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Opinioni

E quindi, chi lo vince il referendum sulla Costituzione?

Mentre i sondaggi segnalano il netto vantaggio del fronte del no, Forza Italia e Movimento 5 Stelle tornano all’attacco, sullo stesso concetto: “Altro che semplificazione, Costituzione allungata della metà”. Renzi resta fiducioso e i suoi preparano la battaglia d’autunno. Nonostante 10 parlamentari del PD abbiano annunciato il loro no…
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Liberarsi dalla schiavitù dei sondaggi elettorali è uno degli obiettivi dichiarati del Presidente del Consiglio e del suo gruppo di lavoro. Il problema è che, dopo la batosta delle elezioni amministrative, la campagna elettorale per il referendum sulla riforma della Costituzione è diventata il vero turning point di una intera classe dirigente, uno snodo decisivo per una visione del Paese e della politica. E allora i sondaggi non solo si leggono e si commissionano, ma si analizzano e valutano, in modo da ricalibrare comunicazioni istituzionali, dichiarazioni pubbliche e comparsate sui media.

Le ultime rilevazioni diffuse, per la verità, non sono particolarmente incoraggianti per i renziani. C’è il sondaggio Eumetra Monterosa per Il Giornale, che in merito alle intenzioni di voto sul referendum mostra:

  • Voterò Sì 14%
  • Voterò No 23%
  • Non ho deciso 46%
  • Non sapevo ci fosse referendum 14%
  • Non andrò a votare 3%

C’è quello di Scenari Politici – Winpoll per Huffington Post, che calcola la percentuale della partecipazione al voto nel 46% degli aventi diritto e stima il no al 52,5% e il sì al 47,5%. E c’è quello di Demopolis, che invece stima la partecipazione al 52%, il Sì e il No sostanzialmente appaiati e ribadisce che un 35% degli italiani considera quello autunnale come un referendum pro o contro il Governo Renzi.

Insomma, per sintetizzare: il fronte del No sembra in vantaggio, ma la percentuale di indecisi / orientati all'astensione è talmente alta da lasciare aperta qualunque possibilità.

La partita si giocherà sugli indecisi, su coloro che tra "al momento" non sembrano intenzionati ad andare a votare,  e su quelli disposti a valutare il merito della proposta, al di là dell’appartenenza politica. Sulla consistenza numerica di quest’ultimo gruppo le interpretazioni divergono: c’è una parte del PD, nemmeno tanto numerosa, che ritiene determinante il voto d'opinione sulla riforma e che spinge il Presidente del Consiglio ad abbandonare la linea del legame indissolubile con l'esperienza di Governo; e poi ci sono gli integralisti, quelli che spingono Renzi a "fare il Renzi".

È il discorso della "personalizzazione" del referendum, di cui tanto si è scritto fino a farlo diventare "il tema" dell'intera campagna referendaria. Una linea che, sempre secondo l'interpretazione collettiva, Renzi avrebbe scelto di modificare dopo i risultati delle elezioni amministrative, per evitare che la contrarietà sulla sua persona ricadesse sul quesito referendario. Ecco che, resosi conto del pericolo, Renzi avrebbe "cambiato la narrazione" e sconfessato la sovrapposizione referendum – Governo – suo ruolo (ma anche legislatura – partito).

Una ricostruzione che non ci convince appieno, per una serie di ragioni. In primo luogo, Renzi non ha cambiato idea: se perde si dimette. Lo ha detto e ridetto in tutte le salse, una giravolta sarebbe impensabile. Dunque, piaccia o meno, il referendum è legato a doppio filo alla poltrona di Renzi a Palazzo Chigi. Questa considerazione ci porta al secondo punto: la riforma della Costituzione è la prima "mission" del Governo Renzi, l'offerta politica di Renzi e Napolitano al Paese, che ha giustificato anche la defenestrazione di Letta. Questo esecutivo è nato per riformare la Carta (e certo, per provare a fermare l'onda grillina…), se fallisce non ha ragione di esistere. Infine, il terzo punto: "La riforma della Costituzione, tanto nel merito quanto nel metodo utilizzato per approvarla in Parlamento, costituisce una summa efficace del "renzismo": dirigismo, centralismo, fastidio per i tempi lunghi della burocrazia, rinnovamento "istituzionale" ma senza salti nel buio, utilizzo del consenso personale come leva politica, mediazione "result oriented" e una certa dose di spericolatezza nelle alleanze". È una riforma renziana in tutto e per tutto, anche nelle piccole modifiche "tattiche" e nella confusione di fondo: se gli italiani la bocciano, bocciano anche Renzi.

Le forze in campo, poi, sono note: per il Sì Renzi, Alfano, Verdini, Monti; per il No Grillo, Salvini, Meloni, Berlusconi, Fitto, Fassina, Civati, D’Alema, Fratoianni, Landini, Camusso, Anpi, Anm e altri. Un elenco cui si sono aggiunti ieri dieci parlamentari del Partito Democratico, Corsini, Dirindin, Manconi, Micheloni, Mucchetti, Ricchiuti, Tocci (Senato) Bossa, Capodicasa, Monaco (Camera), i quali hanno spiegato di voler dar voce "a elettori e quadri PD che non condividono la revisione costituzionale".

Un quadro complicato per il Presidente del Consiglio, che però non dispera. Per due ragioni e mezza, diciamo. La frammentarietà del fronte del No potrebbe infatti condizionarne la campagna elettorale, regalando un argomento chiave alla propaganda del Sì: instabilità e confusione versus stabilità e chiarezza. I comitati per il Sì saranno poi il braccio armato del renzismo, una struttura molto più agile del pario, una rete capillare sul territorio, in grado di agire, produrre e moltiplicare il consenso, senza corpi intermedi, legacci statutari e veti a verdiniani e centristi. Se cercate il nuovo incubatore del renzismo, è lì che dovete guardare.

Infine la "mezza ragione", legata all'affluenza alle urne. Con numeri così bassi, conta la "conformazione" di chi va a votare: elettorato conservatore, età media piuttosto alta, cittadini politicizzati o comunque informati. Un "gruppo" cui il Presidente del Consiglio ha dimostrato di saper parlare. Per informazioni, si faccia riferimento alle Europee del 2014.

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A Fanpage.it fin dagli inizi, sono condirettore e caporedattore dell'area politica. Attualmente nella redazione napoletana del giornale. Racconto storie, discuto di cose noiose e scrivo di politica e comunicazione. Senza pregiudizi.
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