Chi sono gli italiani a bordo della nave Conscience in rotta verso Gaza: “Portiamo la coscienza dell’umanità”

La nave Conscience è salpata martedì scorso insieme ad altre undici imbarcazioni che trasportano circa 250 persone tra medici, infermieri e giornalisti da tutto il mondo, un giorno prima che in acque internazionali Israele intercettasse le barche della Global Sumud Flotilla. Una staffetta instancabile e irrefrenabile quella delle flotille che si alternano con un unico obiettivo: rompere il blocco navale illegale israeliano su Gaza e portare aiuti umanitari alla popolazione palestinese stremata da due anni di carestia.
La principale di queste nuove imbarcazioni è proprio la Conscience della Freedom Flotilla Coalition, la stessa barca che fu attaccata lo scorso maggio a largo di Malta e che oggi trasporta medici, infermieri e giornalisti. Si tratta di una nave di 68 metri, partita da Otranto il 30 settembre e che da venerdì naviga al largo di Creta. A bordo ci sono circa cento persone, di cui sei italiani. Fanpage.it ha raccolto alcune delle storie dei connazionali in rotta verso Gaza che nelle prossime ore entreranno nella “zona rossa”, ovvero quella entro la quale sono avvenute tutte le ultime intercettazioni da parte dell’esercito israeliano.
Riccardo Corradini, chirurgo: "Vogliamo creare un corridoio umano"
“Mi chiamo Riccardo Corradini, ho 42 anni, sono di Trento e sono un chirurgo”, racconta in collegamento telefonico. “Sono a bordo della Conscience, una nave lunga 70 metri, con un centinaio di persone a bordo. Per lo più medici e giornalisti, ma anche tanti infermieri e personale sanitario. Veniamo da venticinque Paesi: dal Canada alla Nuova Zelanda, dal Messico alla Malesia. Tutta l’Europa è rappresentata. Siamo un gruppo variegato di sanitari e professionisti della comunicazione da ogni parte del mondo”.
Corradini spiega che l’obiettivo è duplice: “Da una parte vogliamo portare aiuti umanitari — non solo cibo, indispensabile comunque, perché ricordiamoci che a Gaza è in corso una carestia, come ha detto l’Organizzazione Mondiale della Sanità, indotta dall’esercito israeliano. Secondo i dati ONU, tre palestinesi su quattro non riescono ad accedere al cibo ogni giorno. Portiamo quindi cibo, ma anche farmaci di tutti i tipi: per il diabete, per il colesterolo, ma anche quelli che servono per la vita, come l’adrenalina e la dobutamina, indispensabili nelle terapie intensive, nelle rianimazioni e nelle sale operatorie. Portiamo anche beni di prima necessità che ormai a Gaza sono un lusso: pannolini, assorbenti, latte in polvere per bambini. Ma soprattutto portiamo noi stessi. Non vogliamo creare un corridoio umanitario, ma un corridoio umano. Vogliamo rompere il blocco illegale che Israele impone da anni, e che dal 7 ottobre 2023 si è aggravato. Portiamo i nostri corpi, la nostra professionalità, le nostre mani per aiutare colleghi che da due anni cercano di evitare una catastrofe umanitaria”.
“I sanitari a Gaza – continua il chirurgo – sono diventati un bersaglio: più di 1.677 uccisi dal 7 ottobre, secondo la Croce Rossa internazionale. È inaccettabile. Nessuno può impedire a dei medici di entrare in una zona di guerra e portare aiuto. Speriamo di arrivare a Gaza con il nostro carico di pace, di aiuti e di solidarietà”.
Francesco Prinetti, medico: "Qui anche per protestare contro lo Stato italiano"
A bordo c’è anche Francesco Prinetti, medico torinese di 28 anni: “Siamo un equipaggio composto esclusivamente da professionisti sanitari e giornalisti. La barca rappresenta le categorie che sono state un obiettivo principale del genocidio in corso a Gaza: con il blackout mediatico, la distruzione e il bombardamento degli ospedali, l’uccisione di medici e infermieri, e l’impossibilità di accedere alle cure. Vogliamo portare la nostra professionalità e solidarietà al popolo palestinese, e rompere l’assedio illegale israeliano che da anni causa questo genocidio”.
