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Nick Cave a Pompei, altro che stadi: il discorso intimo tra un mito e il pubblico adorante

Nick Cave e Colin Greenwood hanno tenuto un concerto memorabile al Anfiteatro del Parco Archeologico di Pompei per BOP – Beats of Pompeii, con in scaletta alcuni dei brani più amati dell’artista australiano.
A cura di Francesco Raiola
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Nick Cave – ph Silvia Vacca
Nick Cave – ph Silvia Vacca

Quando Nick Cave intona Into my arms il pubblico di Pompei è tutto sotto al palco, già da un po', il cantautore ha cantato 25 canzoni e questo è il quinto bis, Colin Greenwood ha lasciato il palco a Cave e al suo pianoforte e soprattutto la chimica tra pubblico e artista è scoppiata. Erano 20 anni che Nick Cave non tornava a Napoli (e provincia), l'ultima volta era stato un concerto, anch'esso indimenticabile, all'Arena Flegrea, mentre questa volta Cave sceglie un'altra delle location suggestive ovvero l'Anfiteatro del Parco Archeologico più famoso al mondo, un luogo che regala magia e che lo stesso artista ha voluto visitare, immergendosi nella bellezza di uno dei siti turistici più importanti e visitati al mondo.

Cave veniva da un lungo tour pieno di gente fatto coi Bad Seeds, un viaggio lunghissimo con tantissime persone – 72 – nella crew, una produzione enorme, come spiega, per questo ha detto al pubblico di Pompei: "È come quando ti immergi nel mare e devi tornare in superficie. E non vuoi che ti prendano la mano. Lo fai lentamente. Ed è quello che stiamo facendo. (…) Vogliamo cercare il fremito, il battito, il cuore e la verità di queste canzoni. È qualcosa di diverso da uno spettacolo coi Bad Seeds". Cave lo ha detto prima di suonare Higgs Boson Blues che ha presentato così: "È una canzone lunga, molto lunga. Se non vuoi startene qui ad ascoltare 10 minuti di me che canto di qualcosa che nessuno capisce, vai al bar o in bagno ogni tanto e poi torna in tempo per il resto dello spettacolo".

Nick Cave e il pubblico a Pompei – ph Fanpage
Nick Cave e il pubblico a Pompei – ph Fanpage

Tutta la serata è stato un continuo scambio tra il pubblico e l'artista sul palco, come quando su Balcony Man ha chiesto alle persone sugli spalti di fare casino ogni volta che diceva la parola "balcony", chiedendo alla platea, invece, di starsi zitti (anzi, di "shut the f*ck up", per la precisione). Venticinque canzoni di piano e voce e del basso di Colin Greenwood dei Radiohead che appariva e scompariva e regalava ancora più magia a queste canzoni che talvolta si direbbe nude, ma che tutto erano fuorché nude. Nick Cave ha deciso di mettere su una scaletta che mescolava dolore ed energia, introspezione e dialogo continuo.

Ogni canzone era spiegata, ogni spiegazione aveva un aneddoto, ogni fine canzone c'era un bacio al pubblico. E il pubblico era a sua volta uno spettacolo a sé: intanto perché la metà di chi ha visto lo show era straniero, si sentiva parlare più l'inglese che l'italiano, al mio fianco una ragazza ha cominciato a piangere alla prima canzone e non ha smesso per almeno metà concerto, alla fine l'ho rivista che si asciugava il trucco con uno specchietto, e poi c'era una coppia con un bambino che ogni tanto piangeva (ma lo ha fatto poco e per poco) e lo stesso Cave dal palco gli ha dedicato un pensiero proprio dopo l'introduzione di O Children.

Nick Cave e Colin Greenwood – ph Silvia Vacca
Nick Cave e Colin Greenwood – ph Silvia Vacca

A richiesta del pubblico è stata anticipata Watching Alice, che in altre scalette era finita nei bis, poi il pubblico ha rotto gli ormeggi e si è accalcato alle transenne sotto al palco, con il cantante che tranquillizzava la security chiedendo di lasciare fare. E a quel punto è partito un gioco tra Cave e il pubblico che ha scelto alcuni bis come MOre news from Nowhere e Man in the moon, fino a Shivers, scritta da Rowland Howard che fu fondatore dei Birthday Party, Cosmic Dancer, cover dei T-Rex, e classici come Love Letter e ovviamente Into my arms con cui ha chiuso il concerto. Durante tutto il concerto il silenzio tombale è stato alternato a un continuo brusio, erano quelli che cantavano a bassa voce con lui, quelli che cantavano ad alta voce con lui, quelli che singhiozzavano o ridevano per lui. Erano quelli che hanno voluto regalarsi l'emozione di un discorso intimo tra l'artista e chi lo ama. Alla faccia dei concerti negli stadi!

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Giornalista dal 2005, sono responsabile dell'Area Musica di Fanpage.it dal 2013. Sono stato tra i fondatori di Agoravox Italia, e ne sono stato direttore dal 2011 al 2013. Ho scritto di musica, tra gli altri, per Freakout Magazine e Valigia Blu e sono stato relatore al Master di I° livello “Scuola di Giornalismo Post Laurea” dell'Università degli Studi di Salerno. Sono stato per diverse edizioni tra i relatori al Festival Internazionale del giornalismo di Perugia.
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