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Il caso banca popolare di Bari

Banca Popolare di Bari, le responsabilità di Bankitalia che Visco fa finta di non vedere

Perché nel 2014 Bankitalia ha permesso alla Popolare di Bari di acquistare una banca commissariata come Tercas, se i suoi conti erano già messi male? E perché, dopo quell’acquisizione, Popolare di Bari non è stata a sua volta commissariata, nonostante i conti fossero ulteriormente peggiorati? Due domande al governatore Visco, secondo cui è stato fatto tutto il possibile.
A cura di Barbara D'Amico
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Ignazio Visco parla del crack della Popolare di Bari. E lo fa affidando a una lunga intervista al Corriere della Sera  una sorta di memorandum in cui il Governatore dell’Istituto, che vigila e controlla sulla salute degli intermediari finanziari e di credito in Italia, spiega che Palazzo Koch non ha colpe nel dissesto barese. L’Istituto non avrebbe mai potuto sostituirsi alla gestione di Bpb per salvarla – non è nei suoi poteri –  e per Visco è stato fatto tutto ciò che si poteva per aiutare la realtà da quasi 70 mila soci e a cui si aggrappano 100 mila imprese a restare in piedi nonostante le perdite.

Vero è che il ruolo di Bankitalia è limitato ai controlli e a poteri di moral suasion nei confronti di chi gestisce il credito nella Penisola.  Ma in ultima analisi l’obiettivo dovrebbe sempre tendere alla tutela dei risparmiatori. Per questo alcune delle dichiarazioni di Visco suonano contraddittorie rispetto a quanto emerso in questi primi giorni dal commissariamento di Bpb e che riguardano appunto il livello di guardia e la tempestività di reazione dell’Istituto al collasso della banca, presa per i capelli con il commissariamento appena una settimana fa. Due in particolare meritano un approfondimento.

Tercas e il mutuo fantasma

La prima riguarda il criticato acquisto da parte dell’istituto barese della Cassa di risparmio di Teramo (Banca Tercas) nel 2014. Tercas è, allora, un’altra realtà in difficoltà a cui in passato proprio Banca d’Italia ha concesso un prestito di 480 milioni di euro. Un mutuo di cui, scoprono i giornalisti Gianluca Paolocci e Alessandro Barbera per La Stampa, non si fa menzione nella relazione di Banca d’Italia sul commissariamento di Bpb, e che invece compare nella relazione al bilancio della Popolare già nel 2013. “Nel mese di novembre 2013 – si legge nel documento Bpb – è stato erogato dalla Banca (Bpb ndr) a Banca Tercas un finanziamento per euro 480 milioni.  Detto finanziamento è stato concesso per permettere a Banca Tercas di estinguere un precedente mutuo, erogato dalla Banca d’Italia per temporanea carenza di liquidità, con contestuale surrogazione della Banca Popolare di Bari”.

Un debito di Palazzo Koch passato quindi in pancia alla Popolare di Bari, già con i conti in sofferenza al momento dell’acquisizione costata circa mezzo miliardo di euro. Sul punto, Visco non ritiene esista alcuna anomalia perché replica al quotidiano così: “[…] venne considerata la manifestazione di interesse dei vertici della Popolare di Bari, che poi decisero di realizzare l’operazione in base a una autonoma valutazione, negoziando e ottenendo dal Fondo Interbancario di Tutela dei depositi il contributo ritenuto necessario per l’acquisizione (pari a 330 milioni di euro ndr)”.

Quindi, stando a quanto dichiarato dal Governatore, i vertici di Bpb –  che ricordiamo in quel periodo è sotto controllo ispettivo da parte di Palazzo Koch – avrebbero deciso in modo indipendente da qualunque suggerimento di Bankitalia di indebitare ulteriormente la Popolare per salvare una Cassa di risparmio già commissariata.

Eppure è proprio Visco che rivendica tra i compiti dell’Ente quello di promuovere e suggerire soluzioni di integrazione tra banche, quando queste soluzioni possano salvaguardare i risparmi di correntisti e azionisti e la tenuta del sistema bancario italiano. Come mai, allora, l’Istituto, che aveva iniziato le attività ispettive su Bpb nel 2010 rilevando sin dall’inizio “carenze nell’organizzazione e nei controlli interni sul credito” (così riporta la relazione di Bankitalia), autorizza solo pochi anni dopo un’operazione così pesante a carico di una realtà non in salute? Sulla base di quali elementi il matrimonio con Teramo avrebbe salvaguardato credito e risparmiatori?

