Sedicenne ucciso a Capizzi, il legale dei tre indagati: “Tragedia immane, necessario ricostruire la verità”

"Si è tenuta l'udienza di convalida e Giacomo Frasconà si è avvalso della facoltà di non rispondere. Ha fatto solo una dichiarazione spontanea molto breve: ‘Mio padre e mio fratello non c'entrano niente'. Il padre e il fratello invece hanno cercato di chiarire la loro posizione, anche se sono state fatte al padre alcune contestazioni".
A parlare a Fanpage.it è l'avvocato Felice Lo Furno, il legale che difende Antonio Frasconà Filaro, 48 anni, e i figli Giacomo e Mario, di 20 e 18 anni.
Il maggiore è accusato del ferimento di un 22enne e di aver ucciso un 16enne a Capizzi (Messina), raggiunto probabilmente da un proiettile di rimbalzo.
"Il giudice inizialmente si è riservato, visto che eravamo in carcere, e verso le 16.00 mi è arrivata l'ordinanza di convalida della custodia cautelare per tutti e tre", ha aggiunto il legale.
I reati contestati al 20enne sono omicidio aggravato e tentato omicidio, oltre a quelli per il possesso dell'arma. L'interrogatorio si è svolto nella casa circondariale di Enna alla presenza del sostituto procuratore Salvatore Interlandi.
"Siamo di fronte a una tragedia immane che ha colpito una famiglia innocente, hanno perso un figlio. Non dobbiamo dimenticare la vicenda umana, la condanna dei genitori e dei parenti che non vedranno più il loro ragazzo", commenta ancora il legale.
"In questo momento è necessario allo stesso modo ricostruire la verità giudiziaria. Il fatto che ci sia stata un'aggressione ai danni di Giacomo Frasconà in un bar da parte di un terzo soggetto è acclarato, ci sono dei testimoni. Ma il punto su cui bisognerà discutere ora è la posizione del padre e del fratello".
"La Procura sostiene che, quando il padre è andato a prendere i due figli, i tre avrebbero organizzato insieme una sorta di spedizione punitiva nei confronti del ragazzo con cui Frasconà aveva avuto una lite. Invece, quanto sostengono gli imputati è che il papà sia andato al bar perché chiamato dal figlio minore che avrebbe assistito al pestaggio", prosegue.
Il 20enne sarebbe quindi andato da solo a prendere la pistola in una casa abbandonata, in cui l'aveva nascosta, per vendicarsi dell'aggressione subita. Il padre e il fratello minore l'avrebbero successivamente raggiunto e fatto salire in macchina.
"A questo punto, sono arrivati al bar dove è avvenuto il fatto. Il padre ha spiegato che il figlio gli ha chiesto di scendere dalla macchina perché voleva prendersi una birra, che stava bene", ha detto ancora il legale dei tre.
"Il gip gli ha contestato il fatto che lo abbia fatto scendere dalla macchina e che, quando ha visto che il figlio ha esploso i colpi, sia andato via. – continua l'avvocato Lo Furno – Gli è stato chiesto: ‘Perché non è sceso ad aiutare suo figlio?', lui ha risposto che temeva lo linciassero. Una versione che per me è assolutamente credibile".
Il legale conclude: "Ora i dati oggettivi rappresentati dalle riprese delle videocamere, oltre che le deposizioni dei vari soggetti presenti al momento del fatto, contribuiranno a una ricostruzione corretta dell'accaduto".