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Cinquant’anni fa moriva Pablo Neruda, il poeta del popolo

Passato alla storia come uno dei grandi cantori dell’amore, Neruda amava la gente: era il poeta del popolo. E per gran parte della sua vita rese il suo impegno politico protagonista della sua poesia, fino alla sua morte misteriosa pochi giorni dopo il golpe di Pinochet.
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Ci sono artisti e artiste – o più ancora personaggi – nella storia, noti più per il loro nome e per la loro stessa notorietà che per le loro gesta, per le loro opere: per una serie di svariate circostanze Pablo Neruda è di certo uno di loro. Sfido chiunque stia leggendo queste righe a citare, senza pensarci, uno dei versi più noti e amati di Neruda: nella maggior parte dei casi, la memoria di chi legge non porterà alla mente nessuna parola, se non il nome stesso del maestro cileno e forse in alcuni casi il volto di Philippe Noiret che gli ha prestato voce e corpo nel bellissimo film “Il Postino”, ultima meravigliosa interpretazione di Massimo Troisi. E per noi italiani è ormai difficile dividere i due nomi e le due storie.

Forse è la sorte che tocca a moltissimi poeti, noti per qualche fortunato verso baciato dalla popolarità ma perlopiù ignorati per tutto il resto della loro opera, eppure Pablo Neruda – all’anagrafe Neftali Ricardo Reyes Basoalto, che aveva scelto il suo pseudonimo, poi riconosciuto anche livello legale, in onore dello scrittore e pota ceco Jan Neruda – è stato definito da Gabriel Garcia Marquez il più grande poeta del XX secolo, in qualsiasi lingua”.
“Un poeta più vicino alla morte della filosofia; più vicino al sangue che all’inchiostro”: nelle parole che Federico Garcia Lorca – altro grandissimo e indimenticato poeta e antifascista spagnolo – usava per presentarlo nel 1934 all’Università di Madrid.

Passato alla storia come uno dei grandi cantori dell’amore, attributo che iniziò a guadagnarsi sin da ragazzo, quando pubblicò un’opera divenuta immortale “Venti poesie d’amore e una canzone disperata”, il premio Nobel per la letteratura del 1971, era rimasto orfano della sua mamma a soli due mesi e fu cresciuto perlopiù dai nonni.

Pablo Neruda con sua moglie Matilda in occasione del conferimento del Nobel, 1971
Pablo Neruda con sua moglie Matilda in occasione del conferimento del Nobel, 1971

Ma forse fu propria questa enorme assenza a renderlo così pasionario: nell’amore come nella politica, è forse più giusto dire che furono l’amore – e la passione appunto – in ogni sua forma, ad accompagnare tutta la sua opera.
Amava la gente, era il poeta del popolo: andava nelle fabbriche a leggere le sue poesie agli operai. Ne “L’uva e il vento” canta la povertà dei bambini napoletani, perché la sua patria era il mondo intero: il suo impegno sociale non era legato a una particolare realtà, ma era universale.
E negli anni dell’esilio, lontano dalla sua amata terra cilena, fu sempre convinto di poter cambiare il mondo, con la sua forza, con il suo canto, con la sua poesia. E forse non sbagliava.

Quando in Spagna scoppiò la guerra civile, nel 1936, Pablo Neruda si schierò apertamente con i repubblicani, anarchici e antifascisti, pubblicando Spagna nel cuore e aiutando in prima persona coloro i quali volevano espatriare, per poi riuscire addirittura nel 1939 a fare imbarcare duemila rifugiati sulla nave Winnipeg, che era diretta in Cile.

E quando arrivò la dittatura del ferocissimo Pinochet, in Cile, la gente terrorizzata non usciva più dalle case, ma quando, pochi giorni dopo quel funesto 11 settembre del 1973 – in cui un sanguinoso golpe aveva messo fine al primo governo socialista eletto dal popolo, presieduto da Salvator Allende e sostenuto dallo stesso Neruda -, il poeta morì, il popolo cileno si sentì chiamare da una voce contro la quale nemmeno la paura avrebbe potuto far nulla. Una moltitudine silente sfilò nel corteo funebre, sotto lo sguardo inerme dei militari. Il suo funerale fu il primo grande moto popolare di opposizione alla dittatura, poiché avvenne nonostante la presenza dei militari che, a mitra spianato, fissavano i partecipanti, come testimonia un filmato clandestino girato all'epoca. Molti dei manifestanti inneggiarono ad Allende, morto “suicidato” durante il golpe, ma i soldati non osarono intervenire; e anche se purtroppo, drammaticamente molti e molte tra i presenti finiranno poi desaparesidos, quel giorno era avvenuto un miracolo: la poesia aveva fermato la dittatura.

i funerali di Pablo Neruda a Santiago, Cile, settembre 1973
i funerali di Pablo Neruda a Santiago, Cile, settembre 1973

Per gran parte della sua vita, sin dalla giovane età, rese il suo impegno politico protagonista della sua poesia: eletto senatore nel 1945, Il governo Videla si trasformò rapidamente in un governo autoritario, da cui Neruda prese completamente le distanze, tanto che Videla stesso fece emanare un ordine d'arresto, per sottrarsi al quale il poeta si vide costretto a intraprendere un duro periodo di esilio dapprima in Argentina, dopodiché in Messico, in Unione Sovietica, in Cina, e infine in Europa.
Continuando a far sì che la sua voce fosse megafono per le battaglie in patria: una produzione civile e politica di grande spessore, con la quale combatté apertamente il neocolonialismo, la dittatura, la guerra e l’imperialismo.

E con molte probabilità fu proprio questa sua eterna lotta a portarlo alla morte: le analisi effettuate da un pool internazionale di esperti sui resti del poeta hanno confermato la presenza di una tossina che ne avrebbe causato la morte e un documento ufficiale del ministero dell’interno cileno del 2015, sostiene che non sia morto “a causa del cancro alla prostata di cui soffriva”, ma che “risulta chiaramente possibile e altamente probabile l’intervento di terzi” (qui un approfondimento).

Oppure dopo il golpe di Pinochet il suo cuore è andato in frantumi, sentendo il lamento del suo popolo, tanto da morire di dolore, proprio lui che aveva parlato al cuore di milioni di persone:
«Posso scrivere i versi più tristi stanotte.
Scrivere, per esempio: “La notte è stellata
e tremano, azzurri, gli astri in lontananza”.
E il vento della notte gira nel cielo e canta.
Posso scrivere i versi più tristi stanotte.
Io l’ho amata e a volte anche lei mi amava».

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