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Ritardi nei pagamenti della Pa, Corte di giustizia europea contro l’Italia: cosa succede ora

Secondo i giudici della Corte Ue, Roma avrebbe violato una direttiva del 2011 sui tempi dei pagamenti, non imponendo alla propria Pubblica amministrazione di rispettare i termini stabiliti di 30 o 60 giorni. La Commissione Ue aveva aperto una procedura d’infrazione contro l’Italia, dopo che alcuni “operatori economici italiani” avevano denunciato importanti e sistematici ritardi nel saldo dei pagamenti dovuti da parte della Pa.
A cura di Annalisa Girardi
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L'Italia è stata condannata dalla Corte di giustizia europea per il ritardo dei pagamenti nella Pubblica amministrazione: secondo i giudici della Corte Ue, Roma avrebbe violato una direttiva del 2011 sui tempi dei pagamenti, non imponendo alla propria Pa di rispettare i termini stabiliti di 30 o 60 giorni. "L’Italia avrebbe dovuto assicurare il rispetto da parte delle pubbliche amministrazioni, nelle transazioni commerciali con le imprese private, di termini di pagamento non superiori a 30 o 60 giorni di calendario", hanno sottolineato i giudici del Lussemburgo, riferendosi alla norma comunitaria che regola le tempistiche in tema di pagamenti.

La Commissione Ue aveva aperto una procedura d'infrazione contro l'Italia, dopo che alcuni "operatori economici italiani" avevano denunciato importanti e sistematici ritardi nel saldo dei pagamenti dovuti da parte della Pa. Nello specifico, l'esecutivo Ue ha proposto un ricorso per inadempimento davanti ai giudici comunitari. Nella sentenza pronunciata oggi, 28 gennaio 2020, la Corte ha riconosciuto una violazione da parte di Roma, che non avrebbe garantito il rispetto dei tempi stabiliti dalla direttiva 2011/7/Ue sui pagamenti nelle transazioni commerciali.

L'Italia, da parte sua, si è difesa affermando che secondo la direttiva uno Stato membro è unicamente tenuto a garantire termini di pagamenti basati sulla normativa europea e a tutelare, in caso di ritardi, il diritto del creditore al risarcimento e agli interessi di mora. Ma non sarebbe, sempre secondo quanto sostenuto da Roma, tenuto a imporre l'effettiva osservanza delle tempistiche alla Pa. Inoltre, l'Italia ha sottolineato che le transazioni della Pa non possono comportare responsabilità da parte dello Stato. Entrambi questi argomenti, tuttavia, non sono stati accolti dalla Corte, secondo la quale invece la direttiva "impone agli Stati membri di assicurare il rispetto effettivo, da parte delle loro pubbliche amministrazioni, dei termini di pagamento da esso previsti".

Non solo: "in considerazione dell'elevato volume di transazioni commerciali in cui le pubbliche amministrazioni sono debitrici di imprese, nonché dei costi e delle difficoltà generate per queste ultime da ritardi di pagamento da parte di tali amministrazioni, il legislatore dell'Unione ha inteso imporre agli Stati membri obblighi rafforzati per quanto riguarda le transazioni tra imprese e pubbliche amministrazioni". La Corte ha anche riconosciuto che la specifica situazione italiana stia effettivamente migliorando negli ultimi anni, ma comunque "è venuta meno agli obblighi ad essa incombenti in forza del diritto dell'Unione". Ora l'Italia è tenuta a "conformarsi alla sentenza senza indugio". In caso contrario, la Commissione può procedere proponendo un ulteriore ricorso e chiedendo di imporre delle sanzioni pecuniarie su Roma.

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