Perché non riusciamo a toglierci dalla testa Maschio di Annalisa

L’Italia è davvero un paese eccezionale. Siamo uno dei mercati musicali più autarchici al mondo e come tale, a differenza di buona parte delle platee globali, ascoltiamo la musica prodotta da donne con una frequenza irrisoria. Se paragoniamo la presenza di artiste (o girl band) nelle liste degli album più venduti del 2024, il nostro misero 12% impallidisce davanti al 40% britannico o al 30% tedesco. Se un archeologo del futuro fosse costretto a ricostruire cosa sia successo nella musica globale usando come solo straccio di prova una classifica FIMI, probabilmente faticherebbe a registrare fenomeni come la “brat summer” o i successi di Espresso di Sabrina Carpenter o di Birds of a Feather di Billie Eilish. E del resto, tuttora molti italiani non conoscono Anxiety o Messy, e magari ne vanno anche fieri. Insomma, lo zeitgeist pop contemporaneo ci sfiora soltanto, e si dà il caso che siano soprattutto le donne a dargli forma. Per questo, una canzone come Maschio, il nuovo singolo di Annalisa, risulta ancora un’anomalia per le nostre orecchie. Ma è grazie alla sua familiarità che, forse, potrebbe estendere la striscia positiva dell’artista ligure.
La prima cosa che il pubblico ha incontrato del brano è stata la sua copertina (come si sarebbe detto nel secolo scorso), cioè la fotografia che ritrae una versione androgina di Annalisa. La somiglianza con Jo Calderone, l’alias maschio di Lady Gaga comparso in alcune occasioni, compresi gli MTV VMAs del 2011 e il video di Yoü And I, pare fin troppo invitante. Io preferisco associare questo “drag” alla performance in panni maschili di Annie Lennox durante i Grammy Award del 1984, prima di tutto perché Annalisa è fan dichiarata della cantante scozzese. Ma soprattutto, Annalisa in Maschio non sta tanto mettendo in scena il suo alter ego maschile, la sua metà speculare: piuttosto, sta calandosi (letteralmente e figurativamente) nei panni di un uomo. E questo è un topos del pop da non sottovalutare.
Nella storia della musica pop esiste una lunga e gloriosa tradizione di canzoni sulla disparità dei generi: da PJ Harvey a Dolly Parton, da Gwen Stefani a Fiona Apple, da Aretha Franklin a Donna Summer, potremmo passare una giornata intera a citare esempi più o meno illustri. Maschio rientra in una sottocategoria particolare: quella dello scambio di ruoli. Che sia solo tangenzialmente legata alle dinamiche socio-culturali del genere come Running Up That Hill o abbia la forma di un apologo morale come If I Were a Boy, questo genere di canzone lancia una sfida esplicita all’istituzione patriarcale e ai suoi miti, per via della sua premessa difficile da digerire in una società che si ritiene avanzata: non solo la posizione di una donna nella società non è equiparabile a quella di un uomo, ma lo stesso punto di vista di una cantautrice non merita di essere considerato universale come quello di un cantautore.
Maschio inverte i ruoli non tanto e non solo nella fantasia del “come se” cantata nel ritornello, ma nel modo in cui dipinge l’uomo come la parte debole di una relazione: vanitoso, suscettibile, passionale, permaloso, volubile, disinteressato, orgoglioso, apatico, pigro e incapace di risolvere da solo i suoi problemi, l’uomo descritto da Annalisa sembra avere più lati positivi che negativi; le sue caratteristiche, in realtà, non sono troppo diverse da quelle che rendono “dolcemente complicate” le donne di una famosa canzone. Questo gustoso paradosso sembra avere anche una possibile lettura musicale: "Se fossi un maschio mi venderei per tutto, per zero" sembra proprio fare i conti con una cultura popolare in cui gli artisti maschi sono sempre e comunque commercialmente potabili, mentre le scelte di una donna sono sottoposte a uno scrutinio superiore e ingiustificato. Compresa la scelta, per esempio, di ripetersi.