Ma la sua presenza è anche una denuncia: “Sono qui anche per protestare contro la complicità dello Stato italiano. È un modo per manifestare la mia contrarietà a un ruolo di complicità che ci viene imposto di fronte alla comunità internazionale, mentre Israele continua a godere di impunità di fronte ai suoi crimini”.
Vincenzo Fullone: "Nessuno ha il diritto di fermare chi cerca di difendere la vita"
Poi c’è Vincenzo Fullone, 53 anni, calabrese. Gaza per lui non è un nome lontano. “Mi sono trasferito a Gaza nel 2013, poi ho vissuto per undici anni in Medio Oriente. Torno a Gaza per continuare quello che ho iniziato: con Yasser Murtadjah, Rushdi Sarraj e Sami Eben ho fondato la prima agenzia di comunicazione indipendente nella Striscia. Loro sono tutti martiri, io sono l’unico sopravvissuto”.
“Torno per continuare ad aprire uno squarcio sulla verità”, spiega a Fanpage.it, “Gaza è stata invisibile per anni, nascosta da una cortina che i media hanno ignorato colpevolmente. Ora si parla delle flotte, ma si guarda ancora al dito e non alla luna, che è l’occupazione illegale della Palestina. Finché Gaza e la Palestina saranno occupate, finché i governi legittimeranno l’occupazione e la pulizia etnica, tutto questo continuerà. Il genocidio perpetrato da Israele a Gaza non è qualcosa di eccezionale: lo fa da quasi ottant’anni. Non dimentichiamo la Nakba, le deportazioni del ’48 e del ’67”.
“La Conscience è piena di medici, infermieri, giornalisti, farmaci. È l’ultimo atto di coscienza dell’umanità”, continua, “se fermano questa nave, fermeranno la coscienza stessa dell’umanità. Gaza è un laboratorio, un esperimento: se restiamo in silenzio, quello che accade lì accadrà anche altrove. Noi non stiamo andando a provocare nessuno, stiamo andando in acque palestinesi. Il diritto alla vita è inalienabile, e nessuno ha il diritto di fermare chi cerca di difenderlo”.
Stefano e Claudio: "Abbiamo un obbligo morale: esserci"
Sul ponte, Stefano, infermiere romano di 42 anni, racconta dal suo cellulare: “Mi sono imbarcato il 30 settembre da Otranto. Il nostro obiettivo è toccare la terra di Gaza, entrare negli ospedali e dare supporto tecnico ai colleghi che non ce la fanno più. Sono 1.677 i sanitari uccisi: chirurghi che tremano per la fatica e la fame, infermieri che non riescono a seppellire i propri cari. Abbiamo un obbligo morale: esserci”.
Infine c’è Claudio Torrero, o Bhante Dharmapala, monaco buddista. “Sono qui perché la mia vocazione mi impone di stare vicino alla sofferenza e fare ciò che è possibile per limitarla o impedirla. Qui c’è una gravissima sofferenza: il genocidio di un intero popolo, quello palestinese. Ma c’è anche una catastrofe morale che si sta abbattendo sull’ebraismo, una delle grandi tradizioni spirituali dell’umanità, che viene schiacciata nei suoi fondamenti da ciò che accade. Da anni sono impegnato nel dialogo interreligioso: per questo dovevo essere qui”.
Mentre la Conscience avanza verso la “zona rossa”, ognuno porta la propria idea di cura, di responsabilità, di umanità. “Speriamo di arrivare a Gaza con il nostro carico di pace, di aiuti, di solidarietà”, ripete Riccardo. “Oggi in mare aperto”, conclude Francesco, “a muoversi è la coscienza – Conscience per l’appunto – dell’umanità”.