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Marta Del Grandi: “Mi sento avant-pop, amo che Selva venga visto come un album sperimentale”

Marta del Grandi è una delle cantautrici più acclamate del 2023, anche grazie all’album Selva. Qui l’intervista di Fanpage.it.
A cura di Francesco Raiola
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Marta Del Grandi (ph Cecilia Fornari)
Marta Del Grandi (ph Cecilia Fornari)

Selva, l'ultimo album di Marta Del Grandi è stato uno di quelli che abbiamo potuto osservare in tutte le classifiche dei migliori dischi del 2023. Ed è tutto meritato. Del Grandi è un nome che in Italia non molti conoscevano prima dell'esplosione di Selva, ma il passaparola, l'uscita con un'etichetta come Fire e soprattutto la qualità dell'album hanno permesso di circolare, finire in playlist internazionali importanti e diventare un piccolo caso musicale. Del Grandi ha vissuto la sua maturazione artistica all'estero, poi costretta dalla pandemia è rimasta bloccata in Italia e l'ultimo album è nato nei ritagli del tour. Questo 2024 è quello del giro d'Europa coi live e del lavoro per il prossimo album, Fanpage le ha parlato via Zoom.

Come è stato questo cambiamento, questo ritorno in Italia?

Ormai sono tornata quattro anni fa, a gennaio 2020, poi ci sono stati questi due anni particolari in cui non siamo usciti di casa, anche se con il nostro lavoro abbiamo sempre un po' girato, però per me era molto nuovo pensare di fare questo lavoro in Italia.

In che senso?

Quando ho lasciato l'Italia studiavo ancora, quindi era la prima volta che tornavo qui per confrontarmi con un contesto professionale. Nel frattempo sono successe tante cose, è stata una grande evoluzione, non è stata una decisione del tutto attiva perché sono rimasta bloccata qui durante la pandemia, è stata una decisione che mi è stata imposta però sono stata contenta. Oggi ho un nuovo equilibrio che funziona.

Questo cambiamento ha inciso su Selva?

Rispetto ad Until We Fossilize è un disco più attuale, nel senso che quello aveva canzoni vecchie, mentre questo disco ha solo una canzone, Marble Season, che appartiene a un'epoca precedente, mentre tutte le altre sono state scritte nell'ultimo anno. Le tempistiche tra i due dischi sono state abbastanza veloci, avendo fatto tantissimi concerti è stata proprio una grande full immersion di musica e sono riuscita a scrivere queste canzoni nei ritagli di tempo, tra un viaggio e l'altro. Selva rispecchia il contesto post pandemico che ho vissuto e sicuramente in questo rispetta il cambiamento che ho vissuto nella mia vita, detto questo non lo so se rispecchia il vivere in Italia anche perché con il fatto che ho vissuto qua e là, per via del tour, sono sempre stata un po' in giro, diciamo che rispecchia un po' questo dinamismo della vita degli ultimi due anni.

Mi incuriosisce sempre l'idea di chi dice che scrive nei ritagli di tempo, perché spesso l'idea è che un'artista possa fermarsi un tot di mesi e chiudere l'album. Com'è essere obbligati a muoversi così?

È un po' un casino, idealmente anche io avevo questo mito della scrittura in un posto in cui ti ambienti, ti siedi, ti crei il tuo spazio e scrivi però quel tipo di approccio alla scrittura penso che si presti a dei lavori più concettuali. Cioè se dovessi fare, come vorrei, un EP di tre o quattro brani, una piccola capsula, allora penso che avrebbe senso creare uno spazio in cui quella cosa viene iniziata e conclusa, con un mood e una vibe che rispecchierebbe molto il posto in cui sei. Nel caso un disco di dodici brani è differente: so che adesso ormai ci sono gli LP di sette brani però, come ascoltatrice, è diverso ascoltare un disco di sette brani e ascoltarne uno di 12, e anche se fosse di 40 minuti sarebbe comunque un'esperienza diversa come ascoltatrice, a meno che non stai facendo un disco con l'orchestra, con gli arrangiamenti che giustificano i brani da 7 minuti, ma non è il mio caso. E ho trovato che fosse un modo abbastanza onesto per documentare quella che era la mia realtà.

