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Il 2 novembre degli antichi romani: dal viaggio nell’Ade di Enea ai Parentalia

Gli antichi temevano la morte: dalla mitologica discesa di Orfeo agli inferi alla leggendaria catabasi di Enea, l’immaginario greco e romano ha creato un suggestivo universo di simboli e rituali legati all’oltretomba che aveva il compito di esorcizzare il profondo timore che l’aldilà stesso suscitava. Ma la morte, per gli antichi, è anche indissolubilmente legata alla vita: come ci spiega il mito di Proserpina.
A cura di Federica D'Alfonso
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Ogni due novembre per la Chiesa cattolica ricorre il giorno dei morti. L’origine della liturgia legata ai defunti è, almeno per quanto riguarda il cristianesimo, di derivazione bizantina: fu all’incirca prima dell’anno Mille che la ricorrenza venne ufficializzata, grazie all’abate benedettino sant'Odilone di Cluny, che stabilì che tutte le campane delle abazie venissero fatte suonare in memoria dei fedeli defunti. Ma il rapporto dell’uomo con la morte è antico, e per i greci e i romani, ad esempio, assumeva un significato molto particolare.

Secondo il filologo tedesco Erwin Rohde, amico e collega di Friedrich Nietzsche, il particolare rapporto che il mondo antico aveva instaurato con la morte non era fondato tanto sull’affetto per la persona scomparsa, quanto sul particolare timore che incuteva una sua possibile “interferenza” con il mondo dei vivi. Sarebbe da questo ancestrale ed irrazionale timore per il mondo sotterraneo e infero che tutte le attività dedicate al culto dei morti si sono lentamente affermate nella società greca e romana assumendo un carattere pubblico: esorcizzare ed istituzionalizzare, e dunque racchiudere entro confini controllabili e definiti, la paura per la morte ha portato alla nascita di molti dei riti e delle cerimonie che ancora oggi, in modo diverso, sono presenti nella nostra cultura.

I Parentalia: il giorno dei morti nell'antica Roma

Oltre al celebre rituale del “mundus patet”, una sorta di Halloween ante litteram, la festività romana che più ricorda il nostro giorno dei morti è quella dei Parentalia: durante queste giornate, fra il 13 e il 21 febbraio, tutti i familiari si recavano presso le sepolture dei propri cari defunti portando offerte ed omaggi. Si trattava di una festività particolarmente sentita dagli antichi romani, che si concludeva con i solenni Feralia: una giornata in cui tutte le attività di commercio o politiche venivano sospese, al fine di “soddisfare” al meglio le esigenze dei defunti che, onorati e riveriti, non avrebbero più interferito con il mondo dei vivi per tutto il resto dell’anno.

Da Ulisse a Dante: la discesa agli inferi

Per gli antichi il rapporto con la morte era complesso, fondato sul timore perenne che le anime dei defunti, soprattutto coloro che non avevano avuto accesso alla beatitudine dei Campi Elisi, potessero tornare ad “infestare” la vita. Ma la morte, e i luoghi ad essa riservata, sono stati per i greci e i romani anche l’occasione per creare storie e leggende che sono famose ancora oggi.

La morte, e con essa il regno dell’oltretomba, è per gli antichi un topos letterario ricorrente: da Ulisse, che giunto presso le terre dei Cimmeri opera i dovuti sacrifici agli dei per potersi avventurare nell’Ade, fino ad Enea, che proprio attraverso la discesa agli inferi e l’incontro con il padre Anchise realizzerà il suo futuro di conquista e fondazione di Roma. La “catabasi”, ovvero la discesa di una persona viva nel regno dei morti, è uno dei fulcri attorno al quale ruota tutto l’immaginario antico: un immaginario che venne ripreso e amplificato secoli dopo, tradotto nel linguaggio del cristianesimo, da Dante Alighieri.

Proserpina e l’Ade: la vita nella morte

Proserpina, in un dipinto di Dante Gabriel Rossetti (1874), Tate Britain, Londra.
Proserpina, in un dipinto di Dante Gabriel Rossetti (1874), Tate Britain, Londra.

Non tutti sanno che uno dei racconti più celebri legati al mondo dei morti ha origine in Sicilia, nei pressi di Enna. Secondo varie fonti il re degli inferi Ade (o Plutone, per i romani), durante una visita nella terra dei vivi, s’imbatte in Proserpina (o Persefone, per i greci) e s’innamora follemente di lei. La bellissima fanciulla si trovava presso il lago di Pergusa, alle pendici dei Monti Erei, intenta a cogliere fiori insieme ad altre fanciulle.

Ade la rapisce, trascinandola nel regno infero su una biga trainata da quattro cavalli neri. La scomparsa della giovane fanciulla ebbe effetti devastanti sul mondo dei vivi: Proserpina infatti era originariamente una delle dee della fertilità e del raccolto; rapendola Ade priva la terra del suo nutrimento, e la primavera rischia di non tornare più. Fortunatamente la madre della fanciulla chiede ed ottiene da Zeus che la figlia trascorra sei mesi all'anno con il suo terribile sposo e sei fra i vivi: è così, dalla morte e dalla sua imprevedibilità, che nasce anche la vita con i suoi cicli stagionali e le sue primavere.

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