
"Niuiorcherubini", l'ultimo album di Jovanotti, uscito ieri venerdì 20 novembre, è un lavoro pieno di musica e colori. Qualcosa a cui il cantante ci ha abituati, certo, ma che ti sorprende sempre per come riesce a trovare una prospettiva diversa da cui guardarlo. Mentre il mondo va verso l'identità, la radice, il locale – lo spiega bene Federico Pucci in questo articolo su Fanpage – quest'album porta l'ascoltatore in giro per il mondo, anzi, per la precisione in una strada che da New York porta al Sud America, nelle sue varie musiche, dalla rumba alla cumbia, passando per la salsa, poi dentro ci sono il funk, il soul. È un album che ti costringe a starci dentro, è suonato, registrato in presa diretta, e se ne sente l'immediatezza. Eppure in filigrana c'è anche qualche nota amara, quella nota che sembra spingere il cantante verso la ricerca dell'allegria e una sorta di ricerca della felicità.
Quell'immediatezza – spesso declinata come "urgenza" – che riempie i comunicati stampa. Tutto è urgente, tutto è immediato, perché tutto deve essere autentico, sembrarlo almeno. Nell'immaginario, infatti, l'immediatezza è autentica, non si nutre di sovrastrutture, è fatta senza pensare, d'istinto, la famosa "prima cosa che ti viene in mente". Ovviamente quest'album è immediato, ma non è la prima cosa che è venuta in mente a Jovanotti, anzi, pare che la brevità della registrazione, sei giorni, sia solo il risultato finale di una riflessione ben più lunga. È un album da ballare, uptempo, con musicisti incredibili – ma sappiamo che se c'è uno sfizio che il cantante si toglie con la popolarità, quello di attorniarsi di persone che sanno il fatto proprio, lo ha fatto con Rick Rubin e lo fa oggi con questi artisti.

È un album che sembra andare da un'altra parte rispetto a quello che si sente in giro, non ha un singolo di lancio, ha belle canzoni, ma senza la ricerca spasmodica di un brano che strizzi l'occhio a tutte le regole di radio e classifiche. È un Jovanotti che si attornia di grandi musicisti, riprende il filo di un mondo musicale che è vasto, ma in grado di unire tutti. E che, soprattutto, lo vede tra i principali fautori in Italia di questi ultimi decenni, senza bisogno di scomodare – scomodando – "L'ombelico del mondo". Federico Nardelli, che lo ha prodotto, ha sicuramente seguito le indicazioni di Jova, ma lo ha confezionato tenendo in mente cosa rappresenta Lorenzo per il Paese.
Ma nonostante questa gioia, l'ottimismo di quest'album ci mostra comunque il riflesso del dolore provato. Non solo quello fisico, della caduta che ha portato a una lunghissima riabilitazione e a tanti pensieri – che aveva comunque ripercorso ne "Il corpo umano VOL.1" -, ma anche quella amorosa: Jovanotti ci mostra la felicità – tornerà di moda? -, anche come risultato della sofferenza, come redenzione, come pensiero su di sé. Lo vediamo chiaramente in una delle canzoni d'amore più belle che ha scritto, ovvero "So solo che la vita", quando dice "nel punto in cui sentivo quel dolore splende un sole". La canzone è un forrò, classica danza popolare del nord est del Brasile, caratterizzata dalla fisarmonica — che torna anche altrove, come in "Magari" — e dal triangolo
"Mi fa felice quando qualcosa mi sorprende in piedi mentre me se sto lì a rimuginare e arriva a dirmi hey non esser triste guarda quanta bellezza ancora esiste" canta in "Mi fai felice". Oppure, sempre nella stessa canzone: "Mi fa felice guardando una mia vecchia cicatrice sapere che è di un tempo che è passato e che qualcosa forse mi ha insegnato". È un album che ha come parole principali amore, vita, cuore, felicità, c'è un po' di dolore e tanto campo semantico naturale come sole, luce, cielo, stelle, interstellare, è un lavoro in cui si balla, si vive, si ama, si guarda, ci sono gli amici, c'è la gente.
Insomma, è Jovanotti in purezza, con qualche momento talvolta sbilenco – non c'è alcun senso negativo in questa parola -, siamo sicuri che la parola "sbilenco" possa essere amata da Lorenzo, proprio come suono, così come "sghembo", qualcosa che è su una corda tra due palazzi, quasi ballando senza gravità, per citarlo. È l'effetto del suo canto, della sua voglia di non essere perfetto. E questa mancanza di perfezione la si sente anche nelle sue stesse parole. Sono tutte canzoni autentiche, lo abbiamo detto prima, poi c'è qualcuna che è più autentica di altre. "Resistente" è sicuramente una di queste. È una riflessione ironica su di sé: "Mi chiedevano le mie opinioni perfino sulla guerra e sulle grandi questioni e quando poi credetti di essere influente veramente mi ritrovai con il culo per terra come nelle comiche e tutti a ridere" perché, dice "pensavo di essere qualcuno ma sono meno di un DJ".
Ma non c'è amarezza in queste parole, più consapevolezza, la voglia di dire a tutti che sa perfettamente che è fallibile, che forse in passato ha anche peccato di superbia, ma sente ancora la botta. "Conosco la paura e so che esiste la morte, ma non mi fermeranno né muri né porte" dice il cantante. Nessuna porta lo ha mai fermato, infatti, in questi anni, sia musicalmente che per questioni extramusicali. "Niuiorcherubini" è un lungo viaggio musicale nell'America Latina, Nardelli e Jovanotti ci prendono per mano e in questo lungo tragitto incontriamo musicisti come J.P. Bimeni, Red Baraat, la Spanish Harlem Orchestra, Felipe Hostins, Gil Oliveira, Ronaldo Andrade, tra gli altri. È un viaggio che ci regala un po' di aria nel pop mainstream nazionale, laddove sembra sempre che la voglia di sperimentare sia sempre meno.