60 CONDIVISIONI
video suggerito
video suggerito

Emmanuel Carrère: “Quando sarò vecchio vorrei scrivere della mia infanzia”

Emmanuel Carrère è uno dei più importanti scrittori contemporanei. In occasione del Premio Napoli ha parlato a Fanpage di Yoga, verità, Letterature e di elezioni francesi.
A cura di Francesco Raiola
60 CONDIVISIONI
Immagine

Prima di rispondere a qualunque domanda Emmanuel Carrère si prende qualche secondo, riflette sulla domanda e/o sulla risposta e poi comincia a parlare. È una delle cose che mi ha colpito intervistando lo scrittore francese, una cosa che non è frequente, almeno nella mia esperienza personale, anche per chi con le parole ci lavora, le sceglie, le seleziona, le cancella, le aggiunge. Carrère – arrivato in Italia grazie alla vittoria del Premio internazionale del Premio Napoli -, invece, si prende il tempo della riflessione. Uno spazio che troviamo anche nei suoi libri, dove l'io dello scrittore è predominante, e in Yoga lo è in maniera totalizzante. Scrittore di culto, autore che dopo un inizio nel romanzo puro si è ritagliato – a partire dal suo libro più noto, "L'avversario" – una strada nella non fiction, segnandone il passo e arrivando a diventare uno degli scrittori le cui nuove uscite sono veri e propri eventi.

A un certo punto di Yoga racconta dei vecchi aneddoti familiari, giustificandosi col lettore spiegando che si scrive anche per salvare dei dettagli preziosi. Per cos'altro scrive?

Non solamente per salvare dei ricordi, direi piuttosto per tentare di acquistare dalla mia propria vita, dalla mia esperienza di quello che so del mondo, una visuale un po' più alta, e con alta non intendo nobile. Sa, in inglese esiste questa espressione: pensare "out of the box" ovvero cercare di essere un po' più fuori dagli schemi, anche se non ci riusciamo molto, restiamo spesso nel box, negli schemi, tuttavia ho l'impressione di scrivere un po' per questo. E non è una curiosità individuale, non riguarda solo la mia vita ma le persone con cui condivido un'esperienza comune come può essere l'età, per esempio. Insomma, è tentare di comprendere un po' di più che siamo esseri umani a partire dal posto in cui siamo e da questa pelle di esseri umani nella quale ci troviamo.

"Diventare uno scrittore originale è stata l'ossessione della mia giovinezza e ancora non mi ha lasciato". È un sentimento che prova tuttora? E cosa significa originale oggi?

Alla fine non so se quest'aggettivo sia giusto, l'originalità non è un oggetto da ricercare anzi, al contrario, tenderei a diffidare dall'originalità. Mi sembra spesso che, al contrario, siamo riusciti ad avanzare nella percezione del mondo quando misuriamo la verità dal cliché o dal luogo comune, quando tutti dicono una cosa senza farci troppa attenzione e all'improvviso ci rendiamo conto di ciò che è veramente. Le faccio un esempio, pensi all'espressione "un silenzio di morte", e quella volta che poi capita d'essere testimoni di un vero silenzio di morte quella è una vera esperienza. L'espressione, quindi, non è veramente originale ma l'originalità, la singolarità dell'esperienza, è qualcosa che possiamo incrociare quando scriviamo.

A proposito di originalità e di pensiero laterale, come avviene il suo processo creativo?

So di far parte di quegli scrittori che hanno bisogno di avere un soggetto. Ci sono degli scrittori che ammiro molto che riescono a scrivere a partire da niente o poco, e non necessariamente persone che tengono un diario ma partono da quanto letto il giorno prima o dalle loro letture in generale, io invece ho bisogno, affinché qualcosa prenda forma, di avere un argomento, così come un cane ha bisogno di un osso da spolpare. Allo stesso tempo, però, un argomento può essere qualsiasi cosa, può essere, come in questo libro, tentare di dire che ho cercato in qualche modo di praticare a modo mio lo yoga.

E da lì poi arrivare a trattare di tante altre cose…

Ma quando tiriamo un filo troviamo le cose, abbiamo bisogno, però, di questo filo da tirare.

C'è un termine francese, un false friend che ho sempre amato, ovvero "morbide", che significa "morboso" ma in italiano è vicino al termine "morbido". Nel descrivere alcuni dei personaggi che racconta, compreso lei stesso in Yoga, si potrebbe pensare di più al significato originale, ma poi, in realtà, quello che leggiamo ha più a che fare con la tenerezza…

Non ci avevo mai pensato, la trovo un'idea piacevole e soddisfacente, ma è anche un po' una delle cose attorno alla quale gira questo libro, ovvero che si può sempre affrontare una cosa allo stesso tempo come il suo contrario, come se ci fosse una sorta di "degradazione" nel modo in cui qualcosa si trasforma nel suo opposto. Non dico che la gentilezza sia assolutamente l'opposto della "morbidité", nel senso francese del termine, che appunto ha un'accezione negativa, morboso, ma che comunque potrebbe anche avere una certa dolcezza all'interno.

Quanto è importante intrattenere? Si crea mai il problema dell’accessibilità di ciò che scrive?

