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“Vincent”, “Marbles”, “Il Nao di Brown”: il fumetto e l’arte di (non) impazzire

Riflessioni a fumetti sul rapporto tra arte, creatività e “pazzia”, raccontato in tre graphic novels unite dal denominatore comune del disturbo mentale.
A cura di Fran
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Quand'è che creatività ed immaginazione sono un valore aggiunto nella personalità dell'individuo e quando invece oltrepassano i limiti della normale percezione della realtà, sconfinando nel disturbo mentale? Qual è la specificità narrativa e figurativa del fumetto nel cercare di unire in un racconto coerente i frammenti "dissonanti" dell'animo umano? E soprattutto, il fatto che i tre protagonisti di queste storie siano rispettivamente un genio della pittura, un'esuberante fumettista ed un'illustratrice freelance è soltanto un caso o sarebbe opportuno rispolverare il caro, vecchio cliché dell'artista pazzo?
Mi sono posta queste domande (e di riflesso numerose altre, tutte lecite, sulla mia salute mentale) dopo aver letto praticamente di seguito le tre graphic novels sopracitate, molto diverse fra loro nello stile e nei contenuti ma unite da un tema comune per nulla facile da affrontare senza scadere nella sterile sintomatologia o, viceversa, nella drammatizzazione esasperata della malattia.

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Vincent dell'olandese Barbara Stok (Bao Publishing, € 15.00), pur raccontando una storia ben nota, riesce a sorprendere il lettore con un tratto semplice, quasi infantile, ma allo stesso tempo espressivo e graffiante, che ben si adatta a descrivere la brutalità delle emozioni del protagonista e la sua fedeltà viscerale ed ossessiva alla propria arte, ma ne coglie allo stesso tempo la fragilità, la delicatezza nell'ispirazione, l'affetto per il fratello Theo, unico legame di Vincent con il mondo "esterno"; i colori, che nelle citazioni delle opere dell'artista riprendono in modo impeccabile gli schemi cromatici originali, vengono accostati e mescolati tra loro creando atmosfere psichedeliche, quasi "pop", nelle tavole che ne interpretano la pazzia e le visioni. Un resoconto fedele ed intenso ma allo stesso tempo delicato e toccante, che non cede alla facile tentazione del celebrare l'artista compatendo l'uomo.
Se in Vincent la raffigurazione del disturbo mentale diventa poesia, in Marbles di Ellen Forney (BD Comics, € 18.00) si trasforma in caos: il disturbo bipolare dell'autrice assume le forme stilistiche più disparate, dalla tavola illustrata alla striscia, dall'autoritratto allo sketch scarabocchiato su un foglietto di fortuna. E non potrebbe essere altrimenti, perchè la protagonista è una fumettista dotata di una fantasia vulcanica ed una vena ironica graffiante ed irresistibile, tant'è vero che la prima cosa di cui si preoccupa, quando le viene diagnosticata la malattia, è "Quali saranno gli effetti sul mio lavoro? E se curarmi finisse per limitare la mia creatività?".

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Naturalmente la distinzione tra le categorie sano/ordinario ed alterato/creativo non è così facile da definire, classificare o controllare, ed Ellen lo scoprirà a sue spese, alternando periodi di iperattività fisica e mentale ad altri di cupa depressione, nella lunga e laboriosa ricerca di un equilibrio. Il risultato coniuga "diario di bordo" ed autobiografia in una sorta di autoanalisi a fumetti che disseziona in modo ironico e dissacrante le varie sfaccettature della personalità della protagonista, esaminando il disturbo della personalità con lucidità, senza tabù o peli sulla lingua ma sempre con grazia e leggerezza, e, cosa più importante, senza mai perdere la voglia di riderci su.
Ne Il Nao di Brown (Bao Publishing, € 23.00) l'arte, il disegno e le passioni della protagonista, pur trovando il loro spazio in una "dimensione metaforica" che scorre parallela alla storia principale, diventano questione marginale rispetto alla totale predominanza della malattia mentale nella narrazione. La giovane Nao, anglo-giapponese, illustratrice e commessa in un negozio di toys, soffre infatti di un disturbo ossessivo-compulsivo sul quale si allena, attraverso la meditazione buddista, ad esercitare un continuo e faticoso controllo: la ragazza vive infatti nel terrore di essere sopraffatta dalle proprie emozioni e di non riuscire a controllare eventuali scatti di aggressività. Nelle meravigliose tavole di Glyn Dillon la malattia irrompe bruscamente nella vita quotidiana della protagonista, rendendo ambiguo ed inquietante, per il lettore, il confine tra ciò che avviene davvero e ciò che Nao immagina.

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La sensazione è quella di essere trasportati in un vero e proprio thriller psicologico ad acquerelli, raccontato con maestria ed illustrato con raffinatezza e sensibilità, in cui la distinzione tra vittima ed assassino è così labile da mettere in discussione il confine stesso tra sanità e malattia, buono e cattivo, bene e male,  a dimostrazione del fatto che "non è mai tutto bianco o tutto nero".

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