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La “Pazza Italia” di Sorrentino che piace all’estero ma non agli italiani

Perché l’Italia ha stroncato il film di Sorrentino e perché, invece, è tanto apprezzato all’estero.
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L’Italia è pazza. L’Italia è pazza perché stronca in patria “La Grande Bellezza” ma la osanna quando vince all’estero. L’Italia è pazza e a dirlo è proprio Sorrentino mentre solleva il suo Golden Globe per il miglior film straniero. Ha vinto perché la Roma decadente che descrive è stata capace di lasciare un segno nei giurati statunitensi più di quanto non avesse colpito i critici italiani.

Quei critici che non avrebbero potuto osannare il film di Sorrentino perché, in fondo, parla del mondo in cui vivono e lavorano.

Un mondo così eccessivo da diventare reale. Perché “La Grande Bellezza” è prima di tutto questo: un film realista.

Un film realista sull’Italia “bella ma inutile”. Un film realista sull’Italia che si crogiola nella capacità di unire il trash alla mondanità. Quell’Italia in cui la Roma Nord si unisce agli intellettuali di partito. In cui molti personaggi interpretano (inconsapevolmente?) il ruolo di se stessi. Quell’Italia che critica i matrimoni napoletani ma organizza feste di dubbio gusto nelle ville della città eterna.

Quell’Italia di labbra rifatte, di presentatori impegnati che si affannano per uno posto alle sfilate a Milano, di intellettuali pronti a calembour linguistici pur di restare attaccati al didietro del politico o della velina di turno.

Quell’Italia ferma, immobile come i suoi monumenti, siano essi chiese o seni rifatti delle attrici.

Il film di Sorrentino riesce a ritrarre con minuzia questo mondo. E lo fa partendo dal suo centro: i volgari salotti romani nei quali scompare la bellezza del paese. Quei salotti che – come enormi buchi neri – fagocitano l’Italia intera e che, in realtà, sono il paradigma del cattivo gusto che si declina a Milano nelle discoteche, a Roma nelle ville, a Napoli nei matrimoni.

La volgarità di un popolo di arricchiti, che in pochi anni è diventato centro dei destini del mondo e che ora che non lo è più non riesce ad immaginare altre esistenze. E sceglie di vivere una vita che altro non è che la ripetizione dell’unica cosa che sa fare: caciara.

Un popolo seduto nei "salotti romani" che non meritano le meraviglie che li circondano ma che, in fondo, sono tutto ciò che resta dello splendore di un’Italia che fu.

Quei salotti che ormai anche all’estero conoscono (e non solo grazie ai celebri “bunga bunga”) e che sono il lascito di un paese decadente.

Dalle feste di Fiorito fino al “Boss delle Cerimonie”, passando per la pajata Polverini-Bossi in Piazza Monte Citorio la realtà ha di gran lunga superato l’immaginazione del regista.

Per questo Sorrentino non può essere profeta in patria, perché ha raccontato l’Italia, i suoi vizi e i suoi porci.

Perché ha descritto le miserie quotidiane di questa provincia dell’Impero fatta di vecchi che ballano e si riempiono di botox per sentirsi giovani e giovani che li guardano da sotto il balcone nell’attesa, un giorno, di esser come loro.

Ma ciò che rende davvero "inaccettabile" il film di Sorrentino non è l'aver parlato di questo mondo, quanto l'averlo fatto con maestria. L'aver raccontato il trash con un linguaggio comprensibile a tutti. Di aver spiegato – in immagini – al mondo intero, quanto sia decadente l'Italia.

Sorrentino ha mostrato il vuoto di pensiero che si cela dietro il silicone della tv e i discorsi degli pseudointellettuali nostrani. L'ha fatto parlando un linguaggio che ha travalicato i confini della provincia.

Per questo è giusto che abbia vinto. Con buona pace dei suoi detrattori e delle feste a cui andranno stasera.

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Ex direttore d'AgoraVox, già professore di Brand Strategy e Comunicazione Pubblicitaria Internazionale presso  GES -  Grandes Écoles Spécialisées di Parigi. Ex Direttore di Fanpage.it, oggi Direttore di Deepinto.
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