Ah sì, per me è molto importante indirizzarmi in un certo modo al lettore, creare un legame con lui, come se fosse qualcuno con cui parliamo, con cui avere uno scambio, ho come l'impressione che debba essere messo a suo agio. Credo che solo in quel momento lo si possa intrattenere anche verso delle cose difficili, dolorose, complicate, non per forza piacevoli, insomma, bisogna fare in modo che viaggi in prima classe. Riuscire a fare questa cosa, il fatto che gli venga voglia di passare da una frase all'altra mi dà enorme piacere, mi aiuta a mantenere questo legame, a vigilare sulla sua comodità.

Lei ha detto che su noi stessi possiamo raccontare qualsiasi cosa, ma dobbiamo fare attenzione perché parlare di noi è parlare anche degli altri. Qual è, dunque, il limite invalicabile della verità in Letteratura?

Questa cosa è evidente, quando scriviamo di noi stessi possiamo scrivere qualsiasi cosa, o meglio quando diciamo "qualsiasi cosa" vogliamo dire che decidiamo cosa mettere, cosa dire, dove fermarsi, ma quando scriviamo sugli altri c'è una possibilità di violenza, questa cosa è innegabile. Per quanto mi riguarda la maggior parte delle volte ho cercato di fare le cose per bene, di fare in modo che le persone fossero contente, anche se per quanto riguarda quest'ultimo libro non tutto è andato bene, è successa una cosa triste e dolorosa. La mia ex moglie non aveva preso bene Yoga, pertanto per sua richiesta non ho parlato di lei, il che significa che in fondo non so davvero se voleva che parlassi di lei, cosa che non ho fatto, o se voleva che non parlassi di lei, beh è complicato, semplicemente perché questa cosa riflette una situazione umana e affettiva difficile, ma il risultato è che ho dovuto cancellare delle cose che malgrado tutto erano utili alla comprensione della storia, e che portano a qualcosa di un strano, ma ne sono consapevole, questa cosa fa parte dell'identità di questo libro.

Ogni tanto penso a chi è ritrovato nei suoi libri, le sue ex compagne, sua madre… Lei ha mai vissuto un’esperienza simile a quella vissuta da loro?

Sì, ho vissuto un'esperienza simile con una donna che conosco, che ha parlato di me nel suo libro, ma per sfortuna il libro non è stato pubblicato: non diceva cose brutte sul mio conto, erano ironiche, piuttosto, niente di terribile, ma per delle ragioni che hanno a che fare con l'editore non è mai stato pubblicato. Nonostante ciò ho avuto un quadro di questa esperienza.

E come è stato?

Beh mi ha fatto capire un po' meglio quello che hanno potuto provare le altre persone quando si sono trovate ritratte in un libro.

Tra qualche mese ci saranno le elezioni in Francia, si discute molto delle destre, con l'ascesa di Zemmour. Cosa ne pensa?

Il fatto, e mi spiace dire questa cosa, è che io faccio parte di quel gruppo di persone per cui il pessimismo è talmente generalizzato che non riesco in alcun modo a interessarmi alle elezioni presidenziali. Non me ne frega niente di Eric Zemmour, anche se diventasse Presidente della Repubblica, credo che in confronto all'insieme della catastrofe generale, sarebbe, in fondo, secondaria. In ogni modo questo peggiorerà di poco le cose. Non m'importa, ho 64 anni, penso ai miei figli, e penso che alla fine è tutto finito, comunque.

Durante la sua incarcerazione, Patrick Zaki ha detto di aver trovato conforto nella letteratura. Questa idea della letteratura come conforto mi sembra bella, soprattutto quando si spoglia di retorica e diventa realtà. Cosa ne pensa?

Non conosco questa esperienza in particolare ma conosco altre esperienze simili, come un giornalista francese molto bravo che si chiama Jean-Paul Kauffmann che a 20 anni è stato ostaggio di Hezbollah per un paio di anni e aveva, se non sbaglio, un Vangelo e uno dei due volumi di Guerra e Pace, mi pare il secondo, il che significa che non aveva letto quello che era successo prima e disse la stessa cosa, che alla fine questo Vangelo e questo volume di Guerra e Pace erano diventati la sua vita, il suo nutrimento e quindi ci ricorda fino a che punto siamo distratti rispetto a questa cosa, pensiamo che sia una cosa data per assodata, ma ci sono poche cose migliori di questo, è la cosa che più di tutte ci permette di vivere.

C'è un argomento che vorrebbe trattare ma per cui non ha ancora trovato la chiave?

È un po' egocentrica questa cosa, pensando che ci sono mille argomenti là fuori, ma per quanto riguarda, alla fine, la mia storia individuale, è l'infanzia. Non ho mai toccato la mia infanzia, ci sono molto lontano e quando mi avvicinerò alla mia vecchiaia e alla mia morte può essere che in quel momento l'infanzia si farà viva e sarà un argomento importante. A distanza non saprei raccontare come sarà, forse adesso sembra aneddotico interessarsi alla propria infanzia, ma forse a un certo punto apparirà qualcosa di necessario, importante e conterrà qualcosa che non immagino affatto.

60 CONDIVISIONI
autopromo immagine
Più che un giornale
Il media che racconta il tempo in cui viviamo con occhi moderni
api url views