Ovvero?

Cioè scrivere facendo di necessità virtù: la mia realtà era questa, super frenetica, caotica e piena di cambiamenti, mai comoda. Non penso ci sia stata una canzone che ho scritto in una situazione comoda, ma sempre iniziando poi finendo poi continuando e tutto sommato anche Marble Season, che era un brano vecchio, l'ho finito in studio con Bert, il mio co-produttore, per cui comunque è stato importante avere una persona a cui chiedere consigli, soprattutto quando mi stavo dando per vinta su certe cose tipo "questa canzone mi sembra che non sia finita, non la mettiamo" e lui rispondeva: "Ma no, dai, mettiti un attimo, finiscila e la inseriamo, perché funziona nella storia".

Il tuo album è sicuramente uno dei più apprezzati del 2023, che effetto t'ha fatto?

Sicuramente c'è stata una una risposta che non mi aspettavo, soprattutto perché è un disco in inglese, non di genere, anche molto personale per cui non me l'aspettavo.

È un album con tanti contenuti, in cui non si sente quella costruzione in momenti spezzettati e che ha al suo interno tutto un campo semantico che è quello naturalistico fin dal titolo…

Sì, anche se era una cosa che caratterizzava più il disco precedente perché questa volta sicuramente c'è il titolo e varie metafore a livello linguistico che riprendono il mondo della botanica e animale, che è una cosa che probabilmente mi caratterizza a livello di scrittura, non so, me lo dicono i tuoi colleghi, quindi poi scopro queste cose anche io solo dopo. In realtà è stato molto interessante parlare con persone che hanno ascoltato con attenzione il disco e che ci hanno visto delle cose che a volte noi, scrivendolo, non vediamo. Parlo proprio a livello di analisi di quello che fai: rispetto a quello di prima sicuramente per me questo è stato un disco un po' di apertura, a livello di racconto personale o anche un po' di messa a nudo di certe cose mie.

Uno dei cambiamenti rispetto a quello precedente è che quando hai scritto Selva avevi un contratto, cosa è cambiato?

La tranquillità non ce l'hai mai perché comunque, contratto o non contratto, questa è sempre una grande lotta contro la vita, anche se con gioia. È sempre una corsa contro il tempo, contro se stessi e tutto, però sicuramente mi ha dato la possibilità di pensare a un disco subito, nel senso che non ho avuto la titubanza di dire: "Mah, non lo so, adesso vediamo, magari mi prendo un po' di tempo in più, magari vediamo s riesco a farlo anche a livello economico", sebbene questo sia un disco fatto con un budget tranquillo, non abbiamo registrato ad Abbey Road, con l'orchestra, però sicuramente mi ha dato più prospettiva.

L'arrivo in Fire come è avvenuto?

È stato abbastanza sorprendente, nel senso che io avevo finito di missare "Until we fossilize" con Shahzad Ismaily che è un musicista abbastanza importante nel mio mondo musicale e avevo iniziato a lavorare tre anni fa con Jacopo (Beta, ndr), che è il mio manager da tre anni: lui si era innamorato di queste canzoni e aveva pensato che avrebbero potuto essere pubblicate da una etichetta anglosassone. Io, ai tempi, non avevo la consapevolezza di questa ambizione, però tramite un contatto mail abbiamo mandato il disco e abbiamo ricevuto una proposta quasi immediatamente. Avevamo anche altre porte semiaperte però era difficile, per un'artista italiana al primo disco solista, pensare di poter avere delle condizioni più interessanti di quelle che mi sono state proposte ed è stato naturale accettare.

Quando parli di "mio mondo musicale" cosa intendi?

