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Opinioni

La felicità secondo Alessandro Cattelan: “Godetevi per come siete”

Alessandro Cattelan si racconta, nella cornice dello stadio Diego Armando Maradona, alla scrittrice Valeria Parrella, parlando di felicità, di stereotipi, parità di genere e X Factor.
A cura di Valeria Parrella
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Parla tantissimo, Alessandro Cattelan, ha il talento di individuare subito il succo della questione e tirarlo fuori come da un frutto. E il succo è che lui cerca la felicità, a volte la trova, che essa spunta e guai a non vederla: ci si ridurrebbe a guardar foto vecchie di dieci anni e piangerci su.

Per la prima intervista di POP-UP gli abbiamo aperto lo stadio Diego Armando Maradona, e sì che abbiamo sbagliato periodo: è tifoso dell’Inter e stanno entrambe le squadre lì su, in un continuo testa a testa da settimane, ma quello che ci ha motivati è stato il fatto che lui ama il calcio, e quello che gli ha permesso di sopportare un’intervista così poco opportuna è stato lo stesso motivo: lo sport.

Lo stadio Maradona è un posto speciale, non solo perché da un anno ha cambiato il nome, e, cosa in Italia più unica che rara: ha abdicato al nome di un santo, San Paolo, per assumere quello di un’altra sorta di divinità, Diego, ma anche perché fuori, tutto intorno allo stadio, c’è un quartiere di ottantamila persone, un quartiere che è grande come una città e che fa parte della città con più alta densità abitativa d’Europa: Napoli. Quando, in pandemia, il presidente della regione faceva esempi gli veniva in mente solo Calcutta. Ecco, dentro lo stadio Maradona Napoli arriva, ma ovattata, attenuata.

Quello che invece non riuscivamo a tener fuori era una cosa più grande di noi, la parola più brutta che si possa dire, la più difficile da definire, la guerra. Ho chiesto ad Alessandro come si racconta la guerra ai bambini, visto che le sue figlie sono piccoline.

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Il suo primo scoglio l’ha avuto quest’estate con la ripresa del potere dei talebani, che era una cosa che interessava soprattutto sua figlia grande, e ha sempre cercato, lì, come adesso per la guerra in Ucraina, di semplificare senza nascondere le motivazioni che ci sono dietro. Quelle motivazioni immotivate ovviamente creano un grande disamore per il genere umano, sono uno dei momenti della crescita.  Mentre la bimba piccola somatizza: ha proprio paura di quello che sente. Alessandro, così come si racconta, viene fuori alla giusta distanza dalle emozioni. Uno a cui le produzioni dicono di “toccare” gli invitati alle sue trasmissioni, e che non ci riesce, e che però poi all’improvviso piange sotto la doccia.

La guerra è il contrario della felicità, i bambini sono il contrario della guerra e le sue figlie sembrano essere quasi delle Muse ispiratrici del suo lavoro, gli hanno suggerito, con una domanda sulla Felicità, il format uscito in questi giorni per Netflix, e gli hanno ispirato i libri che ha scritto.

Alessandro è compassato, raccolto, gli racconto che Goethe fa afferrare Faust dai lemuri nell’attimo in cui prova felicità, quasi che non convenisse. Apprezza questa interpretazione ma non è quella che si augura, non è quella che consiglia, lui, più avanti lo dirà chiaramente, crede più al carpe diem, alla possibilità di coglierlo, quell’attimo.

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Ripete che non gli viene facile l’empatia, lo dice, l’ha detto a proposito del fatto che non ci si può salutare davvero in pandemia, non con il trasporto che in genere noi popoli del sud mettiamo, ma ho l’impressione che sia un racconto che fa di sé – ognuno ne ha uno per sé a cui crede sinceramente, e che forse è diverso da quello che poi davvero passa: a me l’empatia di Cattelan passa in una cosa che mi affascina molto, la parola. Lui non parla: esonda. È stato quello che gli ha permesso di lavorare in radio tanto, e poi di scrivere libri e fare della parola delle interviste il piatto forte di molte sue trasmissioni. Quindi se l’anima si esprime a parole e il contatto fisico non è naturale il corpo dove finisce?

Mi risponde con un ampio gesto del braccio: finisce nello sport.

Quel braccio accoglieva lo sport che ci circonda e, così come le figlie di Cattelan entrano spesso nei nostri discorsi, vi entra una giovane donna che si allena, sotto i nostri occhi ammirati, facendo giri di campo sulla pista di atletica azzurra, un poco in ombra, un poco al sole: lei gira e il mondo gira. E c’è un’altra donna giovane che a me fa impazzire: è una atleta del Napoli Ladies, in un video che recuperai mesi fa su Twitter. Nel video la giocatrice palleggia: lo mostro a Cattelan. Lui conta il numero dei palleggi, li conta, perché alla fine dice: “Ne fa più di me”. È un video bellissimo perché non è in uno stadio bensì per via Toledo all’ora di punta, e lei scansa le persone e anche i nostri sguardi mostrandosi nel suo talento splendente. Chiedo ad Alessandro se tutto questo si perda in una società patriarcale e maschilista e mi risponde che sì, è un problema che ha il nostro Paese nello specifico e tutto il mondo occidentale. Ma crede che il processo di emancipazione sia partito; crede che viviamo in un mondo così velocizzato dai social che pensiamo che tutto possa realizzarsi velocemente, invece no, i cambiamenti hanno bisogno di anni e non è detto che la generazione che sente bisogno di un cambiamento sarà quella che lo vivrà e che ne vedrà i frutti. Mi ricorda che in America le calciatrici donne sono riuscite ad ottenere lo stesso stipendio dei maschi.

