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“Sono cresciuta in una famiglia di testimoni di Geova… ed è stato bellissimo”

Lisa, 34 anni, ha scritto a Fanpage.it per raccontare la propria esperienza di vita in una famiglia di testimoni di Geova. “Non mi sono mai sentita costretta a fare o a dire ciò che non volevo. Non mi sono mai sentita controllata o giudicata. Non mi sono mai sentita repressa”.
A cura di Redazione
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Riceviamo e pubblichiamo la storia di una nostra lettrice. Lisa, 34 anni, ha letto la testimonianza inviata alla nostra redazione da Luca ("Sono un testimone di Geova. La mia infanzia ed adolescenza sono state traumatiche") e ha deciso di controbattere raccontando la propria esperienza:

Mi chiamo Lisa, ho 34 anni, sono cresciuta in una famiglia di testimoni di Geova… ed è stato bellissimo.

Rispetto sinceramente i sentimenti di chi purtroppo ha avuto un’esperienza opposta alla mia. Proprio recentemente ho letto in questa stessa rubrica la storia di Luca, il quale ha definito “terrificante” la sua infanzia vissuta in una famiglia di testimoni di Geova e questo mi dispiace. Ma mi aspetto lo stesso rispetto da tutti i Luca che ci sono là fuori e da tutti quei lettori che vogliono scegliere di vincere contro i pregiudizi e la disinformazione.

Sono nata un giovedì mattina e già dopo pochi giorni i miei genitori mi hanno portata in una Sala del Regno, il luogo di culto dei testimoni. Volevano forse battezzarmi, ancora in fasce, imponendomi la loro religione? Assolutamente no. Mi hanno solo presentata a una variegata comunità composta da persone di età, razza e culture differenti che non vedeva l’ora di conoscermi. Tra quelle persone, crescendo, ho trovato davvero veri Amici che mi hanno protetta, incoraggiata, divertita, consolata. Amata.

Non mi sono mai sentita sola. Grazie alla mia famiglia e a quegli amici ho potuto condividere ogni momento importante della mia vita, bello o brutto che fosse. Che si trattasse del primo dentino caduto, o di un brutto ricovero ospedaliero o del giorno della mia Laurea.

Non mi sono mai sentita costretta a fare o a dire ciò che non volevo. Quando a scuola le insegnanti di religione si accertavano che tutti gli alunni della classe fossero battezzati, provavo un orgoglio incredibile a dire che io non lo ero. Qualcuno aveva già deciso per gli altri bambini, io invece ero ancora libera di scegliere la mia fede, il mio credo, il mio Dio. I testimoni di Geova non battezzano i neonati, piuttosto incoraggiano a fare la propria scelta quando si è consapevoli.

Ogni altro insegnamento religioso impartitomi dai miei genitori è stato accompagnato da motivazioni e accurate spiegazioni. Mi hanno sempre stimolata a capire il perché delle cose e non ad agire per seguire tradizioni o idee preconfezionate.

Non mi sono mai sentita controllata o giudicata. La mia famiglia mi ha aiutata a valutare i pro e i contro delle mie decisioni ma ha anche rispettato le mie scelte, anche se queste talvolta non sono state concordi alla loro volontà. Ho imparato molto dalla loro apertura mentale, perché hanno saputo fare un passo indietro quando ero io ad avere ragione ma hanno anche saputo perdonare quando avevo commesso qualche errore.

Non mi sono mai sentita emarginata. Se sono uscita dal Liceo con 100\100 e dall’Università con 110 e lode, è stato anche grazie al sostegno e alla collaborazione dei miei compagni di scuola con i quali ho condiviso moltissimo. Nei momenti speciali, come il giorno del mio matrimonio, erano presenti molti parenti e colleghi di lavoro non testimoni.

Non mi sono mai sentita repressa. La successione di ogni mio passo nella vita è stata il frutto di un’attenta analisi intellettuale ed emotiva, volta a sradicare quel ‘velo di Maya’ che avvolgeva e soffocava chi vedevo agire per impulsi e non per coscienza. Per istinto e non per conoscenza.

Posso dire che chi sono, quello che ho e ciò in cui in credo me lo sono guadagnato con la testa e con il cuore. Se essere “diversa” in qualcosa significa non fare le cose “perché lo fanno tutti”, questo è per me sinonimo di intelligenza e non di inibizione.

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