In Italia sento di non appartenere ad alcun mondo, a nessun sottogenere. Ci sono sicuramente altri artisti che fanno cose più simili o nelle mie corde, ma anche se prendi un disco come quello di Daniela Pes lo si colloca in un contesto tra il folk e l'elettronica, il mio forse più in un cantautorato alternative: in realtà mi rispecchio di più o mi ritrovo di più nel cantautorato alternative inglese, indiefolk, però con anche delle componenti un po' di ambient elettronica, delle componenti di pop etereo o, tra virgolette, avant-pop. Ecco, forse è l'etichetta più bella, ma in Italia esiste poco, forse dovremmo cominciare anche a usare dei sottogeneri un po' più sfaccettati, perché abbiamo anche questo grande problema che Spotify Italia non ha delle playlist di sottogeneri, quindi capita che la mia musica finisca in Rock Italia insieme ai Subsonica, ai C'Mon Tigre eccetera, tutti artisti che stimo molto e ascolto molto volentieri. Però trovo che ci sia questa stessa necessità di aggiornarsi un po' perché a livello di cantautorato giovane ci sono tante cose diverse. C'è un'artista che conosco personalmente e che ascolto con interesse, Marta Tenaglia, che ha fatto un disco che chiaramente viene definito urban però se lo ascolti, venendo da ascolti internazionali e contemporanei, capisci quanto è più sfaccettato.

Spotify ti obbliga in qualche modo a etichettarti, volente o nolente.

Io ho un distributore internazionale, Idol, e a parte ovviamente le playlist in italiano – che comunque mi fanno piacere perché vuol dire che i curatori di Spotify mi ascoltano, sono interessati anche ad aiutare la musica -, la maggior parte delle playlist in cui riesce a infilarmi sono americane. Sono stata inserita in quella chiamata Oblique, che è proprio la playlist giusta perché è il genere obliquo, quello di cui parlavamo prima, e poi c'è stata questa Fresh Finds Experimental che è una playlist per artisti emergenti nell'ambito sperimentale e mi ha stupito che mi abbiano messo anche in copertina, mi ha fatto piacere che anche un disco come Selva venga visto come sperimentale, perché trovo che questo disco sia contraddistinto da un certo eclettismo, anche se da certi addetti ai lavori viene descritto come ancora non maturo…

Trovi che sbaglino?

Può essere così o può essere semplicemente un approccio sperimentale alla musica che vorrei mantenere, nel senso che la possibilità di sperimentare con il suono, con la scrittura, sperimentare con diverse soluzioni testuali e di forma è una cosa che mi appassiona molto e mi entusiasma a livello di composizione. Mi fa piacere che esista quella cosa per cui puoi essere sperimentale e nello stesso tempo scrivere le canzoni, non devi per forza mettere certi suoni strani, se vogliamo banalizzare.

A proposito di poesia, Selva è un haiku, come nasce?

Selva nasce da un brano strumentale che non aveva l'haiku ed era semplicemente quello che è Selva ma senza la composizione poetica. L'avevo scritto per una installazione di design al Fuorisalone che aveva fatto mia sorella, che è un'architetta designer e mi aveva invitata a sonorizzare il suo lavoro, per cui è stato un lavoro appassionante perché l'ho condiviso con lei. C'era questo materiale che avevo messo nelle demo del disco, e anche parlandone con il mio co-produttore e con il mio discografico ci siamo detti: ‘Perché no? Lavoriamoci, vediamo che ha una coerenza sonora'. Nel frattempo avevo iniziato a pensare al titolo del disco e dal brainstorming più ampio sono arrivata alla parola "selva". Mi piaceva per vari motivi, e visto che avevo dato questo titolo in italiano quando stavamo tirando le somme delle pre-produzioni mi veniva sempre un po' una melodia su questo finale di Selva, infatti è stata l'ultima cosa che ho registrato prima di andare in mix, l'ho registrata dal salotto di casa mia e ho scritto questo haiku, che sono veramente tipo dodici parole in italiano ispirate all'idea della selva, quella in cui ci si perde e ci si trova, un po' il significato letterario antico.