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È un bell’uomo, Alessandro, di una bellezza non evidente, credo che venga fuori più che dai tratti dalla sua energia, gli porto una domanda che non si dovrebbe fare, mentre la faccio penso che con una donna non avrei avuto il coraggio, quindi anche io cado nell’errore: è la domanda di una mia amica storica, Emilia, vuole sapere come vive un personaggio pubblico il “naso a patata”. E succede una cosa che ha a che fare con Gogol: lui non sa di averlo, o meglio: non ci pensa.

“Di’ alla tua amica che è bodyshaming: ce l’ho sempre avuto e mi vedrei male con un naso diverso, e poi è un naso di personalità.”

Eppure la bellezza bendispone, è innegabile, e una persona che lavora rappresentandosi anche con l’immagine non può non notare l’avanzata dei peletti bianchi, delle rughe… questo può scalfire l’idea di felicità? No, assolutamente, anzi è proprio questo discorso che ci porta a definire la cifra del nostro incontro. Mi dice che accetta volentieri l’invecchiamento mentale, il fatto che sua figlia gli debba spiegare come si facciano le cose con il pc, a quello ci sta. L’invecchiamento fisico lo nota quando va a giocare a calcio e non sta più dietro a quelli giovani. Ma la risposta vera è che ognuno quando guarda le sue foto vede cose che non vanno bene. “Se prendete una foto di dieci anni prima siete più belli” conclude “ma vi stavate lamentando pure allora. Quindi oggi vi lamentate, ma sappiate che fra dieci anni sarete peggio, quindi godetevi come siete”.

Andando all’appuntamento, quella mattina, ho pensato che avrei dovuto regalargli qualcosa, e allora ho tirato fuori dalla libreria un mio libro totemico “Il mare non bagna Napoli” di Annamaria Ortese. È la mia copia, piena di annotazioni, gli chiedo scusa, poi, dopo l’intervista mi chiede se può tenerlo davvero. E che faccio: i regali per finta? Ragioniamo sulla grandezza di quel titolo, un titolo per negazione su una cosa che non può essere messa in discussione, e tutto quello che comporta.

Fuori, la ritroviamo, Napoli: è nella Mostra d’Oltremare che per anni ha ospitato il Comicon e da mesi è diventata un hub vaccinale, storia di tempi che cambiano e trasformano i territori: “pare ieri che qui c’erano solo cosplay”, chiosò mio figlio mentre eravamo in fila per la sua dose. Napoli è nell’università di Ingegneria verso cui andiamo, sotto la quale un nugolo di ragazze chiede ad Alessandro di farsi un selfie; è nel chioschetto delle bibite: come si dice chioschetto dalle parti di Alessandria? “Chiringuito”. E siccome abbiamo cominciato sugli stereotipi, su come chi nasca in Piemonte non abbracci, non tocchi, non saluti con il “bacetto” sulle guance, e abbiamo ammesso che lo stereotipo è tollerabile se descrive, e intollerabile se esclude, non possiamo che finire con la promessa di una pizza che poi davvero andremo a fare, lì nei pressi, dove un gruppo nutrito di tifosi aspetta non so quale calciatore da fotografare e l’oste pretenderà che Alessandro assaggi la pasta e fagioli con la cotica. Che è una pietanza che con la felicità peregrina di un istante ha molto molto a che fare.

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Ha scritto per l’editore minimum fax “mosca più balena”(2003) e “ Per grazia ricevuta”(2005), per  Einaudi “Lo spazio bianco”(2008), “Lettera di dimissioni”(2011), “Tempo di imparare” (2014) e “Troppa importanza all’amore”( 2015); Enciclopedia della donna- aggiornamento (2017) e le piéces teatrali “Tre terzi”(2009) e “Antigone”(2012), per Rizzoli “Ma quale amore”(2010), per Bompiani le piéces “Ciao maschio” (2009), “Il verdetto”(2007) e “Assenza-Euridice e Orfeo”. Per il Teatro San Carlo, ha firmato il libretto “Terra” su musica di Luca Francesconi (2011) e la commedia “Dalla parte di Zeno” prodotto dal Teatro Nazionale di Napoli. “Almarina”, pubblicato da Einaudi nel 2019 è arrivato finalista al Premio Strega 2020. Il suo ultimo libro è “Quel tipo di donna” (Harper Collins 2020).  I suoi libri sono tradotti in Europa e negli Stati Uniti. Da anni cura la rubrica dei libri di “Grazia” e collabora con le pagine culturali de “La Repubblica”. 
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