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Perché non riusciamo a toglierci dalla testa Désolée di ANNA

Con Désolée Anna torna a prendersi la scena dell’estate dei tormentoni: ecco perché questa canzone non si toglie dalla testa.
A cura di Federico Pucci
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Anna – ph Manuel Grazia
Anna – ph Manuel Grazia

Quando un anno fa commentavamo 30°C, parlavamo di come i sogni estivi degli italiani stessero scivolando via dal mito del meritato riposo e verso il trionfo turbocapitalista del profitto sempre e comunque: tra il serio e il faceto Anna stava interpretando questo slittamento etico e culturale per una generazione che timidamente cominciava a rifiutare gli stereotipi di genere e abbracciava apertamente un inno alla produttività e allo stakanovismo imbracciato da una ragazza anziché dalla solita parodia maschile del “cumenda”. A un anno di distanza, molte cose sono cambiate, ma non il ruolo che la rapper spezzina si è meritatamente conquistata nel panorama nazionale: quello di portavoce degli inconfessabili istinti estivi italiani, oggi raccontati dalla sua canzone Désolée.

Tra le cose che sono cambiate rispetto all’estate 2024, non c’è la crisi climatica: quella continua imperterrita. Certo, quei 30° oggi potrebbero farci sorridere guardando le temperature decisamente superiori che da due settimane stanno arrostendo l’Italia. Ma una vera baddie non può sempre pensare al tempo come un boomer in ascensore, e dopo aver passato un’estate a fatturare è arrivato per lei il momento di godere. Sbocciando, come si dice. E come si sente.

Il suono della bottiglia che si stappa è ovunque nel brano: non come sample, ma come suggestione ritmica e melodica. Il beat di Miles riprende il classico tresillo afro-cubano del reggaeton, ma è nelle pause e nelle ripartenze che il dembow diventa il suono di un tappo che parte. Lo senti quando Anna canta “m’ama, non m'ama, non m'ama” calcando sulla scansione ritmica delle parole piane (tà-ta) che sono disseminate in tutta la prima strofa, come i rumori di molti tappi che partono e lasciano dietro una coda di alcool versato nei bicchieri: persa – festa – tosta – mescal, tutte parole che si incastrano perfettamente nella produzione delle batterie (per le tastiere ci torneremo più avanti).

Peraltro, il mescal è un liquore amato dai rapper perché il verme (in realtà una larva) che talvolta vi è conservato dentro li aiuta a completare metafore di decadenze bukowskiane, e a chiudere rime con “festa”: come in 100 messaggi di Lazza, così nel brano di Anna (che condividono lo stesso producer), che però ha uno sguardo decisamente meno oscuro. Nonostante la problematica eredità delle canzoni sul bere, un genere apparentemente in via d’estinzione – e forse per ragioni economiche prima che etiche.

Parlare apertamente di consumo di alcolici è un modo per partecipare a una lunga tradizione di donne del pop che sdoganano concetti ancora tabù, principalmente per la forma mentis patriarcale secondo cui una donna non dovrebbe essere padrona del proprio corpo. Anna, fortunatamente, scavalca con agile falcata queste osservazioni cavernicole: “Stasera io non faccio come si deve / Faccio vedere a tutti come si beve”, ci incalza nel pre-ritornello, ribaltando l’aspettativa che la società nutre per le ragazze, che proverbialmente devono essere “brave” (e non quindi “baddie”). Ecco, nel 2025 considerare tabù il consumo di alcolici potrebbe sembrare anacronistico – o quantomeno cringe. E quindi, a parte per fare “buh” a un paio di dinosauri, l’estremismo di questa scelta non sembra così potente. Eppure, l’aneddotica sulla Gen Z arriva a dimostrare che in effetti Anna può fare scandalo: anzi, se si gioca bene le sue carte, non può fare altro se non scandalo, e questo è un bene. E allora dobbiamo parlare di alcool.

