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Talebani a Kabul: le ultime news sull'Afghanistan

Afghanistan, perché Joe Biden vuole concludere le evacuazioni entro 7 giorni

Joe Biden ha annunciato che le truppe statunitensi lasceranno l’Afghanistan entro e non oltre il 31 agosto, così come da accordi iniziali. Questo significa che migliaia di collaboratori dell’Occidente in pericolo di vita per il lavoro svolto negli ultimi 20 anni resteranno in trappola sotto il dominio dei talebani.
A cura di Gabriella Mazzeo
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Il Presidente americano Joe Biden ha confermato il ritiro delle truppe statunitensi entro il 31 agosto. Nonostante i dubbi iniziali e le pressioni degli altri leader per la proroga del termine, Biden ha deciso di dare ascolto alle preoccupazioni del Pentagono che aveva ammonito il governo sui rischi di attacchi terroristici ai danni della nazione. Nella giornata di ieri il successore di Trump ha annunciato di voler intensificare il traffico aereo da Kabul agli Usa, vantando nello stesso frangente maggiori investimenti per i posti di lavoro sul territorio nazionale. "Stiamo facendo veri investimenti per il popolo americano – spiega – e abbiamo posizionato la nostra economia su una strada di crescita a lungo termine". La dichiarazione è a introduzione di un'accorata difesa delle sue scelte sul fronte della politica internazionale. In seguito alle critiche arrivate dopo la conquista di Kabul da parte dei talebani, Biden aveva asserito di non voler impiegare risorse in una guerra che "non riguarda il popolo americano".

Le operazioni di salvataggio, insomma, si concluderanno tassativamente entro la fine del mese di agosto. Migliaia di profughi afghani resteranno quindi intrappolati sotto il dominio dei fondamentalisti islamici. Per il momento, gli Usa pensano a come riportare a casa gli americani sul territorio afghano e alcuni dei collaboratori che in questi 20 anni hanno lavorato per l'Occidente. Nessuno sconto insomma per traduttori e spalle di diplomatici americani: una dichiarazione che ha suscitato l'indignazione di veterani, di professionisti dell'intelligence e dei cittadini. L'accesso all'aeroporto di Kabul è stato interdetto a tutti i civili sul territorio: non saranno quindi più permesse le partenze di massa e neppure i disperati assembramenti ai cancelli. Per portare via tutti coloro che hanno diritto a raggiungere gli Stati Uniti, Biden dovrebbe aumentare la presenza di truppe sul territorio e espandere il perimetro dell'aeroporto. Un'operazione che richiederebbe la riconquista di Kabul. "Ogni giorno che passa è un rischio per le nostre truppe – spiega il presidente -. Sappiamo che l'Isis cerca di attaccare l'aeroporto, i nostri militari, gli alleati e civili innocenti. I talebani poi potrebbero chiudere l'aeroporto anche alle nostre truppe in qualsiasi momento ". Sfidare i fondamentalisti, insomma, aumenterebbe i rischi.

Cade anche l'ultima provocazione lanciata dai talebani durante la conferenza stampa di ieri. Il portavoce dei fondamentalisti, rispondendo alla domanda di un giornalista, si è rivolto direttamente agli Stati Uniti, accusandoli di "portare via i maggiori talenti del Paese che devono restare per garantire la ricostruzione". L'unica reazione suscitata è stata la marcia indietro sulla proroga, mascherata poi come una scelta. Secondo gli oppositori politici, Joe Biden è il "primo presidente americano a piegarsi agli ordini dei talebani nonostante abbiano forze inferiori a quelle statunitensi". Una volta rientrate le truppe dall'Afghanistan, la vera missione del presidente sarà quella di arginare i danni provocati da quella che è stata a tutti gli effetti una debacle all'estero dopo 20 anni di guerra e milioni di dollari spesi. Il tentativo di far passare il ritiro delle forze militari come un pensiero rivolto alla stabilità della nazione potrebbe non bastare: in particolare, infatti, suscita polemiche l'idea che migliaia di collaboratori in pericolo non riusciranno a lasciare il Paese. L'amicizia dimostrata agli Stati Uniti, dunque, non garantirà loro alcuna sicurezza.

La resistenza nel Pashir

Resta da sciogliere anche il nodo del Panshir,lì dove è nato un sistema embrionale di resistenza ai talebani.Del resto è una storia che si ripete: la regione aveva resistito già nel primo governo dei fondamentalisti, negli anni tra il 1996 e il 2001. Con il ritorno dell'emirato islamico, è qui che si raccolgono gli sforzi di un migliaio di combattenti afghani che non si sono arresi alle truppe talebane. La resistenza, però, è attualmente sola: ad affiancarla nessuna forza occidentale. Neppure gli Stati Uniti, che insistono nel voler "capire se il nuovo Emirato può rappresentare o meno una minaccia".

A proposito del fronte anti-talebano, il portavoce del regime, Zabihullah Mujahid, ha asserito durante la conferenza stampa di ieri di non voler aprire un conflitto. "Sono nostri fratelli, vorrei tornassero a Kabul perché abbiamo obiettivi comuni. Le persone che sono lì hanno paura per gli scontri, ma noi le stiamo rassicurando". Il tentativo è quello di apparire come le forze democratiche che contrastano i ribelli per poter ottenere il riconoscimento internazionale del nuovo Emirato islamico. Un riconoscimento che vorrebbe dire fondi, alleati e accordi economici. Secondo gli oppositori politici di Biden, il rischio di una resa così incondizionata è quello di permettere al regime di dettare le proprie condizioni anche a livello internazionale, ponendosi come interlocutori necessari per poter gestire affari sul territorio. La soluzione in termini strategici sarebbe quella di un appoggio al fronte di resistenza, ancora troppo debole dal punto di vista delle reclute e degli armamenti che invece non mancano ai talebani. Offrire loro aiuto, armi e addestramento significherebbe però intraprendere una nuova guerra in Afghanistan e la prospettiva rappresenterebbe secondo Biden una dimostrazione del fallimento della sua agenda politica sul fronte internazionale. Ripartire dal via significherebbe ammettere senza mezzi termini che l'errore non è stato il ritiro delle truppe americane, ma la gestione di 20 anni di occupazione del suolo afghano. 

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