Invece Linger in silence come si inserisce in quello che sta succedendo?

Avevo conosciuto Graham Reynolds due anni fa al SXSW, lui è di Austin e in line up c'era anche lui quindi avevo ascoltato delle cose sue e avevo detto al mio label boss che avevo scoperto questo disco bellissimo e non vedevo l'ora di vedere il concerto, però in realtà eravamo in contemporanea, quindi non sono nemmeno riuscita a esserci, poi è venuto lui a vedermi, un'altra volta, perché gli avevano girato cose mie e le aveva ascoltate, ci siamo parlati e c'è stata subito un'intesa. L'anno scorso lui stava facendo questo disco, mi ha mandato le pre-produzioni, gli strumenti erano tutti suonati coi synth per cui pensavo fosse un disco diversissimo e che in quella canzone ci fosse un bello spazio per la voce. Mi disse che mi avrebbe mandato la definitiva per registrarci su, e quando me l'ha mandata mi sono ritrovato questa track pazza chiedendomi: ‘E dove la metto la voce, qua?', era proprio una cosa "Uoh!" però a volte basta crederci. È uscita così, l'ho scritta in inglese, lui l'ha ascoltata, gli è piaciuta però mi ha chiesto di scriverla anche in italiano, e devo dire che mi piace di più quella in italiano.

Come mai?

La trovo scritta meglio, forse ero un po' più centrata essendo la seconda versione che scrivevo e avevo capito meglio la melodia. Poi trovo che comincio un po' anche a riconoscere la diversità delle intenzioni del canto quando canto in due di lingue diverse.

Come hai vissuto tutta questa attenzione attorno a te?

In maniera tranquilla, anche perché, comunque sia, rimaniamo sempre nell'indie dell'indie. Chiaramente un po' di cose sono cambiate, che la gente venga ai concerti è una cosa nuova e chiaramente mi piace molto. Devo anche un po' capire questa cosa per cui vado ai concerti con scatole piene di dischi e finiscono tutti, insomma devo capire come adeguarmi a questo upgrade. Mi fa molto piacere perché ho sempre voluto fare davvero questo e l'ho sempre fatto però si può sempre avere una situazione migliore in cui avere le cose un po' più al posto giusto e lavorare con un po' più di tranquillità.

E ora cosa succede?

Adesso inizierò a lavorare a un disco nuovo, poi farò un po' di concerti, andremo un po' in Europa, facciamo qualcosa in Italia in primavera e ad aprile andiamo in Regno Unito. Io nel frattempo sto lavorando anche un altro progetto che è il disco di una band belga con cui collaboro da tanti anni e si chiama Mos Ensemble di cui esce il terzo disco, quindi avrò anche un periodo in cui sarò in Belgio e in Germania con loro, stare in tour con loro è sempre un'esperienza che mi forma molto perché siamo in tre cantanti, ci sono i fiati, e anche a livello di intonazione e di lavoro sulla melodia aiuta perché quando lavori sempre sulle tue cose diventa molto autoreferenziale a livello tecnico. Poi inizierà l'estate, quindi farò qualche altra cosa live, comincerò a importare idee per nuove canzoni e anche a prenotare lo studio perché tendo sempre a procrastinare, invece avendo prenotato lo studio sono obbligata a mettermi a lavorare.

Le prossime date italiane di Marta del Grandi

  • 03/3 Torino (IT), MI AMI Club @ Off Topic
  • 29/3 Ussana (IT), Green Fields Festival
  • 30/3 Verona (IT), Colorificio Kroen
  • 10/05 Ravenna (IT), Bronson
  • 11/05 San Costanzo (IT), Teatro della Concordia
  • 25/05 Magliano Alfieri (IT), Urtija
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