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Alda Merini moriva 10 anni fa: alcuni dei suoi versi più belli

La poetessa milanese ha rappresentato una delle voci più intense dell’ultimo secolo, grazie al modo unico in cui ha saputo trasformare la tragedia di una vita “diversa” in poesia universale. Parlare dei suoi versi, così intimi, dolorosi e sofferti, ma anche estremamente illuminanti, non è cosa facile: ecco perché a dieci anni esatti dalla scomparsa di Alda Merini, torniamo ancora una volta a leggere le sue poesie.
A cura di Federica D'Alfonso
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Alda Merini muore a Milano il 1 novembre 2009.
Alda Merini muore a Milano il 1 novembre 2009.

Il 1 novembre 2009 moriva, a 78 anni, Alda Merini. Dieci anni sono trascorsi da quando una delle voci più dirompenti del Novecento si è spenta: ma nonostante la scomparsa, l’immensa opera della poetessa meneghina ha ancora una forza e una vivacità straordinarie. Raccontare in poche righe tutto ciò che Alda Merini ha vissuto, ed è stata, sarebbe impossibile. Per questo, in occasione di questi primi dieci anni senza di lei, a parlare sono nuovamente i suoi versi.

Alda Merini, la poetessa della follia

Sono nata il ventuno a primavera

Ma non sapevo che nascere folle

Aprire le zolle

Potesse scatenar tempesta.

Leggere le sue poesie vuol dire entrare, nel modo più diretto e profondo, nella sua vita. Ma il valore dei versi di Alda Merini non è riconducibile esclusivamente alla sfera biografica, anzi. Come amava spiegare Maria Corti, critica letteraria ed intima amica della poetessa, nella sua scrittura “vi è prima una realtà tragica vissuta in modo allucinato in cui lei è vinta; poi la stessa realtà irrompe nell’universo della memoria e viene proiettata in una visione poetica in cui è lei con la penna in mano a vincere”. La vita, con tutto il suo peso, è stata per Alda Merini un punto di partenza e un punto di arrivo della sua poesia, così come la malattia e la solitudine sono stati veleni ed antidoti della propria condizione esistenziale.

Una condizione che, fin da bambina, Alda Merini ha avvertito come peculiare per se stessa. È proprio lei a ricordarsi come una “ragazza sensibile e dal carattere malinconico, piuttosto isolata e poco compresa dai suoi genitori ma molto brava ai corsi elementari”, che però ben presto farà i conti con le prime “ombre della mente” e culminate con una diagnosi di disturbo bipolare che la porteranno a vivere l’inferno in terra dell’ospedale psichiatrico.

In fondo un poeta ha anche qualcosa di istrionico e di folle. Per questo il manicomio è stato per me il grande poema di amore e di morte. Ma anche questo luogo oggi è distante. Mi capita a volte di rivederlo in sogno. Io sogno tantissimo. E tra i sogni ne ricorre uno: sono dentro a un luogo chiuso, e io che cerco le chiavi per uscire. Forse sono mentalmente ancora in quel luogo che mi ha ucciso e mi ha fatto rinascere. Mi sento una donna che desidera ancora. Oggi per esempio vorrei che qualcuno mi andasse a comprare le sigarette. Non ho mai smesso di fumare, né di sperare.

Alda Merini è ormai riconosciuta, con la sua monumentale opera che per oltre quarant’anni ha parlato, raccontato, cantato e sublimato la propria condizione di “diversa”, come una delle voci più forti nel dar voce a quella cosa oscura, intima, spaventosamente comune, che si chiama “follia”. Nessuno, meglio di lei, ha saputo guardare alla realtà di una vita considerata fuori dal reale, riuscendo a trasformare in poesia, e dunque in luce, l’oscurità che in fondo è celata, seppur sopita, in ognuno di noi.

La mia poesia è alacre come il fuoco,
trascorre tra le mie dita come un rosario.
Non prego perché sono un poeta della sventura
che tace, a volte, le doglie di un parto dentro le ore,
sono il poeta che grida e che gioca con le sue grida,
sono il poeta che canta e non trova parole,
sono la paglia arida sopra cui batte il suono,
sono la ninnananna che fa piangere i figli,
sono la vanagloria che si lascia cadere,
il manto di metallo di una lunga preghiera
del passato cordoglio che non vede la luce.

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