
L’economia italiana arranca e nel 2013 sarà lasciata indietro persino da quella del Burkina Faso. Secondo gli analisti di Deutsche Bank, l’anno venturo il Belpaese terrà infatti compagnia a Spagna, Portogallo e Francia con una variazione del Prodotto interno lordo (Pil) attesa tra il -2,5% e lo zero. Peggio dell’Italia nel vecchio continente dovrebbe fare solo la Grecia, per quale gli esperti tedeschi pronosticano un crollo del Pil, l’ennesimo, superiore al 2,5%. Si dirà: è inevitabile vista la crisi del debito sovrano dei PIIGS europei e la “cura tedesca” a base di una riduzione dell’indebitamento pubblico che procede di pari passo a quella dell’indebitamento privato, comprimendo sia i consumi sia gli investimenti e dunque azzoppando la domanda interna per puntare ogni carta sulle esportazioni. Sarà, ma anche a livello mondiale trovare chi stia messo come l’Italia, in termini di (de)crescita del Pil è un’impresa.
Soltanto per il Sudan e la Guyana francese gli esperti tedeschi si attendono un possibile calo entro il 2,5% del Pil, mentre in tutto il resto del pianeta l’economia dovrebbe continuare a crescere, con i mercati emergenti dell’Asia, dell’America Latina e dell’Africa tra i migliori. Se per quanto riguarda i valori assoluti il grosso della crescita verrà dalla Cina (+8,2% le attese, ossia una variazione pari a quella di paesi come Zambia e Congo), guardando alla crescita percentuale è proprio l’Africa (e il Medio Oriente) che sembra poter divenire la nuova protagonista, con la Libia alla quale Deutsche Bank assegna una previsione di incremento del Pil pari al 16,7%, superiore a quelli della Mongolia (+15,7%), dell’Iraq (+14,7%), del Bhutan (+13,5%), del Paraguay (+11%) e di Timor Est (+10%), tutti contraddistinti da crescite a doppia cifra percentuale.
Molto più “sobria” la crescita attesa per le grandi economie occidentali, se non proprio nulla: per Stati Uniti, Giappone, Germania, ma anche Australia, Canada, Inghilterra, Svezia, Norvegia e Finlandia, piuttosto che Belgio e Olanda, le previsioni oscillano tra un Pil stabile e una crescita comunque inferiore al 2,5%, mentre “emergenti” di peso come Nuova Zelanda, Russia, Messico, Brasile e Venezuela (ma non l’Argentina, ancora in crisi ad un decennio dal suo “default”, cosa che dovrebbe far riflettere rispetto ai vaneggiamenti di chi un “default” sui titoli di stato italiani va proponendo come soluzione alla crisi attuale) andranno a un passo spedito, in molti casi doppio rispetto a quello dei “grandi” della Terra.
L’unica cosa che resta da vedere è se basterà la corsa degli emergenti, specie in Nord Africa e in Medio Oriente, oltre che in America Latina, dove le aziende italiane hanno storicamente una buona presenza, a lenire le sofferenze che la “cura Monti” sta causando all’economia italiana. Incrociamo le dita o cerchiamo di far cambiare almeno in parte rotta non tanto al premier italiano quanto all’egemone tedesco? Purtroppo al momento attuale, come ho spiegato già, la politica sembra aver nuovamente imposto i suoi ritmi al mercato e all’economia reale per cui, almeno a breve, non ci resta che piangere, per parafrasare Roberto Benigni e Massimo Troisi. Sperando sinceramente di sbagliarmi per eccesso di pessimismo.
