In che modo canzoni finte stanno invadendo le playlist su Spotify: la truffa dell’AI nella musica

Stabilire in modo oggettivo se oggi la musica sia più o meno importante nella vita degli ascoltatori è impossibile. Ma è indiscutibile che oggi si senta una quantità di musica senza precedenti: 21,9 ore a settimana secondo il report 2025 di FIMI sul mercato italiano. Stiamo sempre ascoltando qualcosa, insomma. Ma “come” si ascolta, con quale consapevolezza, questo è da vedere. Playlist curate da esseri umani o meno già adesso ti servono musica pensata per un momento della giornata o un’attività (colazione, lavoro, relax, cena, passeggiata, palestra) o per un mood (relax, meditazione, euforia), spesso pescando da repertori ignoti ai più, con artisti e brani che si limitano a farti passare del tempo.
In fondo, che male ci sarebbe? Nessuno ha mai detto che la musica non debba essere anche funzionale. Se ci pensi bene, la grande maggioranza delle canzoni popolari degli ultimi 70 anni hanno lo stesso obiettivo, molto pratico: farti ballare. Ma quando l’abitudine all’ascolto distratto di sottofondo incontra un mercato che premia la produzione in quantità, si aprono le porte alla vera produzione in serie. E al momento nessuno strumento permette di fare “musica” (virgolette obbligatorie) più velocemente e in serie dell’IA generativa.
Fino a un paio di anni fa, chi osservava il crescente impatto dell’IA sulla produzione musicale si concentrava su due argomenti: i deep fake con cui si sarebbe dovuto rimpiazzare l’artista vero e proprio con un suo fac-simile (vedi il caso del finto Drake); e le tracce strumentali, vagamente ambient, immaginate per un ascolto pienamente disingaggiato, che stavano cominciando da qualche anno a insinuarsi nelle piattaforme. Ma l’investimento di risorse in software come Suno e Udio e la vastità del materiale protetto da diritto d’autore rubato dai loro LLM per produrre simulacri di canzoncine hanno reso i loro risultati sempre più somiglianti a qualcosa di reale, certamente molto efficienti.
“Efficienza” è la parola chiave quando il fine ultimo è inondare le piattaforme di quel che a livello grafico si chiamerebbe AI-slop, approfittando delle storture dello streaming: non importa che dai prompt esca fuori qualcosa di “bello” o “interessante”, basta che assomigli sufficientemente a qualcosa di già sentito e raggiunga un numero sufficiente di orecchie per un numero sufficiente di secondi da contare come stream valido. Il tutto, possibilmente, da ottenere senza sforzo – il co-fondatore di Suno Mikey Shulman passerà alla storia anche per aver detto che “al giorno d’oggi non è piacevole fare musica (perché) richiede tempo e pratica”.
Mentre si districano fra contese legali da centinaia di milioni di dollari per le palesi (in parte ammesse) violazioni del copyright senza cui non funzionerebbero, le due compagnie leader di questo triste mercato stanno contribuendo indirettamente, tramite i loro utenti, a una nuova e subdola inondazione di musica fake. Stavolta non più musica che si confonde con la tappezzeria o si mimetizza dietro un nome famoso, ma canzoni e dischi che aspirano a una qualche sembianza di identità. L’ultimo aggiornamento di Suno, uscito a maggio, prometteva proprio un maggiore realismo sulla voce, in particolare con l’uso della feature “Persona” che garantisce un output vocale coerente, usata anche dal produttore caduto in disgrazia Timbaland nella creazione della sua marionetta chiamata TaTa. L’IA non come strumento per creare qualcosa di nuovo, ma per simulare l’esistenza di qualcosa di già esistito, per creare falsi storici; e non per puro divertissement, ma per arrivare alla creazione di album e discografie, cioè per entrare nel mercato – dato che l’album non è mai stato così importante.