Una settimana fa parlavamo di come Achille Lauro abbia riproposto tre volte le stesse idee musicali per comunicare tre messaggi diversi, e come questa insistenza sugli stessi modelli e le stesse soluzioni venga premiata sul mercato – al momento Incoscienti giovani è stata superata dalla sua gemella-diversa AMOR nella Top 50 di Spotify e presto dovrebbe succedere anche nella FIMI. Verrà recepita nella stessa maniera una canzone in cui Annalisa recupera buona parte della tavolozza di suoni di Mon Amour? Possiamo solo aspettare e vedere cosa diranno le classifiche, per quello che contano. Nel frattempo, possiamo ammirare la coerenza delle sue scelte produttive e compositive.
Con un basso “fangoso” che ricorda la house francese (French Touch), la canzone parte in modo familiare: questo suono filtrato e avviluppato non ha mai smesso di essere popolare – lo sentiamo anche nel ritornello di Anema e core di Serena Brancale – e si riaggancia alla wave disco-pop di cui parlammo a proposito di un singolo di Mengoni che nel giro di sei mesi è sparito dall’orizzonte. La moda danzereccia, a sua volta, sta perdendo vigore. Il fatto che Maschio ricorra a un giro armonico praticamente identico a quello di Pedro di Raffaella Carrà, cioè una delle canzoni più popolari su TikTok nell’ultimo paio d’anni, sembra il tentativo – forse casuale – di richiamarsi al più fortunato esponente di un genere in difficoltà. Ma anche se il rimando fosse puramente casuale – cosa più che probabile – in questa progressione costruita quasi soltanto su due accordi si avverte un altro messaggio: la rinuncia alle complessità e raffinatezze; la scommessa sulla semplicità totale e devastante di una sequenza che potrebbe ripetersi in loop all’infinito, dove ogni segmento del brano è un microcosmo dell’intera composizione. In fondo non è così che funziona un’ossessione, come un ritorno continuo al punto di partenza, consapevoli che ci condurrà sempre alla stessa destinazione?
Caso vuole che queste siano proprio alcune delle qualità che aiutano una canzone a diventare virale: sarà concessa questa “facilità” ad Annalisa? Il pubblico riuscirà a “perdonargliela”? O da una donna ci aspettiamo quello che non ci aspettiamo da dieci anni di beat trap tutti identici fra loro? Non è facile dirlo, ma una cosa si sa: al pubblico – di norma – non piace sentirsi dire che sbaglia. Prendi, ad esempio, The Man, canzone in cui Taylor Swift faceva i conti con il doppio standard del mercato musicale americano, che alle donne non perdona né l’intimismo né l’esibizionismo, ma soprattutto il successo. Per quanto il singolo abbia ricevuto riconoscimenti e certificazioni, e per quanto sia un classico apprezzato dai fan, a livello di performance commerciale non è nemmeno lontanamente paragonabile alle hit della cantautrice. (Forse anche il fatto che sia uscito poche settimane prima della pandemia non ha aiutato).
Sicuramente, come abbiamo detto, Annalisa non rinuncia a utilizzare gli espedienti musicali che l’hanno portata alla grande popolarità negli ultimi due anni, dopo un decennio al limite della notorietà: anzi, Maschio vi fa ricorso nel modo più schietto e diretto possibile, quasi sfacciatamente. Chissà se nello stesso paese che non perdona la nudità di Elodie e dove le donne faticano a essere popstar, questa sfacciataggine verrà accettata o magari elogiata, come si fa quando un maschio “resta sempre sé stesso” e opera dimostrando di “conoscere le regole del gioco”. Lo sapremo a breve, mentre è iniziata già la partita del tormentone estivo, dove più si sparigliano le carte e anche il sessismo italiano si concede qualche settimana di ferie.