dipartimento di Stato, interpellato dalla BBC, ha rifiutato di commentare per “motivi di privacy”, limitandosi a ribadire che “la sicurezza dei cittadini americani resta una priorità assoluta”.

Gli attacchi dei coloni e l'ulivo come simbolo di resistenza

L’aggressione farebbe comunque parte di un’azione più ampia. Quello contro Umm Saleh non è infatti un episodio isolato: la stagione della raccolta, iniziata il 9 ottobre, coincide da anni con un’impennata di violenze contro i palestinesi.

Gli attacchi dei coloni si concentrano sempre più sugli uliveti, cuore economico e simbolico della vita palestinese. Circa il 45% delle terre agricole della Cisgiordania è occupato da dieci milioni di alberi di ulivo, da cui dipendono migliaia di famiglie e una produzione annua di circa 35 mila tonnellate di olio. Negli ultimi mesi, migliaia di ulivi sono stati sradicati, bruciati o avvelenati. Per la comunità musulmana, l’ulivo – lo shajara mubaraka del Corano – è un albero sacro, simbolo di resilienza e speranza.

Nonostante le violenze, molti agricoltori palestinesi sono tornati nei campi già il giorno dopo l’aggressione. Hanno raccolto le olive rimaste sugli alberi, tra le tracce del sangue di Umm Saleh e i segni della violenza. Un gesto di sfida e di dignità che racconta, meglio di ogni dichiarazione, la volontà di non cedere.

Un’escalation di violenza e impunità in Cisgiordania

Dal 7 ottobre 2023, data dell’attacco di Hamas nei confronti di Israele e dell’inizio della guerra su Gaza, la Cisgiordania è diventata teatro di una violenza crescente. L’offensiva militare israeliana ha provocato oltre 68 mila morti nella Striscia, ma la stessa data ha anche segnato un punto di svolta nei territori occupati: da allora, i coloni si muovono con maggiore audacia, spesso senza temere conseguenze.

Secondo l’Ufficio umanitario delle Nazioni Unite (Ocha), solo tra il 7 e il 13 ottobre di quest’anno si sono registrati 71 attacchi di coloni in Cisgiordania, metà dei quali legati alla raccolta delle olive, con 27 villaggi colpiti. Dall’inizio del 2025, oltre 3.200 palestinesi sono rimasti feriti. Molti osservatori sostengono che si tratti di una strategia deliberata di intimidazione, volta a spingere i contadini ad abbandonare le proprie terre per favorire la confisca da parte dei coloni e l’espansione degli insediamenti.

Nel giorno stesso dell’aggressione a Umm Saleh, la Commissione palestinese per la colonizzazione e la resistenza al muro (Ccrm) ha denunciato che le autorità israeliane hanno espropriato 28 ettari di terreno nei villaggi di Qaryut, Al-Lubban Al-Sharqiya e Al-Sawiya, nel governatorato di Nablus. Solo nel 2024, oltre 2.300 ettari di terre palestinesi sono stati annessi a nuovi insediamenti.

A peggiorare il quadro politico, la recente decisione del presidente statunitense Donald Trump di revocare alcune sanzioni imposte ai coloni dal suo predecessore Joe Biden ha suscitato preoccupazione tra i diplomatici internazionali, che temono un ulteriore indebolimento dei già fragili limiti all’espansione degli insediamenti.

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