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Caos Bolivia, Evo Morales si dimette ma per il presidente scatta un mandato d’arresto

È caos in Bolivia, dopo l’annuncio di nuove elezioni, il Presidente Evo Morales è stato costretto a dimettersi in tutta fretta perché l’esercito la polizia avevano dichiarato ufficialmente di essere contro di lui. Morales ha parlato di un colpo di stato e di saccheggi nelle case dei ministri. L’opposizione parla di un mandato di arresto mentre il Messico ha offerto asilo politico.
A cura di Antonio Palma
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La Bolivia è sempre più nel Caos, nelle scorse ore il Presidente Evo Morales ha annunciato le sue dimissioni parlando di un colpo di stato mentre il principale leader di opposizione ha annunciato un mandato di cattura contro di lui.  Non è bastata dunque la dichiarazione di nuove elezioni a gennaio dopo le violente proteste di piazza, Morales è stato costretto a dimettersi in tutta fretta nella serata di domenica, ora italiana, dopo che l'esercito la polizia avevano dichiarato ufficialmente di essere contro di lui. Annunciando le sue dimissioni in diretta, Morales ha parlato di un colpo di stato portato avanti da "forze oscure che hanno distrutto la democrazia" e ha dichiarato che era stato emesso un mandato di arresto "illegale" nei suoi confronti.

Una notizia confermata dal suo principale oppositore, l’ex presidente, Luis Fernando Camacho secondo il quale "la polizia ed i militari lo stanno cercando nel Chapare, luogo dove si è nascosto" dopo che "i militari gli hanno tolto l'aereo presidenziale e lui si è nascosto". Morales ha raccontato anche di “gruppi violenti” che avrebbero preso d’assalto la sua abitazione. Anche se ha assicurato di essere pronto a rimanere nel Paese proprio nella zona tropicale di Cochabamba, dove ha iniziato la sua carriera politica e tuttora considerata la sua roccaforte, non è escluso che l'ormai ex presidente boliviano potrebbe essere indotto a rifugiarsi all'estero o nell'ambasciata messicana dove già sono riparati diversi suoi ministri e parlamentari dimissionari.

Il Messico infatti ha offerto asilo politico a Morales e a tutto il governo uscente tramite il ministro degli Esteri, Marcelo Ebra.  "Non ho ragioni per scappare dato che non ho rubato nulla. Il mio peccato è essere indigeno, dirigente sindacale, cocalero. Essere indigeno, antimperialista e di sinistra è il nostro peccato” ha dichiarato Morales a un giornale locale, avvertendo che se “capiterà qualcosa a me e a al vicepresidente, anche lui dimissionario, Garcia Linera, sarà colpa di Carlos Mesa e Luis Ferdinando Camacho”. Il riferimento è alle notizie di attacchi e saccheggi alle residenze di alcuni ex ministri e alla sede dell’ambasciata venezuelana a La Paz dove si riteneva si fossero rifugiati.

Dopo le dimissioni, il capo della polizia ha smentito il mandato di cattura per Morales ma nelle stesse ore, su orine della procura, gli agenti hanno arrestato la ex presidente e l’ex vicepresidente del Tribunale Supremo Elettorale (Tse), Maria Eugenia Choque e Antonio Costas, per le presunte frodi e i brogli legati alle elezioni presidenziali del 20 ottobre che avevano sancito la contestatissima rielezione di Morales.

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