Si potrebbe obiettare che la Popolare, truccando i bilanci (come ammette l’ex ad Vincenzo De Bustis ),  non avrebbe fornito un quadro veritiero agli ispettori, impedendo quindi a Roma di conoscere le reali condizioni della banca e di attivare subito procedure più forti verso Bpb, prima impedendo operazioni alla Tercas e poi attuando la strada del commissariamento. Ultima dolorosa soluzione, arrivata dieci anni dopo l’inizio dei controlli.

Gli occhi chiusi di Bankitalia

E qui veniamo alla seconda contraddizione.  Visco ripete più volte che uno degli ostacoli al risanamento di Popolare barese  – tramite ricapitalizzazione – è il ritardo nella trasformazione dell’istituto da cooperativa a società per azioni. “La ricapitalizzazione della Popolare di Bari – spiega sempre il Governatore nell’intervista al Corriere – non ha potuto avere luogo sul mercato perché la banca non si era trasformata in società per azioni come richiedeva la legge di riforma da noi fortemente caldeggiata e realizzata dal governo nel gennaio 2015. L’assetto delle “popolari” è un problema che abbiamo sempre sottolineato con forza: ostacola l’accesso al mercato e favorisce opacità e autoreferenzialità nella governance”.

Bpb non si trasformerà mai in società per azioni, nemmeno dopo il 2015. Ma  additare a questo la colpa del dissesto appare singolare non solo per ragioni cronologiche ma anche di competenza. Non facendo mistero della necessità di una ricapitalizzazione, Palazzo Koch conferma di aver sempre avuto gli elementi per ritenere grave la condizione di Bpb, e questo ben prima dell’adozione del decreto che solo nel 2015 obbligherà banche cooperative con oltre 8 miliardi di attivo (come Bpb) a diventare Spa. Si conosce, cioè, la situazione dei conti della Popolare di Bari, si sa che la soluzione migliore è la ricapitalizzazione privata, e ciononostante si autorizza un’operazione pesante come Tercas. Il tutto nel 2014 vale a dire prima che esistesse anche una sponda legale utile per facilitare la raccolta di nuove risorse sul libero mercato.

Delle due l’una: o Banca d’Italia riteneva che l’operazione abruzzese avrebbe riassestato i conti di Popolare di Bari spianando la strada alla ricapitalizzazione nel caso di una futura trasformazione in Spa. Oppure, ha quantomeno valutato male i rischi dell’acquisizione, contribuendo ad aggravare il dissesto: non esattamente ciò che ci si aspetta da un organo di vigilanza.

Ma era possibile capire quanto grave fosse la situazione di Bpb sulla base delle informazioni pubbliche e a prescindere dall’occultamento delle vere perdite? Per rispondere bisogna chiedersi in che condizioni fossero i conti ufficiali della Popolare di Bari quando Roma  autorizza l’operazione con Tercas e quali fossero le soglie di allarme e i criteri sufficienti, oltre a quelli imposti dal sistema bancario europeo, per contenere una situazione di palese dissesto e giudicare ardito l’ulteriore indebitamento della banca barese. Per diventare una società per azioni e quotarsi sul mercato – salvandosi? Difficile dirlo nel caso specifico – bisogna essere abbastanza sani, se non in condizioni di bilancio perfette, e Bpb non presenta queste caratteristiche nemmeno nei bilanci in chiaro consultabili sul sito del commissariato istituto barese.

Nel bilancio consolidato del 2014 (a pagina 50), la Popolare dichiara crediti e attività deteriorate (quindi destinate a non essere più recuperate) per oltre 720 milioni di euro – in aumento rispetto all’anno precedente quando ne dichiara oltre 660 milioni – su un totale di quasi 5 miliardi e mezzo di prestiti, concessioni, mutui, ecc…. Allo stesso tempo dichiara un patrimonio netto,  in grado di coprire o reggere le perdite, pari a meno di 1,4 miliardi di euro nel 2014 e sotto il miliardo nel 2013 (quindi circa la metà delle risorse della banca erano già a rischio).

Un andamento pericoloso che resterà più o meno omogeneo anche negli anni successivi quando nel 2017 Bpb rientra tra i 114 istituti da bollino rosso perché il rapporto tra crediti marci e patrimonio è superiore al 200% (la soglia di guardia è il 150% e la raggiungiamo nel 2019). In questi anni Palazzo Koch non resta fermo, continua le ispezioni.

Ma se è chiaro non si possa imputare a chi vigila la colpa di un dissesto, di cui è sempre responsabile chi ha gestito materialmente una banca, è anche vero che l’autorevolezza di chi deve controllare passa anche per fare tutto ciò che è nel proprio potere per fermare gestioni malate del risparmio altrui. Strada non facile e spesso legalmente limitata, ma quantomeno doverosa da percorrere. Per evitare di cadere in pericolose e fastidiose contraddizioni, illogiche e quindi non degne di chi per mestiere deve vegliare sulla fiducia di risparmiatori e investitori.

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