Rientra perfettamente in questa cornice il caso della “band” The Velvet Sundown, che un’intervista di Rolling Stone USA al suo presunto ideatore Andrew Frelon ha svelato per quel che si capiva già che fosse: una truffa per ottenere attenzione. Una decina di giorni fa, alcune canzoni del gruppo fantomatico erano entrate nelle playlist automatiche Discover Weekly di alcuni utenti, che avevano prontamente segnalato la notizia su un paio di gruppi su Reddit. Il sospetto era montato per via di artwork e fotografie chiaramente generate con IA, una biografia risibilmente fasulla, e oltre 300mila ascoltatori mensili sulla piattaforma più usata al mondo e chissà quanti sulle altre piattaforme (come Apple Music e Amazon Music) pur non avendo alcuna traccia nel mondo reale – al momento sull’ondata della curiosità hanno superato il milione di ascoltatori mensili..
Su Spotify parte del successo dei Velvet Sundown va attribuito a un uso strategico delle playlist. I loro due “dischi” sono interamente inclusi in due playlist popolari: Vietnam War Music, che dovrebbe raccogliere canzoni rock dell’epoca della guerra in Vietnam, e la playlist Good Mornings – Happily Positive Music To Start The Day (632mila e 211mila iscritti rispettivamente). Che si tratti di un falso storico o dello sfruttamento dell’ascolto passivo, in entrambi i casi il creatore delle playlist, l’utente Extra Music, ha sapientemente piazzato tutte e 26 le tracce di questa “band” regolarmente distanziate a 9-10 tracce di distanza l’una dall’altra. Fanno capo a questo utente, peraltro, anche alcune playlist infarcite di “artisti” hip-hop lo-fi strumentali ugualmente sospetti – un genere che da sfida alle ansie della vita meccanizzata si trasforma così in una grottesca tecno-truffa.
La verità è che i Velvet Sundown non sono la sola “band” creata con intelligenza artificiale ad avere un seguito che apparentemente (avverbio da non dimenticare) farebbe invidia ad artisti in carne e ossa. Come segnalato da Music Business Worldwide, ci sono altri “artisti verificati” come Aventhis (quasi un milione di ascoltatori) e The Devil Inside (quasi 600mila) che sembrerebbero avere seguiti paragonabili partendo da simili premesse virtuali. Tra parentesi, curiosamente i testi di tutti e tre i gruppi citati condividono una passione per la parola “dust” (polvere) nei titoli e nei testi, come se l’intelligenza artificiale ci invitasse a riflettere sulla nostra mortalità. Riferimenti biblici a parte, questi progetti hanno in comune un chiaro rimando al passato.
Nel caso di questi ultimi nomi, le loro “creazioni” ricordano una sorta di outlaw country, come peraltro molti altri artisti fake che nelle ultime settimane sono circolati nelle playlist Viral di Spotify in USA, Germania, Svezia, tra le altre (come DV8, oltre 350mila ascoltatori). Lo sforzo di far andare in tendenza questi progetti è evidente: generi datati, presentati con stili che accolgono ogni possibile contaminazione, e che ciononostante incrociano gusti più o meno maggioritari di quest’epoca. Il rock psichedelico con il groove dei Velvet Sundown, per esempio, pesca parecchio dal rock thai e turco, e così può permettersi di scimmiottare i Grateful Dead o i Creedence Clearwater Revival e fingersi classic rock, ma anche intercettare il gusto di band come Khruangbin, Glass Beams o BALTHVS.
Revival come quello psych-rock, o quello disco-funk a cui rimandano altri gruppi inesistenti come i Velvet Funk (ancora velluto!) e gli Smoothies, sono perfetti per i motori da plagio di Suno e Udio, che possono scopiazzare indisturbati decenni di musica, spesso periferica o marginale. Non avrebbe senso imitare il presente, specie in un momento di grande sfiducia: il presente ci spaventa, è inspiegabile e truffaldino, spesso proprio perché le IA ci fanno dubitare dell’oggettività. Puntare all’indietro è la scommessa più ovvia per chi voglia accumulare ascolti. Un ascolto attento potrebbe rivelarci che queste “canzoni” altro non sono che una pantomima di quell’autenticità che andiamo cercando, ma le piattaforme non ci hanno educato ad ascoltare con sufficiente attenzione. Certo, questo significa che anche gli stessi fenomeni di band artificiali vanno ridimensionati: nemmeno un millesimo degli ascoltatori passati dai Velvet Sundown, per esempio, si è salvato la loro playlist.
Nel frattempo un “comunicato” sul profilo Spotify smentisce anche le interviste di Frelon. La sceneggiata continua e la fiducia generale nel presente della musica si erode un altro po’.