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Antonio Rezza e Flavia Mastrella, quando il teatro ha il linguaggio dell’arte (INTERVISTA)

Intervista ad Antonio Rezza e Flavia Mastrella, a pochi mesi dall’uscita del nuovo lungometraggio della serie Troppolitani. Sullo sfondo l’habitat di “7-14-21-28”, che torna a Napoli, questa volta ospitato dal Teatro Bellini.
A cura di Luca Iavarone
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È passato quasi un anno dall'ultima volta che abbiamo incontrato Antonio Rezza e Flavia Mastrella. L'occasione era stata la presentazione al Bellini di Napoli di "Fratto X", una magnifica summa del loro teatro immaginifico. Uno spettacolo perfetto, coerente, asciutto, consequenziale e poetico, dove il corpo del performer diventava spazio, investendo anche la platea e gli stessi spettatori a cui prestava la voce, integrandoli in una narrazione fatta tutta di scambi di persona e personaggio. E fu così che non trovammo altra modalità per intervistare Rezza-Mastrella se non chiedendogli in prestito la voce di Antonio per doppiare la nostra (lo si può vedere qui).

Questa volta l'occasione dell'incontro è duplice: la presentazione del nuovo loro lungometraggio, "Troppolitani 56", e la ripresa, al Bellini di Napoli, di "7-14-21-28", spettacolo con dei picchi altissimi, più debole del successivo "Fratto X", ma tappa necessaria alla sistemazione di quella drammaturgia che si dipanerà così compiutamente nell'ultimo capolavoro. La serie di "Troppolitani" nasce come esperimento televisivo negli anni '90, curato, oltre che dalla coppia Rezza-Mastrella, anche da Annamaria Catricalà e Stefano Coletta. "Interviste a corpo libero" condotte ("e galoppate") da Antonio, con un filo microfonico avvolto al braccio e culminante in una piccolissima pulce legata al suo dito indice.

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I luoghi di "Troppolitani" sono stati stazioni, supermarket, il cimitero, l'ippodromo. Stavolta, in "Troppolitani 56", il terreno di discussione si fa ancor più politico: è stato eletto da poco Pisapia al Comune di Milano e a via Padova si incontrano e incrociano culture e pregiudizi a proposito della moschea. Un film sul canto, diverso da nazione a nazione, sul tempo dedicato all'ascolto dell'altro, sulla diffidenza. «Nessuno crede che lo straniero che ha di fronte sia quello cattivo. Quello cattivo è sempre immaginato, fuori dalla sua portata visiva» – spiega Antonio Rezza all'Ex Asilo Filangieri, dopo la proiezione, come a sostenere che se ci si conoscesse tutti, se ci si guardasse negli occhi e si facesse vita in comune, ogni preconcetto negativo sarebbe neutralizzato.

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"7-14-21-28" è il nono spettacolo firmato da Rezza-Mastrella, "mai scritto" nel 2009. Composto, come al loro solito, in due tappe creative: l'ideazione dell'habitat della Mastrella e, successivamente, la presa in carico di quell'ambiente da parte del performer Rezza, che lo smembra, lo distorce, lo indossa, fino a farsi un tutt'uno con lo spazio per lui disegnato. Un'altalena domina il quadro scenico, e poi una corda con un cappio ad un'estremità e un velo pendente dall'altro lato. Antonio interpreta tante facce della sua schizofrenia, così come dichiara ai nostri microfoni, "una schizofrenia calcolata". In lungo e in largo lo spazio è catturato dal suo corpo, che a sua volta è catturato dallo spazio immaginario delle opere di Flavia Mastrella, opere ispirate all'arte del ‘900, da Fluxus a Melotti (così come ci ha spiegato in una precedente intervista).

L'incontro con questi due classici del teatro italiano è avvenuto durante il riscaldamento muscolare di "7-14-21-28", pochi minuti prima che al Teatro Bellini di Napoli si "facesse sala". Tra un palleggio e l'altro Rezza-Mastrella rispondono ai nostri quesiti, seri ma anche provocatori, a partire dallo scioglimento di un dubbio su tutti: c'è la partita del Napoli, perché mai lo spettatore dovrebbe venire a vedere Rezza-Mastrella anzicché guardare la partita?

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