Negli ultimi anni una serie di studi e rilevazioni internazionali ci hanno detto che nel mondo sviluppato i giovani stanno consumando sempre meno bevande alcoliche. Certo, il rapporto annuale Istat 2025 rileva comunque sul territorio nazionale un consumo maggiore fuori dai pasti rispetto al passato e un’abitudine praticamente costante di binge drinking: i giovani bene o male continuano a bere, ma lo fanno meno a tavola. Insomma, scrivere in Italia oggi una canzone che racconta (solo lateralmente, peraltro) i vizi di una ragazza ti espone in ogni modo a una tensione: che si misuri il testo sul presunto maggiore salutismo dei più giovani oppure sulla morale stretta dell’Italia patriarcale che non vorrebbe vedere le donne godere della propria autonomia, Anna ne uscirà comunque come una ribelle.

Una ribelle a prescindere, insomma, nata “baddie” in un mondo dove a ben vedere le persone cattive e maleducate governano e si presentano come la maggioranza ormai da tanti anni. Ma non è questo il punto. Il punto è che gli adolescenti hanno ciclicamente bisogno di artisti che anche solo in parte riescano a presentarsi come figure controcorrente: il conformismo è tale e il cattivismo è così popolare che basta davvero poco per spiccare. Ma per non fare la figura da monelli da caricatura, bisogna scrivere con intelligenza: ed è qui che interviene il talento di Anna.

Che si dia retta all’aneddotica o alla statistica, insomma, cioè che bere tanto per una ragazza sia contrario all’ethos dei giovani o a quello dei vecchi, in ogni caso Désolée descrive l’ubriacatura smisurata come un evento eccezionale: se anche accettassimo il punto di vista degli ipotetici critici e inquadrassimo l’eccesso come una violazione morale, questo si inquadrerebbe perfettamente anche dentro una visione più plastica e drammatica del personaggio, come un gesto che la voce narrante compie “stasera” (e probabilmente solo stasera) e per le sue buone ragioni – poi vedremo quali.

Anna è abile a presentare la scena in questo modo, non tanto perché l’indicazione temporale che circoscrive il gesto le permette di schivare agilmente ogni possibile lettura sbagliata e pesante del suo pezzo – alla fine dei conti, è solo una canzone divertente per passare le serate estive. Quello “stasera” è anche e soprattutto un’arma per scardinare la distrazione imperante, una maniglia a cui qualsiasi ascoltatore può aggrapparsi per inserirsi nella narrazione, agganciando il tempo della canzone al tempo dell’ascolto.

Anna
Anna

Se ci fai caso, tutte le canzoni più spassose e spensierate sulle serate di bagordi le collocano rigorosamente nel presente, nel momento stesso in cui le ascolti e le ripeti a gran voce: ricordare un’ubriacatura proiettandola nel passato può svelare epifanie sinistre sulla propria vita, mentre dietro un “nunc est bibendum” può allinearsi qualsiasi persona, di qualsiasi età ed estrazione. È come se l’ebrezza dell’alcool e della musica siano da consumare in un solo sorso, nel presente eterno che è una canzone pop. E del resto, è davvero pieno di canzoni che prescrivono il divertimento per “stasera” (o “stanotte”): “Ho la sensazione che stanotte ci divertiremo”; “Stanotte siamo giovani”; “Party rock is in the house tonight”.

Collocare la vicenda cantata nel qui-e-ora è il modo più semplice – forse anche un po’ banale – di darle un senso di urgenza, di aumentare oltre il giusto la dose di divertimento come in un grosso ballo di gruppo – che del resto sono molto popolari d’estate. A dir la verità, tante canzoni italiane che descrivono la perdita di controllo di un’intossicazione alcolica e la piantano nel presente arrivano con un retrogusto amaro: “Chissà se anche stasеra finisce che non sappiamo nemmеno chi siamo”, dicevano Sfera ed Elodie. Anna, invece, da vera artista internazionale non lavora con i sensi di colpa tipicamente nostrani, e tira dritto.

