Antonio Mazzeo racconta cos’è successo sulla Freedom Flotilla: “Polizia israeliana barbara e umiliante”

Antonio Mazzeo, giornalista e insegnante, è appena rientrato in Italia dopo essere stato sequestrato in acque internazionali dall'esercito israeliano. Era a bordo della Handala, l'imbarcazione umanitaria della Freedom Flotilla Coalition diretta a Gaza con un carico di aiuti umanitari per la popolazione affamata a morte da Israele. Con lui altri 20 attivisti, parlamentari e giornalisti, compreso Tony Lapiccirella, che invece arriverà nelle prossime ore a Fiumicino.
Ai microfoni di Fanpage,it, Mazzeo ha ricostruito cosa è successo dall'intercettazione da parte dell'esercito israeliano fino al suo rimpatrio in Italia:
Dove vi trovavate e cosa è accaduto nella notte tra sabato e domenica?
Eravamo in navigazione verso Gaza. Il 26, sabato sera, siamo stati allertati: dal porto di Haifa erano partiti due pattugliatori della Marina israeliana, del 13° reparto d’assalto. Abbiamo calcolato la rotta e tentato di deviare verso sud, in direzione delle coste egiziane. Ci trovavamo a circa 50 miglia da Gaza, in acque internazionali. Le autorità portuali egiziane ci hanno autorizzato all’approdo, non al transito nelle loro acque territoriali, ma il nostro obiettivo non era l’Egitto, era Gaza.
Quando vi hanno raggiunti?
La loro velocità era il doppio della nostra. Ci hanno presi. L’assalto, in termini militari, è stato perfetto: non ci hanno mai investiti con i motoscafi veloci. Sono saliti da due pattugliatori, una quarantina di uomini, noi eravamo già pronti con i giubbotti di salvataggio addosso e li abbiamo attesi con le mani alzate. Uno dei due pattugliatori ha rimorchiato la Handala fino al porto di Ashdod. Durante la navigazione, durata circa 12 ore, i militari facevano i turni. Quando sono saliti a bordo, sapevano già chi eravamo. Non hanno dovuto identificarci: “Tu sei Antonio, ti metti qua”. Ci conoscevano, avevano le nostre fotografie. Erano tutti armati fino ai denti, ma attenti e rispettosi. Ci hanno fatto da subito usare i bagni. Poi sono saliti a bordo dei sanitari e ci hanno offerto cibo e acqua che abbiamo rifiutato.
Cosa è successo all’arrivo al porto?
Siamo stati consegnati alla polizia. Hanno chiamato Aweda, cittadina palestinese con passaporto USA e israeliano, e Bob, anche lui con doppia cittadinanza. Sono scesi e non li abbiamo più visti. Poi hanno iniziato a farci scendere uno alla volta, strattonandoci, con un poliziotto a testa che ci spingeva. A un certo punto hanno prelevato Chris e l’hanno fatto sparire. Eravamo partiti in 21, ma ci siamo ritrovati in 18 in uno stanzone, seduti in semicerchio, sotto sorveglianza della polizia portuale. Allora uno alla volta siamo stati chiamati per l’interrogatorio, in modo brutale. Abbiamo chiesto di parlare con gli avvocati, ma ci è stato negato. Da quel momento siamo stati isolati. Non posso descrivere la violenza delle perquisizioni corporali, la brutalità con cui hanno esaminato ogni nostro oggetto personale. Umiliante e barbaro.
Avete avuto accesso ai rappresentanti consolari?
Sì. C’era la console italiana, molto gentile. Ci ha spiegato che potevamo accettare l’espulsione immediata oppure aspettare fino a 72 ore in un centro detentivo. Ho chiesto di parlare con Tony. Lei si è attivata, ma mi ha riferito che Tony aveva deciso di non firmare e stava già affrontando l’interrogatorio. A quel punto, ho firmato: mi sembrava più utile tornare in Italia.
Lei è stato interrogato?
Sì. È stato brutale. Ero seduto a tre tavoli di distanza da Tony, è stata l’ultima volta che l’ho visto. Avevo già concordato le risposte con l’avvocato, ma mi è stata negata la comunicazione con chiunque per ore. Ho chiesto una traduttrice, molto ostile. Le domande erano assurde: “Hai mai portato aiuti in Siria?”, “Sai quante persone ha ucciso Hamas?”. A un certo punto, l’interrogatore ha urlato in ebraico: “Ben Gurion! Shalom! Hamas!”. Ho chiesto all’interprete cosa avesse detto. Lei mi ha risposto: “Meglio lasciar perdere”. Mi hanno chiesto di firmare un decreto di detenzione, che ho rifiutato, e poi quello di espulsione. Dopo mi hanno portato in una sala d’attesa per 40 minuti circa e successivamente mi hanno chiuso dentro un cellulare di metallo, due metri per settanta centimetri, senza finestre. Poi hanno caricato anche Jacob e i due giornalisti di Al Jazeera. Eravamo in quattro lì dentro, sballottati, fermi per due ore e mezza. A un certo punto abbiamo sentito una voce di donna: era Gabrielle Cathala, la deputata francese. Siamo stati portati in un centro di polizia vicino all’aeroporto. Spogliati, perquisiti per la quarta volta, rinchiusi in una cella con una branda di cemento armato e l’aria condizionata gelida. Dopo ore ci hanno detto che saremmo partiti. Volevamo riprendere i bagagli ma ci hanno detto che erano stati sequestrati. Ci hanno lasciati in una stazione di Tel Aviv, dove ci hanno nuovamente perquisiti, tolto i lacci, spogliati. Si sentiva il puzzo di urina perché non ci hanno mai dato la possibilità di cambiarci. È stato umiliante. Alle quattro del mattino ci hanno portati in aeroporto, in una struttura per immigrati irregolari. Lì c'era pure Gabrielle. Più tardi è arrivato anche il capo della polizia, dicendomi che sarebbe arrivata la console italiana a parlarmi. Mi sono spaventato, pensavo volessero bloccare la partenza. La console mi ha rassicurato: sarei partito alle 8:15. Da lì in poi ci hanno offerto acqua e un panino. Ho ricevuto i miei documenti dalla polizia italiana all’arrivo a Roma.
Come ha vissuto il rientro?
Molto commovente. C’erano Arturo Scotto del PD, l’ex senatore Giovanni Russo Spena, Alfio Nicotra di AOI, Roberta Leoni dell’Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e delle università. Ma le ultime 48 ore sono state durissime. Non avevo notizie dei miei compagni. Sono rimasto circa 70 ore senza sapere nulla. Solo ieri ho scoperto come stavano gli altri. Ho parlato con la famiglia di Tony. So che stanno tornando tutti.
Lo rifarebbe?
Assolutamente sì. Per centinaia di ragioni. L’obiettivo della Handala era rompere il muro. E lo ha fatto: ha allargato il consenso e la consapevolezza politica. Non regge più la scusa di Hamas per giustificare il genocidio di Gaza. Credo che quest’esperienza abbia accelerato l’isolamento di Israele anche da parte di chi continua a giustificarlo e sostenerlo. Perfino in Italia si stanno aprendo crepe: ho visto quattro pagine del Corriere dedicate a Gaza. C’è una coscienza nuova, anche nei partiti moderati. Il dolore è sapere che a Gaza ci stavano aspettando. Non saremmo arrivati a salvare nessuno, ma avremmo portato un segno di umanità in una situazione totalmente disumanizzata.