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Sull’importanza di Umberto Eco per la cultura italiana

A chi oggi ha l’idea di Umberto Eco come quella di un grande erudito, depositario e quasi icona della conoscenza, bisognerebbe opporre l’idea di un intellettuale che, attraverso la sua attività ha modificato radicalmente i modi e le forme della conoscenza e il modo in cui la cultura tradizionale si relaziona con la società. Questa visione è forse un buon modo per ricordare una figura la cui importanza di recente si è vista intrappolata in cliché mediatici che non rendono giustizia ad una personalità intellettuale tanto forte quanto schiva.
A cura di Luca Marangolo
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A dispetto della nettezza del nostro titolo, diciamo subito che non abbiamo la minima ambizione di ripercorrere, nella sua nota vastità, la produzione culturale di una figura così gigantesca come quella di Umberto Eco che, in una vecchia intervista, raccontava con la sua consueta sorniona ironia uno dei dialoghi con cui prendeva benevolmente in giro coloro che accoglieva nella sua sterminata biblioteca: “Davvero hai letto tutti questi libri?” “Ne ho letti molti di più”.

Il nostro ricordo nasce invece dalla considerazione che, per apprezzare l'importanza di un uomo e della sua attività culturale, bisogna con tutte le forze cercare di capire almeno in parte, le ragioni che lo hanno portato a essere così importante.

Possiamo trovare un'intervista da Talk Show più o meno brillante, o possiamo notare en-passant quanto sia illuminante e rivelatrice un'idea o un'opinione letta da qualche parte; così come possiamo innervosirci, com'è successo a molti nella recente polemica di Umberto Eco con l'universo dei social network, se gli sentiamo esprimere un'opinione distante dal nostro modo di vita.

Però se proviamo a capire un po' la sua storia, a scorrere un po' il percorso intellettuale dell'uomo per provare a descriverne il senso nel poco spazio concessoci e con tutti i limiti che possiamo avere nel farlo offriremo un doppio tributo, alla persona e a noi stessi: il primo avrà un'immagine più nitida e meno semplificata e la nostra memoria di lui né sarà molto arricchita. In questo spirito ripercorriamo alcuni momenti della sua incredibile carriera che, inevitabilmente, coincidono con grandi momenti della cultura a lui contemporanea

Molti sapranno che il giovane Eco scrisse la sua tesi di laurea sull'estetica di San Tommaso d'Aquino (oggi  un libro edito da Bompiani); in questo libro l'autore sostiene, contro alcuni filosofi come Benedetto Croce, che pensatori medievali come San Tommaso avevano sviluppato un vero e proprio pensiero estetico, una concezione del bello e del suo rapporto conoscitivo col mondo. Sebbene questo argomento storico possa sembrare remoto e accademico, in realtà vi ritroviamo il seme profondo di tantissime opere di Eco scritte successivamente, che lo hanno portato ad essere uno degli intellettuali più in vista del secondo novecento.

Da questa ricerca infatti Eco trasse l'idea che l'arte fosse un incredibile veicolo di conoscenza, e che era necessario precisare con maggiore esattezza i meccanismi con i quali – anche oggi – risulta un mezzo cruciale per capire la realtà. È da questa intuizione primigenia probabilmente che sono nate ricerche fondamentali di Umberto Eco sull'arte contemporanea: uscito nel '62 Opera Aperta fu, all'epoca, veramente un libro di rottura, come si può leggere ancora oggi sulla quarta di copertina: perché proponeva una teoria in grado di spiegare coerentemente tutti i grandi fenomeni dell'arte contemporanea: dal modernismo alla musica sperimentale.

Polemizzando ancora una volta con Croce, Eco stava compiendo un passo importantissimo per la nostra cultura: stava contrapponendo al modello intellettuale di Croce e di tanti altri, legato ad una dimensione istituzionale della cultura, in una certa misura- in una grande misura- ancora idealista una visione dell'intellettuale che vuole capire la realtà entrandoci a piene mani, attraverso il ragionamento; questo valeva per l'opera d'arte che da linguaggio universale che era dato per scontato e acquisito divenne oggetto di comprensione profonda e strutturale. L'idea di una conoscenza critica che è in grado di offrire alle persone strumenti per relazionarsi con il mondo ha poi guidato tutta la sua produzione successiva, rappresentandone (assieme ad altri nomi forse meno celebri ma altrettanto importanti come Paolo Fabbri, Maria Corti e altri) un incredibile tratto di innovazione.

Dall'arte poi Eco si spostò allo studio dei Media, pronto a sviscerare a fondo le forme e i modi attraverso i quali funzionava la nostra comunicazione. Forse il grande pubblico non ha ancora interiorizzato quanto il periodo che culminò nel sessantotto ha radicalmente cambiato il nostro modo di capire le cose e relazionarci con il sapere: esso di fatto ha scardinato un po' tutte le certezze attraverso cui la conoscenza era tramandata, liberandola da moltissimi pregiudizi e contemporaneamente fornendola di nuovi strumenti per indagare la realtà; Umberto Eco è stato in Italia il più importante rappresentante di questo grande movimento, che ha visto protagonisti Barthes, Lotman, Foucault e tanti altri; ad Eco va dato il merito di aver creato un ponte fra il nostro paese e questi grandi movimenti culturali di cui, di fatto sentiamo ancora profondamente l'influenza.

La semiotica – cioé lo studio, secondo criteri generali, di ogni tipo di segno – l'analisi dei mezzi di comunicazione e dei suoi rapporti di influenza sulla cultura tradizionale, sono tutti tratti di innovazione radicali che si debbono a questo nuovo modo di concepire la conoscenza, fino a quell'epoca impensabili. Quando dunque ricordiamo Umberto Eco, e ci viene in mente l'immagine di un uomo coltissimo, in qualche modo depositario della conoscenza, non possiamo dimenticare che tale immagine è il frutto di un percorso di ricerca vivo, che in un certo senso ha plasmato il modo in cui ancora oggi vediamo il mondo e ci relazioniamo con esso.

Pochi mesi fa infuriò una polemica che lo vide protagonista, perché aveva criticato aspramente la poca attendibilità delle informazioni sul web; alla luce di quanto abbiamo detto finora sembra trasparire con chiarezza quantomeno una cosa: è evidente che Eco vedeva il mondo come una selva di segni da decifrare, come il fatidico nome della splendida rosa celato per sempre al giovane Adso nel finale del suo capolavoro letterario, e come una totalità di significati da definire e ridefinire costantemente; quindi probabilmente sapeva che Internet rappresentava una nuova selva, una sorta di bosco narrativo due punto zero, per così dire.

Ne consegue che la sua preoccupazione primaria – che è stata in effetti quella di tutta la sua vita –  è stata quella di fornire agli altri gli strumenti per la sua comprensione, l'enciclopedia fondamentale tramite la quale esplorare questa ultima, nuova, forma di comunicazione.

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