Ed è qui che incontriamo il contesto di questa canzone inebriante. La protagonista di Désolée decide di mollare gli ormeggi per non far caso al fatto che – come avrebbero detto i giovani di una ventina d’anni fa, chiedo scusa ai giovani d’oggi – c’è rimasta sotto con un tipo. Nelle strofe e nel ritornello Anna ci presenta una situazione contraddittoria alla quale non sa trovare risoluzione: da una parte è andato a cercarlo perché solo con lui “non sa fare la tosta”, eppure nessuno può domarla; e anche se chiaramente non sta pensando ad altro che a lui, lei giura che non gli scriverà “nemmeno se ad agosto vedo cadere la neve”.

Il ritornello rappresenta perfino con le vocali questo senso di apertura e irrisoluzione, con il grazioso intreccio della sua rima alternata di parole sdrucciole -é/-à. Le parole concatenate da Anna non atterrano mai e restano sospese, in attesa della successiva considerazione, proprio come non c’è modo di far combaciare i sentimenti che si agitano nella voce narrante: prima sentiamo un tono di sfida; poi insulta e disprezza il suo interlocutore; poi razionalizza e prova un senso di rifiuto; poi ammette uno stato di necessità e anche se non è pronta a scusarsi, conclude con il punto di vista di lui (“dovrei fare meno la star”). A ben vedere, Anna sta attraversando le cinque fasi del lutto: negazione, rabbia, contrattazione, depressione e accettazione, come ci potrebbe far intendere la ripetizione di “dovrei fare meno la star” in chiusura.

C’è, insomma, un’ombra che si proietta anche sopra questa canzone estiva di liberazione femminile: qualcosa non quadra, nella vita della protagonista, nello scarto tra la percezione di sé come star e l’inadeguatezza della sua relazione. Forse, a furia di dirci che non è “désolée” non possiamo più fare a meno di notare la desolazione della scena, la più classica e triste delle sbronze per non pensare al proprio casino d’amore. Serve una faccia “tosta”, per poter reggere la contraddizione tra il bisogno di cedere e l’orgoglio di reggere: potremmo dire che serve una “poker face”.

Se facciamo caso ai synth di fortissima ispirazione anni Zero che muovono la traccia sul versante armonico, in effetti, sentiamo proprio un’eco di Poker Face: nota nelle parti iniziali del brano la sovrapposizione di un tono aperto, graffiante, metallico in alto e di un tono riverberato, rotondo, filtrato in basso. Queste commistioni di texture sonore, così come l’uso di un beat tirato sovrapposto a una progressione armonica in tonalità minore, e la cosiddetta compressione sidechain in un bridge molto emotivo, sono tutti artifici classici dell’electro pop di fine anni Zero, che Miles ripesca per dare non solo originalità al brano rispetto alla canzone dello scorso anno, ma per sottolineare quel malessere che a furia di brindare abbiamo cominciato ad avvertire.

Tutti stanno cantando la stessa canzone e dice stasera, stasera, stasera: non avevo idea che tutti questi artisti pensassero così tanto alla morte”, diceva una canzone degli LCD Soundsystem di qualche anno fa. Forse anche la canzone di Anna non pensa alla morte, ma sicuramente alla caducità delle cose senz’altro. Più che pensare a una expat che non si barcamena con il francese e deve scusarsi perché non conosce la lingua, la Désolée di Anna sembra una persona che a furia di dire ironicamente “mi dispiace” si accorge che le dispiace veramente.

Forse anche il pubblico italiano che per una terza settimana consecutiva ha deciso di dedicarle il massimo delle attenzioni e portarla in cima alla FIMI, entro la fine dell’estate sarà ugualmente desolata. In fondo, le canzoni estive funzionano un po’ come le serate alcoliche: sul momento, “stasera”, vanno vissute appieno; e poi, per sentirci in imbarazzo per quello che abbiamo fatto o detto o per quello che abbiamo ascoltato, ci sarà tutto il tempo del mondo una volta passata la sbornia.

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